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Progetti sovietici per il 1959 e nuovo Gabinetto Segn

In riferimento alle indicazioni dell’ambasciatore sovietico, il I Dipartimento per l’Europa del ministero degli Esteri elaborò un “Programma di iniziative verso l’Italia per il 1959”. Un piano di lavoro per l’anno appena iniziato nel quale un ruolo preponderante rivestivano i rapporti economici, (l’unico settore nei rapporti bilaterali in cui, nonostante tutto, non si erano registrate battute di arresto).

Nel documento si sottolineava la contrarietà dell’Italia verso tutte le iniziative sovietiche, allo stesso tempo, si rimarcava l’influenza dei settori dell’opinione pubblica e dei circoli economici interessati allo sviluppo dei rapporti con l’URSS. Con queste premesse si avanzavano varie proposte da realizzare nel corso del 1959:

1. Continuare il sondaggio per l’invito a Mosca del presidente del Consiglio, del ministro degli Esteri o del presidente della Repubblica;

2. Prendere misure necessarie al fine di stimolare l’interesse di Roma sulla proposta di un Trattato di amicizia e non aggressione;

3. Porre all’attenzione dell’ambasciatore italiano la necessità di incrementare i rapporti tra i due paesi e di risolvere le questioni belliche lasciate in sospeso;

4. Elaborare le proposte sopraindicate fondandole sui seguenti punti: a) continuare i colloqui sulle riparazioni; b) fare iniziare i colloqui tra la Croce Rossa sovietica e quella italiana e trasmettere a quest’ultima le fotocopie degli atti di restituzione dei prigionieri di guerra (21 mila) e dei civili (146 mila), oltre ai restanti certificati di morte, con la clausola della pubblicazione di un comunicato congiunto, in cui si sottolineasse che gli italiani dei quali non si aveva notizia potevano essere considerati deceduti o dispersi sul fronte russo- tedesco;

5. Elaborare iniziative per sostenere quei settori civili e politici che si opponevano alle basi militari in Italia ed erano a favore della pace;

6. Incrementare i rapporti parlamentari e creare le condizioni idonee alla realizzazione di uno scambio delle delegazioni. Organizzare una visita non ufficiale di 2-3 deputati del soviet supremo dell’URSS in Italia e di 2-3 deputati italiani in Unione Sovietica;

7. Adoperarsi per sviluppare i rapporti dell’ambasciata con i circoli economici italiani che erano fautori di una politica estera più autonoma in ambito NATO (Merzagora, Del Bo, Mattei e altri). Predisporre una visita dei suddetti rappresentanti e di altre figure influenti in URSS al fine di attivare le relazioni bilaterali. Studiare la possibilità di incrementare il volume degli scambi con le maggiori imprese che avevano influenza sul governo. Preparare una proposta sulla eventualità di stabilire una collaborazione tecnico-scientifica con le imprese italiane nel campo della produzione di materiali sintetici e di polimeri; 8. Ottenere l’apertura di una linea aerea diretta Mosca-Roma;

9. Prendere misure utili a sviluppare i rapporti culturali. Continuare il sondaggio sulla possibilità di concludere un accordo sullo scambio culturale e tecnico-scientifico, servendosi come testo di riferimento dell’accordo portato a termine con gli Stati Uniti: 10. Prendere misure concrete per sostenere e rafforzare nel 1959 l’attività dell’associazione

“Italia-URSS”;

11. Allargare i rapporti con gli ambienti cattolici. Continuare il sondaggio per chiarire la possibilità di contatti con il Vaticano sulla base della lotta per la pace e la distensione della situazione internazionale. Elaborare un programma per inviare in Italia un nuovo gruppo di cattolici sovietici al fine di metterli in rapporto con i cattolici italiani116. I progetti sovietici, in effetti, erano ambiziosi, anche se va notato che rientravano nel contesto delle politiche che l’URSS intendeva intraprendere con i vari paesi europei. Motore trainante dei progetti continuavano ad essere gli scambi economici. Probabilmente, fra l’altro, quando fu redatto il documento, ancora non si considerava che il governo italiano sarebbe potuto cadere in breve tempo.

Il gabinetto Fanfani, infatti, sin dalla formazione era stato oggetto di forti critiche sulla stampa e in Parlamento. La presunta apoteosi dello statista aretino fu l’inizio di un suo graduale ridimensionamento. Nella seconda metà del 1958 due gravi crisi contribuirono a complicare la situazione. Un colpo alla leadership di Fanfani era stato inferto dalle elezioni siciliane del 24 ottobre, quando il candidato del segretario della DC, Giuseppe La Loggia, fu battuto da Silvio Milazzo, esponente vicino a Scelba e all’ala destra dello scudo crociato, che divenne presidente della regione con i voti di PCI, PSI, PSDI insieme a quelli dei monarchici e dei missini. L’episodio incrinò il prestigio di Fanfani di fronte al partito e mise in evidenza le lotte intestine

116 Cfr. Programma di iniziative verso l’Italia per l’anno 1959, documento stilato dal I Dipartimento per l’Europa del

ministero degli Esteri dell’URSS, in AVP RF, F. 098, op. 41, d. 12, ll. 25-31, citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i

tra le correnti democristiane. La seconda crisi riguardò la politica estera. Il noto articolista del “New York Times” Cyrus L. Sulzberger attaccò frontalmente la politica estera del governo italiano, in particolare quella mediorientale e scatenò una campagna stampa e vive reazioni contro Fanfani. La sua politica estera fu sottoposta a critiche serrate all’interno della DC: se ne denunciò il filo-arabismo, la scarsa solidarietà verso gli altri paesi europei, un atlantismo troppo debole e un’eccessiva ingenuità verso i sovietici. Soprattutto le aperture verso l’URSS venivano viste come cedimenti alla politica di espansione comunista che Chruščëv aveva ripreso con vigore in Europa e nei paesi del Terzo Mondo. Anche il caso Giuffrè, il “banchiere di Dio”, che grazie alle connivenze ottenute in ambito governativo ed ecclesiastico, era riuscito ad architettare una colossale truffa finanziaria a danno di numerosi risparmiatori italiani, minò la stabilità del governo117. Il colpo di grazia all’esecutivo fu dato però da un episodio che, all’inizio, si pensava avrebbe rafforzato il governo. Il 15 gennaio, al XXIII Congresso socialista di Napoli, Nenni ottenne la maggioranza dei voti dei delegati. Gli osservatori ritenevano che ciò avrebbe affrettato l’unificazione socialista e l’ingresso del partito nel governo. Provocò invece nell’immediato il ritardo di tale evoluzione per la defezione dalle file del PSDI prima di due deputati, Matteo Matteotti e Mario Zagari, poi del ministro del Lavoro Ezio Vigorelli che si opponevano all’ipotetico ingresso nell’area di governo dei socialisti. L’esecutivo fu così privato della maggioranza. In questa situazione Fanfani si rese conto che il governo non poteva più durare e il 26 gennaio 1959 presentò le dimissioni. Prendendo in contropiede tutti gli avversari, inoltre, il 31 gennaio si dimise dalla carica di segretario del partito118.

La notizia delle dimissioni di Fanfani giunse a Mosca proprio mentre si era solennemente aperto il XXI Congresso del PCUS. La “Pravda”, in merito alla situazione politica italiana, scrisse che il governo Fanfani era crollato a causa del montante scontento dei cittadini, in particolare perché l’esecutivo non si era impegnato a diminuire la disoccupazione e a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori119.

Lo scenario all’indomani delle dimissioni di Fanfani era piuttosto oscuro sia sul piano governativo sia circa la situazione all’interno della DC120. Alla segreteria del partito fu eletto Aldo Moro, dopo che la corrente maggioritaria di Iniziativa Democratica si era spaccata e ne era nata una nuova, quella dei dorotei, che avrebbe guidato per il decennio successivo il partito.

117 Cfr. A. Giovagnoli, Il partito italiano, cit., pp. 91-94.

118 Cfr. P. Pombeni, I partiti e la politica dal 1948 al 1963, cit., pp. 204-205.

119 Cfr. Padenie ital’janskogo pravitel’stva [La caduta del governo italiano], in “Pravda”, 27/1/1959.

120 Cfr. Pravitel’stvennyj krizis v Italii obostrjaetsja [La crisi governativa in Italia si complica], in “Pravda”,

Peraltro in Italia l’apertura a sinistra della Democrazia cristiana, in preparazione da tempo, era allora un’ipotesi sempre più lontana.

A Mosca, invece, si era temuto che la caduta del gabinetto Fanfani l’avrebbe favorita. Anche per questo si era tentato di compiere un gesto distensivo verso il PSI come freno all’entrata nell’area di governo dei socialisti, scelta che avrebbe definitivamente isolato il partito comunista. Mentre erano ancora in corso le consultazioni per il nuovo gabinetto, Chruščëv aveva spedito un telegramma a Nenni in risposta agli “auguri secchi e un poco polemici” che il segretario del PSI aveva inviato al PCUS in occasione dell’apertura del XXI Congresso. Nel testo si esprimeva la speranza che i socialisti italiani avrebbero portato “un valido contributo alla soluzione dei più importanti problemi del nostro tempo, alla lotta per la pace, la democrazia e il progresso sociale”. Tale slancio presupponeva, secondo Nenni, “un atteggiamento molto possibilista di Togliatti [in quei giorni a Mosca] nei confronti del PSI”121. In effetti il 26 febbraio, durante la votazione di fiducia del governo Segni, Amendola propose a Nenni una sorta di “rilancio del fronte popolare” tra PCI e PSI, opzione subito scartata dal segretario socialista122.

Nel commentare l’evoluzione degli avvenimenti politici italiani con il presidente del Comitato per le relazioni culturali, Žukov, Togliatti pose la sua attenzione sul fatto che la crisi era provocata proprio dal crescente scontento dell’opinione italiana rispetto agli orientamenti di politica interna ed estera della DC. Žukov era interessato a sapere se, secondo il parere del segretario del PCI, in Italia ci sarebbero state da aspettarsi ferme reazioni dei cittadini a favore delle libertà democratiche così come avveniva nello stesso periodo in Francia123. Da parte sovietica, era evidente, si volevano cogliere tutti gli elementi necessari per comprendere i cambiamenti in atto.

Alla fine, dopo tre settimane di consultazioni, l’incarico di governo fu affidato ad Antonio Segni. Segni aveva definito il suo gabinetto una formazione “di centro”, in realtà la netta inclinazione a destra era testimoniata sia dal sostegno monarchico e missino, sia dall’appoggio interno della corrente di Scelba.

La politica del nuovo governo nei confronti dell’URSS, nelle previsioni dei sovietici presentava molte incertezze, dal momento che Segni era uno degli esponenti della DC che più aveva assunto posizioni contrarie a Fanfani in politica estera124. Al ministero degli Esteri tornava

121 Cfr. P. Nenni, Gli anni del centro-sinistra, Diari, 1957-1966, Milano, Sugarco, 1982, 7 febbraio 1959, pp. 35-36. 122 Ivi, 26 febbraio 1959, p. 41.

123 Cfr. Resoconto del colloquio tra il presidente del Comitato per le relazioni culturali G. Žukov e il segretario

generale del PCI Palmiro Togliatti, 6/2/1959, in RGANI, F. 5, op. 50, d. 142, ll. 27-31.

124 A seguito degli avvenimenti internazionali del ‘56 si erano delineate due tendenze all’interno della corrente di

Giuseppe Pella, determinando un mutamento di linea politica che accentuava l’indirizzo atlantico ed europeo del governo e ne ridimensionava la direttrice mediterranea125.

Il governo sovietico accolse la nomina del gabinetto Segni con molta preoccupazione126. Nella dirigenza del PCI, invece, la caduta di Fanfani non fu percepita allo stesso modo. Di sicuro a Botteghe Oscure c’era un’apprensione minore rispetto a quanto accadesse a Mosca. La fine del governo Fanfani, come fece notare Longo durante la Direzione del 18 febbraio, evidenziava un’ulteriore positiva spaccatura nella DC: “Certuni si chiedono erroneamente; era meglio Fanfani o Segni? […] La caduta di Fanfani deve essere considerata una vittoria poiché ha messo a nudo le contraddizioni della DC e ne ha ridotto la possibilità di manovra”127. Espressioni simili usava

anche Palmiro Togliatti in un articolo sarcastico su La sorte di Fanfani apparso su “Rinascita” del marzo 1959128.

La diplomazia di Mosca, nonostante i limiti politici ed ideologici dello statista aretino, contava su un miglioramento dei rapporti italo-sovietici da attuare proprio attraverso il governo Fanfani. In una informativa sul nuovo inviata al Cremlino da un agente del controspionaggio sovietico, Leonid Kolosov129, ufficialmente in Italia come corrispondente della “Pravda”, si legge:

“Il 17 febbraio uno dei più influenti esponenti della DC, Antonio Segni, ottenuto l’appoggio di monarchici, neofascisti e liberali, ha formato il nuovo governo del quale fanno parte solo i democristiani. Nel nuovo gabinetto sono entrati gli esponenti delle due correnti avversarie all’interno della DC che rispecchiano gli interessi dei differenti gruppi capitalistici. Nella composizione del governo ci sono 9 rappresentanti dell’ala destra (Andreotti, Tupini, Bettiol, Pella, Taviani, Medici, Togni, Spataro, Jervolino) e circa 9 rappresentanti della cosiddetta corrente di centro-sinistra (Bo, Gonella, Pastore, Tambroni, Rumor, Angelici, Colombo, Del Bo, Ferrari Aggradi). Segni occupa una posizione intermedia. Nelle mani degli esponenti della destra, però, sono i ministeri più importanti (Pella – Esteri; Andreotti – Difesa; Taviani – Finanze; ecc.).

Il 24 febbraio Segni è intervenuto alla Camera con le dichiarazioni programmatiche. Egli ha affermato che il governo intende continuare la politica atlantica, in particolare nei rapporti europei e nel bacino mediterraneo. ‘La situazione internazionale odierna – ha detto Segni – si è

con i comunisti in politica interna e per l’apertura di canali di dialogo a livello internazionale; e quella di Segni diametralmente opposta alla prima. Cfr. A. Giovagnoli, Il partito italiano, cit., pp. 82-83.

125 Cfr. P. Cacace, Venti anni di politica estera italiana (1943-1963), cit., p. 513. 126 Cfr. Novoe pravitel’stvo Italii [Il nuovo governo dell’Italia] in “Pravda”, 17/2/1959. 127 Cfr. ASFG, Archivio PCI, Direzione 1959, bobina 23, pp. 264-275.

128 Cfr. P. Togliatti, La sorte di Fanfani, in “Rinascita”, 3/1959, pp. 149-150.

129 Cfr. L. Kolosov, Sobkor KGB. Zapiski razvedčika i žurnalista [Corrispondente del KGB. Appunti di spia e di

irrigidita a causa della posizione dell’Unione Sovietica’. Un compito importante del nuovo governo è la realizzazione del mercato comune tra i sei Paesi130. […] Per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale i democristiani hanno formato in Italia un governo con l’aperto appoggio dei partiti più reazionari di destra”131.

Segni, del resto, aveva sempre sostenuto la più rigorosa linea atlantica in politica estera e si era opposto ad ogni iniziativa che in qualche modo rappresentasse un’apertura ai paesi comunisti. La sua corrente, peraltro, godeva dell’appoggio di ampia parte della gerarchia ecclesiastica, non ancora pronta a qualsivoglia concessione ai paesi del blocco socialista132.

Nel documento sovietico sopra citato, inoltre, si sottolineava che Segni aveva difeso in parlamento la necessità di un accordo con gli Stati Uniti per l’installazione in Italia di basi per i missili allo scopo di una difesa effettiva. Fra l’altro, a differenza di quello di Fanfani, il governo Segni del 1955-1957 non aveva tentato di rafforzare la posizione italiana in Medioriente. Mosca riteneva che proprio durante il precedente governo Segni fossero peggiorati i rapporti italo- sovietici. Nell’analisi dei sovietici, infine, si deprecava il carattere diffamatorio degli interventi di Giuseppe Pella nei confronti dell’URSS durante la campagna elettorale del maggio 1958.

La nota sovietica aggiungeva che il nuovo ministro degli Esteri Pella aveva irrigidito le posizioni nei confronti dell’Unione Sovietica nel corso degli ultimi anni. Nel 1953-54, quando ricopriva la carica di presidente del Consiglio, Pella aveva mantenuto un atteggiamento di attenzione verso il partito comunista senza cadere nella provocazione degli anticomunisti, e riguardo ai rapporti con l’Unione Sovietica si era pronunciato, a livello non ufficiale, a favore dell’allargamento dei rapporti economici e commerciali. Nel 1957-58, invece, nella veste di vicepresidente del Consiglio e di ministro dell’Interno nel governo Zoli, non solo non aveva compiuto passi in avanti per la normalizzazione dei rapporti bilaterali, ma aveva assunto una posizione totalmente contraria all’URSS. La nota, inoltre, rilevava che spesso, in qualità di ministro degli Esteri, Pella aveva manifestato orientamenti anti-sovietici, ma li aveva in un certo senso “mascherati”. Temi principali delle sue critiche erano “l’ingerenza dell’URSS in Ungheria” e la “non libertà dei regimi nei paesi delle democrazie popolari”.

130 Cfr. Informativa sulla composizione del governo italiano formato da Segni, 17/2/1959, documento redatto da L.

Kolosov, in RGAE, F. 413, op. 13, d. 8506, l. 208

131 Ivi, l. 209.

132 Pio XII era morto il 9 ottobre 1958. Nell’immediato la destra curiale aveva interpretato l’elezione di Giovanni

XXIII come una sua vittoria e potè inasprire la propria pressione contro ogni apertura a sinistra in politica interna e a favore di un rigido anticomunismo in politica estera. Sulle questioni tra Santa Sede e Unione Sovietica si veda, tra gli altri, A. Riccardi, Il Vaticano e Mosca, Roma-Bari, Laterza, 1993.

Della maggior parte dei ministri, come Umberto Tupini, Giulio Pastore, Giuseppe Togni, Giuseppe Spataro ed altri, si rimarcava il rigoroso pro-atlantismo. Di Giuseppe Bettiol si specificava che era un accanito anticomunista e che più di una volta si era espresso in parlamento con dichiarazioni contrarie all’Unione Sovietica. La stessa annotazione veniva fatta per Paolo EmilioTaviani, e Mariano Rumor. In modo più positivo venivano descritti i ministri della corrente di sinistra vicini a Fanfani o a Gronchi, come Giorgio Bo, Guido Gonella, Armando Angelini, Emilio Colombo, Benigno Zaccagnini, Rinaldo Del Bo, Mario Ferrari-Aggradi, Camillo Giardina. Erano positive le considerazioni espresse nei riguardi del ministro del Commercio Estero Del Bo che, non a caso, nell’ottobre del 1959 avrebbe realizzato la prima visita di un membro del governo italiano in URSS.

Dalla valutazione del nuovo governo italiano effettuata dai funzionari sovietici si deduce che il governo dell’URSS nutriva delle riserve in merito a un prossimo miglioramento delle relazioni bilaterali e a una soluzione dei problemi rimasti aperti dal dopoguerra. L’orientamento politico, in particolare, del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri non lasciava molti spazi di manovra.

Ogni dubbio fu chiarito nel corso della prima visita dell’ambasciatore sovietico al nuovo ministro degli Esteri il 5 marzo. Quando Kozyrev ricordò a Pella che l’anno precedente ci si era accordati di iniziare i colloqui per “alleggerire i rapporti bilaterali” dalle questioni belliche, il ministro gli rispose seccamente che il governo italiano avrebbe dovuto innanzitutto creare un regime di “rigida difesa dal comunismo interno e dai suoi alleati”. Non era intenzione del governo italiano applicare delle misure speciali contro il PCI, ma bisognava a tutti i costi dimostrare che, pur in vista di un miglioramento dei rapporti con l’URSS, non si voleva in alcun modo avvantaggiare il PCI133. Da parte italiana, insomma, si temeva un nuovo corso dei rapporti con l’URSS e per logiche di politica interna e per eventuali implicazioni di natura internazionale.