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L’immagine virtuale

come tecnologia

9. DAL VIRTUALE COME CATEGORIA AL VIRTUALE COME REALTÀ

9.3. L’immagine virtuale

La società attuale viene generalmente definita come società dell’immagine, a sottolineare che mai nella storia si è dato un così imponente sviluppo dell'aspetto visivo del vivere umano, della rappresentazione, del mostrare e mostrarsi. Come se i volti esteriori dell’esistenza volessero esaurire ogni contenuto, ogni senso, moltiplicando le forme volte ad assorbire quante più possibili interiorità nel dato visibile.

La crisi del realismo nella pittura, nonché il dissolvimento del sistema di rappresentazione prospettico, che aveva rappresentato il trionfo dell’immagine come riproduzione fedele della realtà, avevano portato a credere, a partire dalla seconda metà dell’800, che “i progressi del pensiero umanistico e scientifico avrebbero provocato una reazione contro la tirannia delle immagini, una sorta di ‘defezione massiccia verso reale’”. Osserva poi Maldonado che, dai primi decenni del ‘900, “si constata un fenomeno alquanto paradossale. Mentre, nell’arte, il paradigma del realismo tradizionale veniva attaccato dalle avanguardie storiche, al medesimo tempo erompeva fuori dell’arte, un’appetenza generalizzata di rappresentazioni illusorie e sempre più realistiche”290. Sontag a questo proposito scrive: “al contrario una nuova era dell'incredulità consolidò una dipendenza dalle immagini. Il credito che non era più possibile dare alla realtà intesa in forma di immagini veniva ora dato a realtà intese come immagini, illusioni”291.

Se ogni civiltà si è servita dell’immagine e del suo intrinseco e ricco simbolismo per veicolare i suoi archetipi culturali, la nostra può essere identificata come una civiltà in cui l’immagine raggiunge, grazie al contributo delle tecnologie, una prodigiosa resa veristica. Questo percorso iperbolico nella capacità rappresentazionale della tecnica, scrive Gombrich, mette in grave rischio il nostro rapporto con il mondo in quanto “ la perfezione dell’illusione ha segnato anche l’ora della disillusione”292. L’assoluto realismo figurativo, annullando la differenza tra realtà e rappresentazione, “rafforza e al contempo indebolisce il nostro rapporto con il reale […] Non c’è dubbio che oggi ci stiamo avvicinando a quella soglia critica

289 Cfr. P. Queau, in sito Tra reale…op.cit. 290 T. Maldonato, op. cit., p. 47.

291 S. Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, Torino 1978, p. 130.

292 E. Gombrich, Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica, Einaudi,

oltre la quale la ‘perfezione dell'illusione’ si autonega, perché se l’illusione non è più distinguibile dalla realtà, nessuna ulteriore perfezione dell’illusione è immaginabile”293.

Tra i difensori del processo di virtualizzazione vi sono, da una parte, quelli che vedono nella simulazione computerizzata una spazio d’azione del possibile cioè la creazione di mondi possibili, da cui deriverebbe un mondo più ‘leggero’ da cui ci si potrebbe aspettare un’organizzazione sociale ed economica più efficiente, anzi, addirittura più democratica; dall’altra coloro che vi vedono la possibilità di una fuoriuscita trascendentale dal mondo, per i quali l’idea di una realtà virtuale “può essere interpretata come una fuga ascendente, liberatoria verso l'assoluto. Soprattutto se questo viene teorizzato come qualcosa che accade tramite una ‘decorporalizzata sensorialità umana’, ossia tramite sensorialità che le tecnologie digitali avanzate hanno reso autonoma rispetto al corpo”294.

Tuttavia, nota ancora Maldonado, sebbene le cose nel mondo virtuale perdano la loro materialità, sviluppando, grazie alle nuove forme di simulazioni della realtà, una sensorialità che sembra sempre più autonoma rispetto al corpo, le non-cose sono trattate come corpi senza corpo. Ossia il corpo illusorio continua ad agire come un corpo reale.

Prima i rapporti tra l’immagine reale, o modello e la sua rappresentazione, o più precisamente tra la rappresentazione e la presenza, erano caratterizzati dalla distanza, oggi vi è tra questi una specie di fusione: “dunque sul piano ontologico l'immagine virtuale, così come il modello che le dà origine, sono costituiti della stessa sostanza immateriale”295. Inoltre, se prima eravamo situati in un rapporto frontale con le immagini, ormai si può ‘entrare’ nell’immagine, così da sviluppare una forma di confusione tra l’immagine come luogo e l’immagine come superficie.

In modo analogo, esiste una “confusione” tra presenza e rappresentazione: “Si può dire che classicamente l’immagine si dà come una rappresentazione dell’assenza, della distanza, dell’oblio, della memoria. L’immagine è un modo per introdurre una pseudopresenza, non è altro che una ri-presentazione. Con l’immagine di telepresenza, con l’immagine di televirtualità, invece, “abbiamo a che fare con pure rappresentazioni che sono al tempo stesso delle presenze. […]nel campo della televirtualità abbiamo ormai una specie di spazio intermedio di presenza, che è al tempo stesso virtuale e reale. E sempre più il rischio che correremo nella civiltà del virtuale è il rischio della confusione”296.

Perciò se l’immagine nella tradizione è considerata come la ri-presentazione di una presenza che è distante nel tempo o nello spazio, come direbbe Barthes di un “è stato” e quindi una presenza assente che mi tocca, ma non posso toccare, l’immagine virtuale è ri-presentazione di un’assenza, poiché nulla è stato, ma assenza che, abolita la distanza tra l’immagine e il modello, è sempre presente: un’iperimmagine, un’immagine autoreferenziale che, come scrive Baudrillard, non può più immaginare il reale perché coincide con esso. I nuovi media esasperano il distacco tra immagine e mondo, perché la virtualità della rappresentazione, nel suo riprodurre fedelmente la realtà, ha rinunciato totalmente al mondo. Di fronte a questo mondo

293 T. Maldonato, op. cit., p. 49. Tutto questo, scrive Maldonado, ricorda l’estasi plotiniana, la fuga

dal sensibile verso l’intelligibile.

294 ivi, p. 56.

295 P. Queau, in sito cit. 296 ibidem

iper-reale già ‘confezionato’ a nostra misura, una posizione costruttiva attiva viene sempre più a perdere senso, relegandoci ad un ruolo analogo a quello di uno spettatore che si trova ad assistere ad una serie di rappresentazioni a cui non può prendere parte, ma di cui può usufruire.

Il processo di significazione del virtuale non essendo vincolato ad una grammatica biologica e sociale di codifica dell’esperienza, riflette, nel suo compiersi, una modalità privata e soggettiva di creazione simbolica e attribuzione di senso che si riscontra nel pensiero onirico, o nella dimensione non censurata del “principio di piacere” non condizionato dai vincoli fisici del mondo reale. Il mondo virtuale conferisce materialità al nostro inconscio, aprendo le porte ad un universo governato da un minor numero di leggi. Ma l’illusione di essere in una dimensione in cui si possono travalicare i limiti del sistema spazio-temporale, è contraddetta dallo stare in una realtà che non è dovuta solo ai nostri atti, ma è frutto di una contrattazione continua tra noi e la ‘macchina’, in quanto il computer ci convoglia lungo un sentiero precostituito nella sua memoria digitale. Stiamo imparando a giudicare le cose secondo il valore dell’interfaccia. Ci stiamo spostando verso una cultura della simulazione dove le persone si sentono sempre più a proprio agio nelle rappresentazioni mediali.

Attraverso l’interattività biotecnologica, la mente acquisisce questo nuovo modello di rappresentazione dell’esperienza, quello della simulazione virtuale, che si pone al di fuori della contrapposizione realtà-sogno. Lo schermo del computer performa un tipo di pensiero che è contemporaneamente simbolico e sensoriale, logico e analogico, creando uno spazio che riassume in sé, integrandole, le contraddizioni fra realtà e immaginazione, vero e falso, che vengono in un certo modo sublimate dentro questo spazio di iper-realtà che ingloba tutto, ma che si risolve di fatto nella ricostruzione dell’illusione narcisistica