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La virtualità come Vuoto

al vissuto incorporeo

13. LA VIRTUO-COMPLESSITA’

13.4 La virtualità come Vuoto

L’Occidente, è quel settore geografico e storico dove l’umanità è cresciuta sulla lacerazione dell’uomo, sulla concezione dell’uomo come giustapposizione di parti eterogenee, nella tensione di tradurre anche il mondo della vita nell’ipotesi matematica sacrificando l’offerta di significati che lo anima. Il pensiero greco si è sviluppato sul mondo configurato dalla lingua, ossia sul mondo fondato dall’uomo. Un mondo sottoposto alla riduzione tecnica che il linguaggio come ogni tecnologia opera, in cui viene celebrato l’essere parmeneideo sottratto del tutto al mondo empirico percepibile con i sensi, che viene invece ridotto a semplice apparenza. Avviene quello che Lorè definisce il trionfo della lingua-ragione471. Il dualismo, che da duemila anni ha contrapposto lo spirito alla materia, l’io al mondo, l’anima al corpo, la teoria alla vita, concependoli come due in sé, va allora considerato in un’ottica di relativismo culturale.

La tradizione orientale, in particolare quella taoista e zen, infatti, non ha mai posto né sviluppato quella differenza radicale tra teoria e pratica che ha invece caratterizzato la cultura occidentale: “per il pensiero cinese e, poi, per quello giapponese, ogni idea è già un’azione, ed ogni azione possiede in sé energia e valore

spirituali”472. Da ciò consegue un pensiero estraneo a posizioni metafisiche, ad

469 ivi, p. 79. 470 ivi, p. 85.

471 Cfr. B. Lorè, Scrittura e tragedia nell’età di Eschilo, materiali di studio, Libreria Kappa, 2002. Si

veda Prima parte, cap.4

elaborazioni concettuali e ideali, piuttosto si può dire che esso è pragmatico e talvolta addirittura empirico; ovvero che, in generale, a differenza di quanto è avvenuto lungo quasi tutta la storia del pensiero occidentale, nel pensiero orientale -almeno per quanto riguarda quelle sue espressioni sedimentate nei testi taoisti classici e buddhisti- non si è mai sentito il bisogno di ‘sistemare’ le esperienze in qualche teoria, piuttosto si è manifestata una radicata e costante predilezione per tutti quei modi in grado di produrre un rapporto diretto con l’esperienza, privo di mediazioni intellettuali e culturali. Questa ‘assenza’ di teoria non è stata affatto considerata come una ‘mancanza’ di teoria o come incapacità di pensare in termini astratti e in forma sistematica: al contrario, si è sempre ritenuto che proprio i tentativi di elaborare teorie finiscano per limitare le esperienze abbassandone la qualità e diminuendone l’intensità. Per questo nella Raccolta della Roccia Blu, crestomazia delle scritture zen, è detto: “Quando i sentimenti di giudizio della coscienza intellettuale terminano, solo allora potete vedere fino in fondo”473. Il rapporto con la realtà è quindi preferito al rapporto con i concetti, o almeno con quei concetti che pretendono di sostituirsi alla realtà.

Il nucleo centrale del pensiero taoista e buddhista è dato dal ‘vuoto’: “non dal

concetto di vuoto, ma dall’esperienza del vuoto”. Questa esperienza del vuoto è

ottenibile solo mediante la pratica di un particolare tipo di meditazione474. Il più

celebre e chiaro riferimento al vuoto, è quello contenuto nel capitolo XI del

Daodejing, opera taoista, in cui si legge: “Si ha un bel lavorare l'argilla per fare

vasellame, l'utilità del vasellame dipende da ciò che non c'è. […] Così, traendo partito da ciò che è, si utilizza quello che non c'è”.

Il ‘non esserci’, il ‘non c’è’, è indicato con il termine wu, ossia la parte vuota del vaso che ne costituisce l’utilità. In tal senso wu indica un vuoto determinato, non astratto: non indica un concetto generale, ma segnala sempre la presenza, l’efficacia del vuoto di qualcosa: “Quindi, se e quando si trova wu reso con non-essere, con Nulla o con Vuoto è da ricordare che in ogni caso tali nomi non rimandano immediatamente ad un'entità metafisica quale potrebbe essere la Causa prima, il Principio assoluto o la Sostanza unica”. D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel Daodejing si trova un riferimento al “Vuoto che potrebbe portare a intenderlo proprio come origine prima e sostanza universale di ogni cosa: ‘l'Essere è generato dal Non-essere’”. Questa apparente contraddizione si può superare ricordando che nei testi taoisti il Vuoto ha una connotazione che è insieme dialettica e

trascendentale 475.

La natura dialettica della parola Vuoto, in cui il termine ‘dialettica’ va letto nell’accezione deleuziana, è esplicitamente dichiarata nel verso: “l’essere e il non essere si generano l'un l’altro”476. In questa posizione dialettica non ha senso definire

1995, p. IX.

473 ibidem. Non è qui il caso di indugiare a stabilire se abbia avuto ragione Hegel a considerare il

pensiero orientale una forma di pensiero infantile, non ancora pienamente sviluppato, o se abbiano avuto ragione molti pensatori cinesi e giapponesi a considerare la passione per la teoria una malattia infantile che colpisce la vita dello spirito spesso con esiti anche letali.

474 La meditazione si fonda sulla respirazione. Infatti la respirazione è simbolo del divenire e quindi

della impermanenza della realtà, e della funzione del vuoto condizione necessaria del divenire stesso. Cfr. ivi, p. 61.

475 Cfr. ivi, pp. 5-7. 476 ivi, p. 7.

se l’origine del mondo è costituito dall’essere o dal non-essere477. Ciò che si può conoscere è dunque il non-essere di qualcosa, ovvero un determinato nulla, che ‘è’ solo nel rapporto necessario che esso intrattiene con l’essere-di-qualcosa; in tal senso il vuoto costituisce la “parte integrante e funzione costitutiva dell’essere”.

Questa espressione, può indurci a pensare ad una compresenza, ad una contiguità del vuoto rispetto al pieno, ma esaminando il testo citato, scrive Pasqualotto, vediamo che in realtà “il non-essere costituisce ‘l’utilità’ Ciò significa che il non-essere non è né una parte dell’essere, né qualcosa di separato dall’essere, ma è la sua funzione costitutiva o la sua costituente funzionale: il vuoto di un vaso, infatti, non è semplicemente la sua parte interna o lo spazio vuoto che lo circonda, ma è ciò che lo fa essere vaso, ciò che rende funzionale la sua argilla, ossia il suo pieno”478. Il vuoto agisce già all’interno di ogni forma materiale demolendo le sue istanze di essere qualcosa di autonomo: così agendo, il vuoto produce contemporaneamente le condizioni per le quali ciascuna forma materiale esiste ed è conoscibile solo in rapporto alle altre forme materiali. Il vuoto si pone quindi come un campo fisico in cui interagiscono delle forze che, senza di esso, non esisterebbero e non sarebbero neppure percepibili: ovvero, il vuoto può essere inteso come “equivalente di uno sfondo a figure che manifestano i loro propri contorni solo grazie all’interazione reciproca tra esse, interazione garantita e resa possibile dallo sfondo stesso: il vuoto è la condizione di possibilità di ogni forma materiale, ma come nessuno sfondo sussiste separato dalle figure che vi si dispongono, così il vuoto non può avere realtà separata rispetto alle forme materiali che esso rende possibile”479.

È anche interessante notare che tale dialettica relativa al rapporto pieno/vuoto sembra anticipare quanto la scienza fisica contemporanea ha scoperto. Per tale scienza l’atomo in pratica è quasi vuoto, inoltre con la nozione di campo la fisica ha dato alla nozione di vuoto e soprattutto alla sua funzione il suo carattere di utilità; infatti il campo è il veicolo di tutti i fenomeni naturali. Il vuoto assunto come campo acquista una connotazione trascendentale. Infatti, se il vuoto fosse visto solo come un determinato vuoto in rapporto con un determinato pieno di un oggetto o di un fenomeno specifico, esso sarebbe confinato nei limiti delle singole particolarità empiriche; “Il vuoto, invece, si manifesta come trascendentale nel senso che agisce nello stesso tempo da universale e da particolare, come nel caso della struttura atomica della materia in cui il vuoto è nel contempo costituente interno di ciascun atomo e condizione necessaria per le interazioni di tutti gli atomi; ovvero come nel caso della scrittura, in cui il vuoto è presente all’interno di ogni singolo carattere e simultaneamente, è condizione necessaria dei rapporti tra i caratteri, oltre che ‘campo’ di dislocazione e d’azione delle parole e delle frasi”480.

Anche se il vuoto ha un carattere spaziale, nella filosofia taoista e zen esso presenta anche una dinamica temporale in cui lo spazio vuoto del vaso è il risultato di uno svuotamento avvenuto, ma anche premessa di un riempimento a venire, dunque in tal senso il tempo regola mutamenti delle configurazioni spaziali al punto che

477 L’unica posizione razionale ed equilibrata per i taoisti è quella che, in termini filosofici

occidentali, è denominata agnostica: di tutto ciò che è al di là dell’universo, il Santo ne ammette l’esistenza, ma non ne tratta. Tutto ciò che è all’interno dell’universo, il Santo ne tratta ma non lo commenta”. ivi, p. 8. Questa posizione in qualche modo ricorda la riflessione kantiana nella Critica rispetto all’inconoscibilità del noumeno.

478 ivi, p. 9. 479 ivi, p. 53. 480 ivi, p. 12.

perfino Cielo e Terra non possono persistere: “il vuoto spaziale, in sé per sé non esiste non soltanto perché esso si dà unicamente e sempre in rapporto con il pieno spaziale ma soprattutto perché questo rapporto è regolato dal vuoto temporale che lo rende dinamico ossia instabile e impermanente”. In questo rapporto dialettico l’alternanza non può mai avvenire in modo assoluto e perfetto perché altrimenti questo non potrebbe realizzarsi: “il senza forma va verso la forma, però la forma va verso il senza forma”481. Il vuoto nel taoismo assume un valore gnoseologico in quanto la conoscenza umana procede, via via e si approfondisce solo grazie ciò che ancora è da conoscere. Il vuoto “funziona sia come limite interno di ogni conoscenza particolare, ma anche come limite della conoscenza in generale, come orizzonte della conoscenza che segna il confine tra ciò che si può già sapere e ciò che non si sa ancora”482: la conoscenza di un fenomeno può avvenire non solo in rapporto alla conoscenza di ciò che esso non è, ma anche in virtù di ciò che di esso non si conosce ancora.

L’impossibilità di esistenza separata e impossibilità di permanenza non è soltanto in riferimento al mondo esteriore, ma anche in relazione ai contenuti della coscienza: “il procedimento per dimostrare la vacuità dell’Io, della soggettività, della coscienza, consiste innanzitutto nel mostrare l’inconsistenza e l’impermanenza delle componenti della soggettività, ossia degli aggregati che ne garantiscono la costituzione e ne permettono funzionamento”483. L’attaccamento all’Io è alla base di ogni altro tipo di attaccamento: il soggetto che si pensa autonomo, autofondante e autosufficiente proietta sulla realtà questa pretesa autonomia facendone così un mondo separato, un oggetto dotato anche esso di un sé autonomo. In tal modo “riproduce all’infinito la grande separazione originaria tra Io come sé e Mondo come sé”. Dunque demolire le ragioni che alimentano il sé significa minare la base di tutte le costruzioni mentali che derivano dalla presunzione di questo sé soggettivo evitando le dinamiche conflittuali e trasformando corpo e mente in una costellazione di elementi interagenti.

Lo stato mentale prodotto dalla pratica meditativa -che potrebbe far ricordare quello connesso con l’ataraxia epicurea o la condizione della coscienza risultante da una riduzione fenomenologica- nel buddismo viene denominato con una parola che letteralmente significa ‘non-mente’ inteso nel senso non di vuoto mentale o di stato di coscienza, ma con una condizione in cui vengono sospese tutte le discriminazioni e le tensioni da esse prodotti. Nello zen i sensi e le emozioni appartengono all’esperienza, tuttavia anche alla conoscenza suprema si perviene tramite un’esperienza, quella del vuoto, ovvero la conoscenza non è confinata nella contemplazione dell’Essere, ma nell’esperienza del non-Essere, della totalità indifferenziata del Sé.

In sintesi, per la filosofia zen non è sufficiente trascendere il mondo dei sensi e delle passioni, bisogna andare anche al di là dell’Io, che nella sua ipertrofia nasconde quel mondo della vita dove attinge la coscienza per trascenderlo nel puro spirito in cui non c’è più Io inteso sia come corpo che come mente.

481 da Zhuangzi, in ivi, p. 14. 482 ivi, p. 17.