come tecnologia
7. LA SCRITTURA: ‘VEDER’ I SUON
7.3. Kant sa leggere e scrivere
L'analisi del rapporto tra i due codici dell'oralità e della scrittura hanno una diversa interpretazione negli studi di W. Ong e J. Goody. Pur riconoscendo entrambi l'importanza della scrittura nella formalizzazione del ragionamento, i due studiosi insistono su aspetti ed implicazioni diverse rispetto ai presupposti sociali ed agli effetti cognitivi dell'uso dei due codici. Il primo vede il sistema di scrittura non come transcodifica di un linguaggio in un'altro, ma come forma di comunicazione, una tecnologia della parola, dunque, che modifica conseguentemente i processi di pensiero al punto che una cultura scritta si trasforma dando origine a processi ed acquisendo forme cognitive totalmente altre e dominanti sulla cultura orale. Riguardo alla scrittura, Ong afferma che “non si tratta di una semplice appendice del discorso orale, poiché trasportando il discorso dal mondo orale-aurale a una nuova dimensione del sensorio, quella della vista, la scrittura trasforma al tempo stesso discorso e pensiero"211. Il secondo studioso, invece, concepisce la scrittura come tecnologia dell'intelletto, cioè come abilità cognitiva connessa alla traduzione di codici paralleli, senza determinanti cognitive rispetto alle capacità stesse del pensiero: “la natura intrinseca del ragionamento formale non è un'abilità generale ma una competenza altamente specifica, che dipende in modo critico dall'esistenza della scrittura e di una tradizione scritta che aiuta la formalizzazione dei procedimenti intellettuali”212.
Ong parte dal riconoscimento che una cultura ad oralità primaria trasmette la conoscenza attraverso la parola parlata, cioè attraverso il suono, essa si avvale della memoria e di espedienti per ricordare e far ricordare: una certa organizzazione del discorso, essenzialmente narrativo, una determinata schematizzazione dell’azione e dei tipi caratteriali. Questa non è solo una prassi discorsiva, ma è al tempo stesso una caratteristica cognitiva, che non appartiene a chi ha interiorizzato la scrittura, che non “solo scrive, ma parla anche in modo diverso, organizza cioè persino la propria espressione orale in ragionamenti e forme verbali che non conoscerebbe se non
210 Cfr. J. Goody, 1990, op.cit., p. 238. 211 W. Ong, 1986, op.cit., p. 126. 212 J. Goody, 1990, op.cit., p. 265.
sapesse scrivere” 213. Per Ong, quindi, è proprio la caratteristica tecnica dei due diversi codici a strutturare diverse forme di pensiero La scrittura permette di cogliere il senso delle singole parole come entità separate, mentre l'udito li unifica: “Mentre la vista pone l'osservatore al di fuori di ciò che vede, a distanza, il suono fluisce verso l'ascoltatore. A differenza della vista, che seziona, l'udito è dunque un senso che unifica. L'ideale visivo è la chiarezza, la nettezza dei contorni, la possibilità di scindere in componenti [...] quello uditivo è, al contrario, armonia, unificazione”214.
Nella prospettiva della scrittura come tecnologia dell'intelletto, avanzata da Goody, invece, le abilità di base, in senso psico-genetico, permangono inalterate, anche se, lo studioso, non esclude che su di esse, come accade con il linguaggio, possano influire le trasformazioni dei mezzi di comunicazione: “In pratica non è che le culture orali siano sprovviste dell'attività logica al livello del quotidiano. Il problema è perché esse non dispongano della ‘logica’ dei filosofi. La scrittura ci mette dinanzi a uno strumento in grado di trasformare le nostre operazioni intellettuali dall'interno; non si tratta semplicemente di competenza, in senso stretto, ma di un cambiamento nelle capacità”215. Dal punto di vista tecnico, la scrittura indubbiamente facilita, nei confronti di un testo, una certa attenzione critica e consente, inoltre, di accumulare conoscenza ‘scettica’, come fa con le procedure logiche216. Ma se ci riferiamo a un'operazione come il ragionamento sillogistico, scrive Goody, allora “aspettarsi che la padronanza della scrittura[…] basti a condurre direttamente ad adottarlo è una pretesa palesemente assurda. Il sillogismo, quale noi lo conosciamo, “è la specifica invenzione di un'epoca e di un luogo specifici”217.
L’interpretazioni di Goody della scrittura come una tecnologia dell’intelletto che, in tal senso, non si pone su una linea di continuità con la parola verbale, ma in modo autonomo rispetto a questa, ponendosi, piuttosto, come una nuova vantaggiosa tecnologia di gestione del linguaggio, si inserisce nella tesi sostenuta in questa ricerca, ovvero del processo di ominazione come manifestazione di un progressivo emanciparsi dell’intelletto dal corporeo, ossia da ciò che inerisce la nostra biologia. Anche se tra i due sistemi di espressione e di comunicazione esiste una relazione in cui la lingua parlata è, rispetto alla lingua scritta, una condizione formalmente necessaria, essa non è sufficiente tecnicamente proprio perché la seconda risponde al
213 W. Ong, 1986, op.cit., pp. 88, 93. 214
ivi, pp. 105-106.
215 J. Goody, 1990, op.cit., p. 265.
216. Goody fa riferimento ad alcuni studi sulle differenze tra il registro scritto e registro parlato (è
importante tener presente che la maggior parte del lavoro è stata svolta in inglese pertanto, alcuni tratti individuati dai vari autori potrebbero essere specifici di quella lingua, altri invece di distribuzione più generale). Tali differenze fanno riferimento a tratti lessicali (la tendenza a usare parole più lunghe, l'aumento della nominalizzazione a fronte della verbalizzazione nel discorso, il processo è collegato con un certo tipo di astrazione; maggiore varietà di vocabolario, ecc.) e a differenze
sintattiche(preferenza per l'uso di elaborate strutture sintattiche e semantiche, preferenza per costruzioni del tipo subordinato anziché coordinato, ricorso a un metodo di organizzazione delle idee più strutturato, dove si usano per l'esposizione concetti come ‘ipotesi’, ‘affermazione ricorrente’, ecc) . “Notiamo che si presenta l'associazione tra forme scritte e: 1) maggiore uso di termini astratti; 2) scelta di vocaboli più ampia; 3) minore personalizzazione (e, di qui, minore contestualizzazione) dell'abito linguistico; 4) tendenza a una comunicazione più esplicita; 5) superiore elaborazione (sintattica); 6) superiore correttezza formale; 7) superiore ricorso a una lingua morta”. ivi, pp. 272- 273.
requisito tecnico di essere in sé un codice, in grado di rielaborare su un livello di maggior astrazione anche gli alcuni aspetti fisici del linguaggio, ossia il suono.
Per questo la parola, nel momento in cui viene fissata, perde in un certo senso, la sua risonanza con ciò che è originario, la sua profondità. Dice Sini: “Passati da una dimensione sacrale e rituale del segno (nella quale il segno più che essere letto era decifrato) a una dimensione puramente comunicativa e pragmatica, finalizzata alla mera ‘informazione’, il segno scritto è per noi solo un mezzo per leggere il più rapidamente possibile, senza timore di equivoci […] In sostanza l'alfabeto diviene un sistema di segni atti a promuovere la traduzione del segno ottico in una emissione di voce corrispondente, la quale offre all'orecchio il messaggio linguistico ‘congelato’, come diceva Husserl, nella scrittura”218. In tal modo, il segno grafico rende possibile la trascrizione di ogni presumibile lingua parlata e di ogni pensiero personale, affrancando i contenuti del dire e del pensare dalla loro contingenza fattuale e rendendoli in pratica idealmente universali ed eterni. Si viene, così, formando “un soggetto critico, indipendente, originale rispetto alla tradizione, consapevole della sua individualità acquisita (una specialità dell'Occidente; noi diciamo un ‘valore’ potenzialmente universale di ogni uomo); in una parola un soggetto capace di autogoverno, come diceva Kant pensando alla rivoluzione dell'Illuminismo, e perciò, infine, un soggetto capace di fondare, col suo consenso consapevole, una politica democratica”219. Con la scrittura nasce la morale come sistema di valori autonomo “quel ragionare per valori che, come dice Heidegger, è antipodale all'etica, cioè all’ethos originario dei pensatori arcaici, ed è invece congruo con il soggettivismo e la antropologismo metafisico. Sì che l'affermarsi della interiorità della coscienza morale e il dispiegarsi del nichilismo sono un unico e medesimo processo”220.
L’uomo orale agisce del tutto sensatamente senza aver il benché minimo bisogno di pensare la realtà in termini definitori attraverso le parole che sarebbero delle altre ‘cose’ anch’esse definibili tramite ulteriori parole. Nonostante ciò le ‘cose’ sono per lui perfettamente ‘significative’: a seconda dalla loro funzione gli si fanno incontro a partire dal suo comportarsi verso di esse nel contesto dell’uso. L’intelligenza orale si appoggia ad una comprensione empatica e ad una memoria che non riproduce ‘fatti’, bensì li produce continuamente in una sorta di mimesis celebrativa: il medesimo ascolto e l’apprensione del contenuto del detto sono partecipativi, così come la verità è indissolubilmente legata alla tradizione e all’autorità di chi la tramanda. La parola è dunque vera non perché dice in verità la cosa, ma perché è parola mitica, segno del dio che abita il mondo. Quando, poi, i racconti cominciano ad essere letti, per l’uomo greco la verità comincia ad abitare nel principio di non contraddizione: il principio supremo può essere universalmente vero solo in quanto scritto, e, per venire scritto, deve poter contare su un elemento di idealizzazione che permette di tracciare segni totalmente astratti quali le lettere di un alfabeto. Attraverso i segni alfabetici, infatti, lo scritto classifica e fa sorgere gli elementi ideali, mette in successione la parola e la decontestualizza dall’orizzonte attivo del fare risomatizzandola nella puntualizzazione di un corpo insignificante: “nessuna parola reale può essere presente contemporaneamente, nel modo in cui lo sono le lettere di una parola scritta”221. Le lettere dell’alfabeto, non essendo segni da
218 C. Sini, La scrittura alfabetica e la soglia filosofica dell’occidente, in www.hermesnet.it 219 ibidem
220 C. Sini, op.cit., p.25. 221 W. Ong , op.cit., p. 30.
interpretare, possono veicolare qualsiasi significato, ma solo attraverso la loro sequenza222.
La scrittura consiste nella linearizzazione definitoria della voce223, che si ‘scorpora’ attraverso la pratica idealizzante della linearizzazione alfabetica e si reincorpora nei segni idealizzati dell'alfabeto, nella sua puntualizzazione lineare. Questo carattere puntuale della linea, che è comune sia alla scrittura alfabetica che alla definizione, costituisce già il contenuto della forma logica, scrive Sini, cosicché la temporalità lineare spazializzata costituisce il tratto essenziale del logos logico: “La verità intesa come corrispondenza del giudizio alla cosa avrebbe allora a suo fondamento il contenuto di una costruzione: la costruzione di una realitas geometrica fatta di punti astrattamente omogenei linearmente disposti.[…] Il significato linearizzato del logos si adegua al carattere logico delle cose. Beninteso delle cose preliminarmente ridotte entro lo schema lineare della definizione, cioè ridotte a elementi puntuali e geometrici”224.
La verità diviene, pertanto, il risultato di un ragionamento sequenziale e concatenato, essa corre ora lungo i punti e gli snodi della linea di scrittura alfabetica: ogni asserzione che non può venire precisamente collocata sul tracciato grafico non ha semplicemente senso. Per cui, come scrive Mc Luhan, il discorso ipotattico- sequenziale non è un dato naturale, ma solo una tecnica di accertamento-costruzione della verità: “secoli di alfabetismo fonetico, ci hanno fatto ritenere che la catena delle deduzioni fosse il segno principale della logica e della ragione […] Nella società alfabetica occidentale è ancora plausibile ed accettabile dire che una cosa ‘consegue’ a un’altra, come se esistesse una causa capace di determinare una sequenza del genere”225.
Ma il carattere essenziale della scrittura alfabetica rimane proprio nella sua natura di utile strumento “a differenza di ogni altro sistema, l'alfabeto perde ogni consistenza e valori propri. I nomi delle lettere greche perdono nozione del loro
222 La decontestualizzazione propria della scrittura è utilizzata in matematica in cui la natura dei segni
è di tipo unicamente convenzionale e formalizzato, generando quella modalità di significazione completamente decontestualizzata che è alla base della conoscenza scientifica. Per contro l’originale progetto ideografico di Peirce ha cercato di recuperare la dimensione della significatività intrinseca ,‘vivente’, del segno, ponendosi la questione del ‘contenuto della forma’. Anche Wittgenstein si è posto il problema della "logica della raffigurazione", cioè di come un segno potesse rappresentare qualcosa: “doveva esserci alla base una somiglianza primordiale, un iconismo primitivo, poiché ogni spiegazione ‘convenzionalistica’ del segno non sta in piedi (anche Merleau-Ponty opponeva una simile critica a De Saussure). […] Ora, la decisione di creare e incrementare (come nella matematica) segni di natura puramente formale e convenzionale, completamente svuotati di ‘senso’, di ‘contenuto della forma’, ha prodotto e produce risultati straordinari, che sarebbe stolto sottovalutare. Tuttavia deve essere chiara la natura delle operazioni che vengono in tal modo impiegate: […] se la pretesa di uno studio ‘formale’ del linguaggio si illuda di descrivere e di esaurire la reale pratica della ‘parola umana’; così pure un sistema semiotico non esaurisce affatto, nella sua logica rivolta alla ‘quantità di informazione’, la natura complessa e multidirezionale, multisensa, della comunicazione e della espressione umane”. in C.Sini, sito cit.
223 Sini nota come già parlare di ‘voce’ sia ingannevole, perché prima di questa pratica non c'è la voce,
che è bensì un tipico oggetto o prodotto della scrittura. C. Sini, op.cit., p. 102.
224 ivi, pp. 90-91. Ma questo nella pratica del giudizio non emerge, per questo, ad esempio,
l’opposizione postulata da Heidegger tra aletheia contra veritas non è efficace, né è in grado di fornire una spiegazione.
225 M. McLuhan, op.cit., p. 95. Hume nel ‘700 aveva dimostrato che la sequenza è soltanto additiva,
non causativa. “Ma né Hume, né Kant seppero individuare nella tecnologia alfabetica la causa nascosta della fede occidentale nella ‘logicità’ della sequenza.” ibidem.
significato”226. Questa detrimento semantico ha, però, enormi conseguenze culturali con l'avvento dell'alfabeto il mondo del sacro sparisce, scrive Sini, ed “emerge e s'impone una visione utilitaristica, economicistica, strumentalistica delle cose. Emerge l'uomo, il soggetto, il suo antropologismo umanistico e trascendentale, cioè metafisico prima e scientifico poi. Storicismo disincantato e convenzionalità ‘logica’ della cultura si diffondono sulla terra”227.
Se gli studi sulla interdipendenza tra tecnologie della comunicazione, aspetti noetici e epistemologici hanno mostrato come la tecnica plasma e delimita il ‘contenuto’, la scrittura alfabetica, in quanto tecnologia, ‘determina’ l'uomo moderno, la sua esperienza, la sua coscienza, la sua ‘parola’228. Sini interpreta in modo radicale questa saldatura tra tecnologia alfabetica e ‘uomo’, criticando la posizione di Havelock, che pur rendendosi conto che è la scrittura alfabetica a determinare la nascita dell'uomo logico (e poi psichico-logico), non riesce a superare una “concezione antropologica della scrittura: per lui c'è l'uomo più la scrittura. Non c'è l'evento di quel segno che è la scrittura e quindi l'uomo, nelle modalità specifiche differenti di questo evento”229. Per cogliere il senso totale di questa scoperta, secondo Sini, bisogna porre la seguente domanda: cosa è la scrittura per poter fare ciò? La risposta è nel vedere che la questione essenziale non è la alfabeto in sé, ma la pratica, la sua pratica. La diffusione di tale pratica era agevolata dalla relativa semplicità della tecnologia messa in atto, dalla sua flessibilità e, soprattutto dagli enormi vantaggi che offriva per la comunicazione che si emancipava dai vincoli spazio-temporali, nonché per la possibilità di accedere con movimenti sempre più accelerati in luoghi ancora impensati del sapere. “E’ così che il nuovo sistema di scrittura, […], ha modificato alla lunga l'atteggiamento mentale dell'uomo in un intreccio altamente complesso di pratiche. La scrittura in sé non sarebbe bastata. Entro la sua pratica e grazie alla sua pratica si è svolto l'immenso lavoro della filosofia, come fondazione dell'umanità razionale”230.
Tuttavia la comprensione non è associata alla visione, ma alla parola e al mondo del suono che è la dimora sensoriale della parola: “non generiamo le nostre certezze in un universo solipsistico di ‘osservazioni’ isolate ma in un contesto generale che include la verbalizzazione e nel quale speriamo che altri credano a ciò che diciamo”231. L’ipervisualismo, che trae origine dalla mentalità generata dal mondo moderno, vale a dire, copernicano ed ancor più newtoniano, per il quale il cosmo viene considerato essenzialmente come qualcosa che viene visto, tende a negare questa verità: “questo è il mondo della prova costruita con gli occhi […] È un mondo che viene messo in terribili difficoltà dalla presenza delle persone, delle interiorità.”232.
226 C. Sini, op.cit., p.41. 227 ivi, p.42.
228 Comunque, il vero passaggio alla mente logico-razionale avviene con la lettura silenziosa, in cui la
lettura è tesa ad afferrare il significato: il lettore silenzioso perviene così nel regno della mente pura e alla rivelazione della sua verità.
229 C. Sini, op.cit., p. 40. 230 ivi, p. 41.
231 W. Ong , , op.cit p. 137. 232 ivi, p. 136-7.