al vissuto incorporeo
10. IL PROBLEMA MENTE-CORPO
10.3. Verso il naturalismo
La teoria dell’identità, l’eliminativismo e alcune forme di funzionalismo convergono verso il ‘naturalismo’, ossia verso una posizione filosofica che considera l’uomo come parte della natura e ritiene che la specie umana sia il prodotto dell’evoluzione biologica al pari di tutte le altre specie animali. Tale posizione è basata su una ‘nuova’ concezione della mente, in cui la mente è vincolata a corpo e cervello, ma anche frutto dell’interazione tra corpo, cervello e ambiente. Di conseguenza la cognizione è situata, cioè radicata in contesti reali. Vi è inoltre una continuità tra percezione, cognizione, azione: l’azione non è l’output del sistema cognitivo ma è il cuore della cognizione; agendo acquisiamo informazioni e in vista dell’azione selezioniamo e lavoriamo informazioni rilevanti.
Tale teoria si configura come una ‘terza via’, che ristabilisce un equilibrio dopo la rivoluzione copernicana del problema mente-corpo, che ha portato dalla seconda metà del ‘900 a dare una nuova centralità al fisico assumendo anche forme estreme.
Tra le varie posizioni ascrivibili a tale corrente di pensiero spicca la posizione di Searle che postula un naturalismo biologico per il quale la coscienza, e più in generale la mente umana, sono suscettibili di una spiegazione in termini biologici, pur evitando ogni forma di riduzionismo, restituendola al dominio delle scienze della natura, senza, tuttavia, rinunciare alle sue caratteristiche irriducibilmente soggettive e individuali. La coscienza è, infatti, ciò che rende veramente arduo il problema del
rapporto fra la mente e il corpo, la vera sfida per una teoria della mente che intenda confrontarsi anche con il problema dell'io e della soggettività. Searle, ha elaborato una teoria ‘naturalista’ della coscienza che, pur facendo riferimento ai dati
sperimentali della neurobiologia, non accetta l'idea che la mente sia ‘ridotta’ al cervello e tantomeno eliminata in favore di un agglomerato di neuroni, sinapsi e dendriti. L’obiettivo di Searle è una teoria non-riduzionista ed evoluzionista della mente che riesca a tenere insieme le attuali conoscenze sull'architettura del nostro cervello, grazie a cui riconosciamo la reale esistenza degli stati mentali e degli stati cerebrali, con l’esistenza dei qualia, gli stati percettivi che caratterizzano ogni soggetto cosciente.
Egli sostiene un “naturalismo biologico”, affermando che i fenomeni mentali sono fenomeni primitivi, irriducibili sia ad eventi fisici che ad enti o fenomeni più profondi e misteriosi. La coscienza è, così, un processo biologico che accade nel cervello ed è insieme un processo soggettivo, irriducibile a qualcos’altro.
L’ambizioso tentativo del naturalismo biologico è quello di elaborare una teoria della coscienza di tipo materialista, senza tuttavia cadere nel materialismo che ridurrebbe la coscienza a stati cerebrali, a neuroni, sinapsi e cellule nervose La teoria della mente di Searle si fonda sul concetto di intenzionalità e attacca duramente le tesi del funzionalismo e dell’intelligenza artificiale, così come la possibilità di riproduzione meccanica della mente umana. Per il filosofo non è possibile ridurre la mente a pure operazioni della logica, alla computazione, perché non esiste alcun tipo di computazione in grado di ricreare la dimensione soggettiva della coscienza. Solo il cervello umano è capace di intenzionalità, e quindi di produrre comportamenti autenticamente intelligenti377.
La coscienza non appartiene a un mondo diverso da quello della natura che ci circonda. Ignoriamo il carattere naturale della coscienza a causa della tradizione filosofica, che ha trasformato il ‘mentale’ e il ‘fisico’ in due categorie che si escludono reciprocamente. La via di uscita sta nel rifiutare sia il dualismo che il materialismo e nell’accettare che la coscienza sia un fenomeno mentale qualitativo, soggettivo, e allo stesso tempo che essa sia una parte naturale del mondo fisico. Per Searle la coscienza va concepita, al di là della separazione di fisico e mentale, come una proprietà che emerge dal cervello: analogamente a uno strumento in grado di emettere musica, il cervello sarebbe una macchina organica, di cui la coscienza rappresenta una attività. Tuttavia, poiché gli atti comunicativi sono comunque realizzati fisicamente (emettendo sequenze di suoni, tracciando segni su una superficie e così via), occorre spiegare come un evento fisico possa essere portatore di significati; ciò secondo Searle è reso possibile da una capacità fondamentale propria della mente: la capacità di rappresentare, la quale è diretta conseguenza della capacità del cervello di sostenere stati di coscienza. Essa è una tipica realtà di confine, una ‘interfaccia’ tra due mondi radicalmente differenti, quello fisico e quello della conoscenza.
La coscienza si profila, allora, come un agente che produce le proprie conoscenze, per cui l'osservazione del reale è un processo mediato da strutture interne, strati di esperienza passata, acquisizioni teoriche, in cui rientrano anche i processi non coscienti articolati in differenti livelli e costituiti da una serie di abilità e prestazioni che si sviluppano in modo automatico e da quei schemi di
377 Attraverso la teoria degli atti linguistici, in cui era implicita l'analisi dell'intenzione e una teoria
dell’intenzionalità egli sviluppa una teoria della realtà sociale, nel senso che l’intenzionalità, tramite il linguaggio, giunge a creare la realtà istituzionale, il denaro, la proprietà, i governi e la politica. In pratica le istituzioni sociali non hanno, di per sé, alcuna realtà: sono gli uomini che rendono reali i fatti e le strutture sociali.
comportamento inconsapevoli che traggono alimento dalle tradizioni e dall'abitudine ed orientano le nostre azioni. La mente si può intendere come una specie di ‘cervello nel cervello’, una sorta di metalivello costituito dall'insieme dei circuiti che presiedono alla supervisione dei comportamenti non automatici e che svolge, in questa veste, la funzione di congiunzione tra stati fisici e contenuti oggettivi del pensiero.
Il “naturalismo” trova successo anche tra neurofisiologi come Damasio, per il quale la nostra mente è costruita a partire da idee che sono in definitiva rappresentazioni cerebrali del corpo. Tuttavia, ciò non esclude che il cervello sia già al momento della nascita impregnato di conoscenze sul modo di governare l’organismo, in pratica alcune connessioni per la creazione di mappe sono già presenti: “ alcune idee del corpo che finiscono per costituire i fondamenti della mente sono notevolmente vincolate dal piano preesistente dell'architettura del cervello, nonché dalle esigenze complessive dell'organismo. Esse sono idee di azione del corpo, ma quelle azioni sono state primo luogo sognate da un cervello, che ne ha poi comandato l’esecuzione in un corpo”378.
Nell’ipotesi di Damasio, la mente esiste perché c’è un corpo che la rifornisce di contenuti; d’altro canto, essa finisce per eseguire compiti che si rivelano utili e pratici per il corpo. Considerare la mente nella prospettiva del corpo ha il vantaggio che così facendo possiamo riuscire a pervenire ad una spiegazione razionale della mente che non potremmo ottenere se la considerassimo solo in relazione al cervello: “La mente esiste per il corpo: è impegnata nel raccontare la storia dei molteplici eventi che interessano il corpo, e si serve di quella storia per ottimizzare la vita dell'organismo nel suo complesso”379. Grazie alla mediazione del cervello la mente è
radicata nel corpo, essa “emerge da (o all’interno di) un tessuto biologico -e cellule nervose- che condivide le stesse caratteristiche valide per definire gli altri tessuti del corpo”380. Tuttavia ad essa sono connesse le funzioni cognitive alte, come il linguaggio, la memoria, la ragione, le quali consentono a un organismo di diventare un organismo con una mente, cioè un tipo di organismo in cui le risposte sono modellate da una preoccupazione e cura mentale per la vita stessa dell’organismo.
Se la coscienza è il meccanismo mediante il quale il cervello ‘monitorizza’, ossia presenta a se stesso in un certo formato mediante un qualche meccanismo di “percezione intracerebrale”, una parte della sua attività per poterla meglio coordinare, come è ipotizzato da molti psicologi cognitivi e neuroscienziati, allora la differenza tra gli stati mentali ed i loro correlati neuronali potrebbe essere intesa, non come una differenza tra due ‘cose’ -la res cogitans e la res extensa di cartesiana memoria-, bensì come una differenza tra due forme di presentazione, ossia tra due formati, della medesima cosa: così i processi cerebrali, se percepiti internamente dal cervello stesso, apparirebbero come stati di coscienza.
Il naturalismo è una cornice filosofica generale entro la quale si può tentare di ‘naturalizzare’ vari aspetti dell’attività mentale umana, ossia si può tentare di spiegare, mediante ipotesi empiriche che la ricerca scientifica s’incaricherà di confermare o smentire, quali processi neurofisiologici realizzino i vari stati mentali (vedere un oggetto, ricordare un evento, immaginare qualcosa, desiderare, ecc). Gli oppositori del naturalismo obiettano, però, che almeno alcuni aspetti dell’attività
378 A.Damasio, op.cit., p. 246-7 379 ivi, p. 247.
mentale non sono naturalizzabili, viene cioè contestata dai suoi avversari “l’irriducibilità degli stati mentali a stati celebrali in virtù del loro carattere cosciente e intenzionale”. Tuttavia, l’ipotesi che lo stesso processo cerebrale, costituito da “un imprescrutabile brulichio di minicorrenti elettrochimiche tra miliardi e miliardi di neuroni”, si presenti al soggetto sotto la forma di stati di coscienza, quando il cervello stesso gli dia il ‘formato’ giusto, non è poi così implausibile.