come tecnologia
8. LA VIRTUALITÀ DELL’IMMAGINE PROSPETTICA
8.1. L’immagine, ovvero la comunicazione analogica
Nell'era della comunicazione mediatica, la parola scritta sembra soppiantata dalla nuova parola ‘orale’. La voce incorporea dei media, dopo secoli di silenzio tipografico, occupa gli spazi dell’informazione e della trasmissione del sapere. Ma il suono nell’era ‘tecno-mediale’ è solo il sottofondo, ciò che va a rendere più significativo e corposo quello che costituisce il canale informativo reale: l’immagine. Ora, applicando la famosa formula mcluhaniana, secondo cui il medium è il messaggio, nella nostra società dominata dai media, ‘l’immagine è il messaggio’
La mente umana elabora le informazioni che provengono dal corpo stesso e dal mondo esterno creando delle rappresentazioni mentali delle stesse, ossia traducendole in immagini. La capacità umana rappresentativa è presente anche quando le immagini vengono evocate nella mente da sollecitazioni diverse come può essere la lettura di un testo che immediatamente viene tradotto “come possibile luogo di condensazione ed espansione [in una sorta di] narratologia delle immagini”237.
Le immagini assumono nell’economia cognitiva, a livello iconico, la stessa funzione che i concetti hanno a livello proposizionale. Rappresentare la realtà vissuta e percepita, come anche creare delle altre realtà e dare ad esse dei significati intrinseci, risponde ad un bisogno di organizzare la propria conoscenza. Le immagini veicolano i simboli di una determinata cultura, in tal senso “sono entità fondamentali, per le loro implicazioni psicologiche, nell’organizzazione culturale delle società: la qualità e le modalità del riconoscimento della loro presenza e sviluppo riguardante avvenimenti sia interni che esterni, delimitano e fissano delle tracce indicate della cultura”238.
236 G.C Argan, Storia dell’arte italiana, vol. 2, Sansoni, Firenze 1994, p. 186-88.
237 M.Barbero, Premessa, in M.Bacchetti, Storie dell’arte. La narrazione nelle immagini, Scuola
Holden Bur, Milano 2000, p. III.
238 M. Combi, Il grido e la carezza. Percorsi nell'immaginario del corpo e della parola, Meltemi,
Roma 1998, p. 152. Il racconto del mito è reso comprensibile dal simbolismo elaborato dalla società che incide notevolmente anche sull’attività dell’immaginario perché è uno degli elementi del sistema chiamato cultura.
Riprendendo quanto detto da Havelock, circa la necessità di ogni cultura di appoggiarsi sempre ad archetipi verbali per trasmettere le sue conoscenze, i suoi valori, le sue tradizioni, si può dire che il linguaggio della società contemporanea ha sostituito quello logico-lineare del logos, con quello analogico, intuitivo e olistico dell’immagine. Ciò significa che il carico informativo, nella società dei media, è assunto dall’immagine più che dalla parola, ossia la parola è compresa quando si articola all’interno della formula–immagine. In tal senso, a nostro avviso, piuttosto che parlare di ‘nuova’ oralità, come ipotizza Ong, è più appropriato parlare di società dell’immagine. Il passaggio dall’udito alla vista si radicalizza nell’ipervisualismo della cultura postmoderna Tale realtà sembra porsi su una linea di continuità con il tratto che da sempre ha caratterizzato il processo di ominazione, ossia la tendenza dell’uomo di porsi davanti al mondo, di porre una distanza tra lui e questo, condizione che l’uomo ha attuato con il predominio della visione a scapito delle altre modalità sensoriali che, di contro, implicano contatto, partecipazione del mondo.
L’ipervisualismo, ereditato dall’affermarsi dell’alfabeto, aveva permesso la nascita della scienza moderna; quello contemporaneo si autosupera, trascendendo i limiti di esteriorizzazione e rigidità della visione e assorbendo in sé i caratteri psicodinamici degli altri sensi. Il virtuale, creando ambienti multisensoriali, sta modellando l’intero sistema della comunicazione visiva, che si pone in modo rivoluzionario rispetto alla storiche questione della mimesi e dell’analogia, così che oggi il nuovo ordine visivo indubbiamente non ha più nulla di mimetico nel senso tradizionale.
Il potere comunicativo delle immagini si basa sulla loro capacità di rimando analogico o somigliante all’oggetto. Infatti, volendo dare una definizione di immagine possiamo definirla, convenzionalmente, come una rappresentazione di un oggetto, materiale o concettuale che intrattiene un specifico rapporto con “il suo referente da poterlo rappresentare a tutti gli effetti e consentirne così il riconoscimento e l’identificazione tramite il pensiero”. I punti più rilevanti sono “il carattere di rappresentazione, la natura sensibile di questa rappresentazione e la presenza immancabile di un referente. […] Ognuno di questi aspetti è ugualmente importante e la specificità dell’immagine rispetto alla cosa e rispetto al concetto, collocati idealmente agli estremi sta proprio in questo intreccio preferenziale” 239. Quanto detto vale sia per l’immagine mentale, che per quelle oggettivate in un medium.
L’attività rappresentativa non risponde solo ad un esigenza comunicativa, bensì come il linguaggio, le immagini rappresentano una strategie messe in atto dal soggetto, per giungere all'organizzazione della propria esperienza. Nel loro carattere analogico, esse costituiscono un modo economico per richiamare la realtà esterna, in quanto conservano costanti alcuni attributi fisici della realtà e racchiudono in modo implicito molte informazioni sui rapporti spaziali degli oggetti. Sia Bruner, che Piaget, nel ricostruire l’itinerario dello sviluppo cognitivo, distinguono tra rappresentazioni immaginative e rappresentazioni verbali in termini di concreto e astratto 240.
239 M. Monaldi, op. cit., p. 24.
240 Cfr. J. Bruner , Studi sullo sviluppo cognitivo, Armando, Roma 1968 e J. Piaget, B. Inhelder,
L’immagine mentale del bambino, La Nuova Italia, Firenze 1974. Per Bruner vi è il passaggio dalla percezione della realtà alla sua rappresentazione prima in immagine e quindi in simbolo. La costruzione della realtà interiore, mediata dalle immagini, si sviluppa quando la mente -grazie alla
Per quanto riguarda il rappresentare la realtà concretamente attraverso una sua trasposizione virtuale su un piano bidimensionale o tridimensionale, questo risponde alla necessità dell’uomo di ri-produrre, se non di ri-creare, il mondo esperito, in modo di poter fissare l’immagine visiva transeunte241. Una rappresentazione è, quindi, una configurazione che sostituisce la realtà fornendo alcune informazioni su di essa e tralasciandone altre: “Il campo dell’immagine, i suoi contorni e il suo sfondo non sempre chiari, tendono a sovrapporsi nel nostro sapere, che si costituisce per mezzo di immagine, ma che può anche essere pensato come un oggetto fuori di noi che dà appunto una certa immagine di sé.”242.
La filosofia ha sempre portato avanti una lotta contro l’immagine nella sua pretesa gnoseologica. Aristotele pone l’immaginazione su una scala di funzioni, dove l'immaginazione occupa la posizione intermedia. Questa messa in posizione, o in situazione, ha il vantaggio di richiamare l’attenzione sul carattere ‘misto’ che viene legato alle operazioni dell’immaginazione, questa viene così individuata in rapporto a due fulcri determinanti: la sensazione e il concetto. In rapporto alla sensazione l’immaginazione si definisce “come l’assenza in rapporto alla presenza, […] o come il quasi -o lo pseudo- in rapporto all’autentico o al vero. Dall’altro lato, l’immaginazione è attirata nell’orbita del pensiero concettuale, al quale essa si oppone in quanto pre-concettuale, rappresentativa o figurativa”243. Ma mentre la sensazione e il pensiero sono veri in sé, l’immaginazione, per essenza può essere vera o falsa; essa è costituzionalmente ‘ambigua’, “è strutturalmente in difetto di verità”. In questo suo collocarsi, nell’immaginazione viene ad essere privilegiato non “il potere liberante della finzione”, ma quello alienante del ‘far-credere’, dell’inganno e dell’illusione.
Per Ricoeur, tuttavia, una via più feconda della fenomenologia dell’immagine sembra aperta dalle ricerche dedicate ai rapporti tra immagine e linguaggio. L’intento del filosofo è quello di liberare l’immagine dal ruolo di mera passività rispetto al reale fondando un ontologia problematica dell’immagine, in un approccio che va dal
maturazione neuronale e all’apprendimento- è in condizione di cogliere i significati simbolici della realtà esterna: sono le immagini che consentono di anticipare i comportamenti prima di metterli in atto, e di creare un mondo interiore in cui desideri ed emozioni possono essere tematizzati. Dallo schema dell’azione si passa allo schema spaziale e all’immagine, che si ferma però alla ‘superficie delle cose’, cioè agli aspetti sensoriali degli oggetti, e poi agli aspetti invarianti, astratti, simbolici della realtà. Piaget sottolinea maggiormente come l’immagine sia essenziale per rappresentare la realtà in termini simbolici: essa forma infatti la base degli schemi mentali su cui si fonda l’intero processo di costruzione della conoscenza, dalle forme più semplici a quelle più complesse di simbolizzazione. Le immagini codificate dagli stimoli esterni vengono ‘assimilate’ e integrate negli schemi esistenti, ma al tempo stesso le discrepanze tra i nuovi stimoli e gli schemi pregressi vengono risolte creando nuove immagini e nuovi schemi ‘accomodati’ basandosi su di esse.
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Bisogna tener presente che quello che l’uomo intende per realtà è quello che percepisce attraverso il suo proprio e peculiare sistema oculare. Il sistema oculare dell’uomo si basa sulla visione binoculare e, attraverso una serie di passaggi nervosi, le due immagini percepite si sovrappongono per trasmetterne al cervello una sola, inoltre, con una buona rilevazione tridimensionale. L’arco visivo che gli occhi percepiscono distintamente si avvicina a 60 gradi, ma gli occhi, anche inavvertitamente, si muovono e ci trasmettono una visione ben più ampia; infine, mentre gli occhi hanno una percezione deformata, ovvero convergente, la mente automaticamente, almeno per le forme conosciute, ricostruisce una realtà di forme e dimensioni ‘vere’ che il sistema visivo questa volta non percepisce con esattezza ed obiettività.
242 G. P. Caprettini, in M.Combi, op.cit.
243 P. Ricoeur, Cinque lezioni. Dal linguaggio all’immagine, a cura di R. Messori, Centro
linguaggio verso l’immagine e, nello specifico, come attraverso la metafora, opera del discorso, giungiamo all’immagine, che nasce nel momento in cui le parole sono ancora in un percepibile stato tensivo, per il loro essere qualcosa ‘in atto’, ossia si continua a percepire l’incompatibilità letterale attraverso la nuova compatibilità semantica. L’immaginazione è lo stadio dove la parentela generica non è ancora passata alla pace del concetto, ma rimane nel conflitto della prossimità e della distanza. Essenzialmente l’immagine gioca rispetto all’informazione una doppia valenza: come sospensione del reale, essa pone il senso nella dimensione della irrealtà, come flusso di rappresentazioni essa investe il senso nello spessore del quasi-percepito”244. Questa analisi suggerisce che la finzione può rappresentare una svolta per ‘ridescrivere’ la ‘realtà’, e che il linguaggio metaforico, nella sua dimensione referenziale, ha il potere di aprire delle nuove dimensioni di realtà, in cui l’immagine: “da essere ciò che è ‘irreale’, diviene, nelle sue virtualità essenziali, ciò che è ’surreale’ ossia essa presenta, più che in tutti i nostri discorsi, dei modi di abitare il mondo “a partire da ciò che essa ‘dà più’ a capire”245.
L’utilizzo del potere mediale dell’immagine trova il suo antecedente nella costruzione geometrica della prospettiva che va a costituirsi come modo mentale.