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L’ identità nel corpo

al vissuto incorporeo

11. LA CORPOREITA’ COME ESSER-C

11.3. L’ identità nel corpo

Quando si vuole denotare l’esistenza singola e irriducibile di una persona umana, non c’è altro modo che indicare il suo corpo che vive: che sussiste nella sua forma, che si muove, che sente, che pensa.

La definizione classica di persona, che da Boezio attraversa l’intero Medioevo, e in qualche modo continua ad essere il sottofondo di molte discussioni, è un’essenza che possiede razionalità e che sussiste individualizzata; ma tale definizione potrebbe essere parafrasata, anche, come: un corpo che vive una vita razionale, o potenzialmente razionale. Si tratta, insomma, di porre fin dall'inizio la corporeità come prima espressione di quella singolarità che caratterizza originariamente la persona e anzi quasi la definisce nella sua assoluta unicità, per cui io sperimento me stesso come unico a partire dal mio insostituibile corpo, e comprendo gli altri nella loro unicità a partire dalla loro esistenza corporea. L'essere individuale dell'uomo deriva del tutto dalla sua corporeità: la prima e immediata espressione dell'esistenza, viene ricercata nella cosa indicabile, spazializzata e materializzata.

406 ivi, p. 116

407 F. Rella, op. cit., p. 9.

408 ibidem. “Plotino per liberar l’idea da ogni traccia del corpo, la spinge oltre se stessa: il bello per

essere tale non deve avere forma, né essere forma. È una sorta di delirio d’oltranza che si ripete per ogni idea; per il bene, per l’intelletto […] alla fine della sua speculazione, proprio mentre Plotino si appresta a invitare ad una ‘fuga di sé a sé’, al di fuori perfino della identità personale, il corpo e la materialità rimossa si ripresentano davanti a lui, nelle sue parole, come l’anima stessa, il nocciolo, l'essenza della sua estrema astrazione”. ivi, p. 30.

La persona umana si offre, anzitutto, come un corpo vivente e reale, ciò significa che essa viene a definirsi all’interno di termini contraddittori: una individualità mutevole, però esistente, fragile tuttavia razionale. Parlare infatti di un sé, non come di una cosa, ma di un processo, che acquista senso nella sua dimensione incarnata, porta ad un sé non più riconducibile ad uno statuto fisso coerente e stabile. Tuttavia, i circuiti neurali ci rappresentano con continuità l'organismo -mentre esso è perturbato da stimoli provenienti dall'ambiente fisico e socio-culturale, e/o mentre agisce su tali ambienti- proprio perché è il nostro organismo è ancorato nel corpo: “il sé è uno stato biologico ripetutamente ricostruito; non è un minuscolo individuo che se ne sta all'interno del nostro cervello a contemplare quel che succede. […] in mancanza di stimoli uscenti diretti al corpo come campo d'azione, capaci di contribuire al rinnovarsi e al modificarsi degli stati corporei, ne risulterebbero sospesi l'innesco e la modulazione di quegli stati che, quando vengono ripresentati al cervello, costituiscono ciò che a me sembra il fondamento del senso di essere vivi. "410. In breve, le rappresentazioni che il cervello

costruisce per descrivere una situazione, e i movimenti elaborati come risposta, dipendono da mutue interazioni tra corpo e cervello411.

Le rappresentazioni primitive del corpo fornirebbero una cornice temporale e spaziale-metrica alla quale riportare le altre rappresentazioni che noi costruiamo del mondo e, anche se non sapremo mai quanto la nostra conoscenza sia fedele alla realtà assoluta, quello che ci occorre avere è una solida coerenza nella costruzione della realtà che il nostro cervello produce e condivide con gli altri. Ma la cosa più importante forse è che “le rappresentazioni primitive del corpo in attività potrebbero avere un ruolo nella coscienza, offrendo un nucleo alla rappresentazione neurale del sé e quindi un riferimento naturale per ciò che accade nell'organismo all'interno o all'esterno del suo confine fisico”412.

Le riflessioni finora condotte convergono nell’accordare un privilegio genetico alla sensibilità. È infatti la sensibilità che anzitutto viene collegata alla vita corporea, ed è soprattutto la sensibilità che pone subito in un mondo circostante che è differente dal soggetto. Se l’intelletto dell’uomo fosse da solo e in quanto tale in grado di produrre conoscenza, allora si tratterebbe di un intelletto infinito, creatore, la cui spontaneità è già di per sé fonte di realtà; ma l’uomo è un essere finito, che ha necessità di una facoltà recettiva per garantire l'oggettività dei propri concetti. Questa è la posizione di Kant che, nella Critica della ragione pura, premette alla logica un’estetica, limitando, quindi, le conoscenze universali ai vincoli delle forme sensibili. I sensi presentano al pensiero qualcosa di altro da sé, quell’irriducibilmente diverso che è in grado di tracciare i confini tra la realtà e l’immaginazione, dove il termine include la speculazione concettuale nel senso che l’esistenza della cosa è quando posso riferire al pensiero qualcosa di distinto dal pensiero. I sensi soli possono dare la realtà delle cose come differente dall’autoidentità del pensiero realizzando quell’apertura intenzionale al mondo

410 A. Damasio, 1995, op.cit., p. 309-311.

411 Via via che il corpo cambia, per influenze chimiche neurali, le rappresentazioni che il cervello

ricostruisce si evolvono; alcune rimangono non consce, mentre altre raggiungono la coscienza. Allo stesso tempo al corpo, continuano ad affluire segnali provenienti dal cervello, alcuni in modo deliberato, altri in modo automatico con il risultato è che il corpo si modifiche ancora, e quindi si modifica l'immagine che se ne ha.

412

Questo ci fa concludere che l’individuo considerato nei suoi aspetti culturali, psicologici e biologici, ha bisogno di un altro individuo con cui relazionarsi e comunicare per avere accesso alla conoscenza di sé. In effetti, è molto difficile individuare la presenza di un lógos razionale prima del consapevole avvento del

diálogos, del confronto argomentante delle idee, dunque, è l'incontro con l’altra

persona il luogo di nascita della razionalità. Per cui il diálogos non è una derivazione del lógos, ma al contrario, il secondo è un processo di astrazione del primo.

Ma, per poter pensare l’alterità come qualcosa di costitutivo ed essenziale nella persona umana, bisogna pensare immediatamente e prioritariamente la corporeità: un corpo che è assolutamente mio, che incontra altri corpi che sono assolutamente non miei, altrui. L’altro è l’elemento su cui si fonda la possibilità stessa dell’esperienza umana: “I codici affettivi e informativi che sono trasmessi nella relazione con l’altro diventano le strutture portanti dell’esperienza unica e irripetibile di ognuno e contemporaneamente pongono le basi della struttura conoscitiva dell’uno insieme con gli altri. L’essere confermati nella propria esistenza come altro da sé […] è momento essenziale per la vita del singolo e della comunità”413.

413 M. Combi, Il grido e la carezza. Percorsi nell'immaginario del corpo e della parola, Meltemi,