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Identità e senso di appartenenza

PARTE 2 LE INTERVISTE

4.5 Identità e senso di appartenenza

Veniamo ora a uno dei temi principali del nostro lavoro. Come si sentono i ragazzi di seconda generazione che vivono in Italia o che ci sono addirittura nati? A quali realtà si sentono di appartenere? Come vivono la loro identità? Quali rapporti hanno con la comunità di origine e con quella di accoglienza?

Questa è sicuramente una questione delicata da porre ai giovani di seconda generazione e abbiamo cercato di affrontare il discorso nel modo più cauto possibile. Con tutta probabilità i ragazzi si sono sentiti spesso porre domande del tipo: “ti senti più italiana o somala?” Come ci racconta in modo molto divertente Igiaba Scego, prima di fare un lungo elenco dei momenti in cui si senti più somala e quando invece si sente più italiana, una domanda del genere risulta “improponibile” come è improponibile chiedere a un bambino se vuole più bene al papà o alla mamma174. È una domanda che lascia attoniti perché nessuno mai ha pensato che sia possibile “frazionarsi” (25% e 75% oppure 50% e 50%, o ancora 80% e 20%).

Non è possibile tracciare un profilo tipo, anche perché non è questa la nostra intenzione, ognuno di loro, come vedremo, vive le sue appartenenze in un modo particolare, c’è chi si sente molto legato alle origini, alle radici, chi ne prende maggiormente le distanze, chi si sente più combattuto e che prende atto della complessità del proprio percorso. Per dirla con Beck, si tratta di ‘poligami di luogo’ della seconda modernità, che nella costruzione della loro identità personale hanno sostituito una logica e oppositiva ‘o … o’ nella quale una appartenenza si contrappone all’altra, a una logica inclusiva ‘sia … sia’ dove le appartenenze si sommano piuttosto che escludersi a vicenda175.

Vivendo qua da molti anni in qualche modo mi sento italiano, perché ho vissuto tutta la mia vita adolescenziale in Italia, ho giocato calcio, fatto atletica, la scuola, gli amici, le ragazze, ho fatto tutto, sono cittadino di fatto e non di diritto. (…) Mi sento di appartenere a

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Scego Igiaba e altre, Pecore Nere. Racconti, Editori Laterza, Roma – Bari, 2005, pag. 27. 175

Beck Ulrich, La società cosmopolita, prospettive dell’epoca postnazionale, II Mulino, Bologna, 2003, pag. 12

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questo paese, io parlo italiano, studio e scrivo in italiano, molte volte penso in italiano (Michael, 22 anni, nato in Ghana, in Italia dall’età di 12 anni).

Sento anche un senso di appartenenza per la Polonia, non è che me ne vergogno, sono orgoglioso, però si ci fosse la partita di calcio Italia Polonia tiferei Italia, se dovessi andare all’estero direi che sono italiano, magari specificando che sono nato in Polonia. (Mattia, 25 anni, nato in Polonia, in Italia da quando aveva un anno).

In questo momento mi sento più Italiano che del Burkina, ma non bisogna mai dimenticare le proprie origini. (Ahmed, 19 anni, nato in Burkina Fasu, in Italia dall’età di 10 anni).

Se mi chiedessero da dove vengo risponderei Cina, ma sono nato in Italia. (…) Alla fine sento un senso di appartenenza alla Cina, non so come spiegare. Mi sento anche italiano, ma alla fine non ti senti di appartenere 100% a una parte, è sempre un misto alla fine. (Matteo, 24 anni, nato in Italia da genitori cinesi).

Se uno mi chiedesse da dove vengo, mi sentirei di dire dal Ghana, però direi che sento di appartenere a tutti e due i paesi …. Se dovessi tornare in Ghana ora, mi sentirei un po’ disorientata, perché ormai sono qui da molti anni appena iniziata la mia adolescenza, mi sento legata qua per la scuola, gli amici, molte cose vissute, poi la ci sono i familiari gli amici e il legame comunque c’è, mi sento entrambe le cose. (Jessica, 23 anni, nata in Ghana, in Italia dall’età di 13 anni).

Spesso, al di là di come uno si sente, è il corpo, l’aspetto fisico a ricordare che la tua famiglia proviene da un luogo lontano e gli italiani non ti riconoscono completamente. Diversa pare essere l’identità che una persona si attribuisce e quella che invece ti attribuiscono gli altri. La questione allora diventa complessa.

Non cambia così tanto alla fine, anche se hai la cittadinanza italiana, sarai sempre persona di colore non ti chiameranno mai italiana, sarai sempre africana. (Caterina, 19 anni, nata in Burkina Fasu, in Italia dall’età di 9 anni).

Io adoro il mio paese, sono molto orgogliosa dell’appartenenza all’Albania, guai a toccare la bandiera e mi infervoro subito … però mi sento italiana anche se non ho la cittadinanza, ma sento che gli italiani non mi vedono come appartenente all’Italia, mi vedono sempre come albanese. Di solito mi scambiano un po’ per indiana dalla fisionomia, perché sono un po’ scura. Girando un po’ al sud ho

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trovato gente più calorosa, non ti chiedono ‘come ti chiami?’ e ‘da dove vieni?’, qua la seconda domanda è questa … (Daisy, 23 anni, nata in Albania, in Italia dall’età di 10 anni).

Si ama il proprio paese d’origine, ma nello stesso tempo ci si sente di appartenere al luogo in cui si vive ma che ancora non ti riconosce pienamente. Se il tuo aspetto fisico parla per te, da fastidio che una delle prime domande che vengono rivolte sia sempre “da dove vieni?”, le persone il cui “aspetto straniero evoca associazioni di distanza ed estraneità si vedono esposte a simili interrogatori” 176. Si tratta di una visione del mondo secondo la quale ogni persona ha una sua patria e identità ben definita, non è libero di sceglierla e collocarsi in una posizione diversa.

Quando sei qua alla fine dici ‘sono cinese’, quando sei là ti viene da dire che sono cinese ma sono nato in Italia. Fra virgolette ‘troppo cinese per essere italiano, troppo italiano per essere cinese’. Anche su MTV hanno fatto un programma sulle seconde generazioni, hanno fatto un reportage sulle seconde generazioni cinesi in Italia. Hanno intervistato 4 o 5 persone e hanno fatto un esempio di noi seconde generazioni uno era la banana e l’altro è il mango. La banana è fuori gialla e dentro bianca, il mango e sia fuori è giallo e dentro è giallo, le banane siamo noi che siamo nati in Italia che fuori sono cinesi ma dentro hanno una mentalità italiana e i mango sono i cinesi cinesi. (Matteo, 24 anni, nato in Italia da genitori cinesi).

Talvolta, la ricerca di un’identità ultima, originaria, crea quasi una schizofrenia, il sentimento che pare di percepire è quello di ‘doppia assenza’177 tanto nel paese di origine quanto in quello di vita. Nemmeno il riconoscimento formale della cittadinanza serve a sentirsi parte di una comunità. Come non ricordare, leggendo le parole di Caterina e in quelle di Daisy, quanto analizzato nelle opere di Franz Fanon rispetto alla condizione del nero, in quel caso nella società francese: è lo sguardo del ‘bianco’ che ricorda al nero la sua ‘nerezza’178.

Non appare possibile scindere e chiedere di fare una scelta tra l’una e l’altra, è come se l’identità personale fosse composta dai diversi elementi, quasi le due nazioni,

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Beck Ulrich, La società cosmopolita, prospettive dell’epoca postnazionale, II Mulino, Bologna, 2003, pag. 31 – 32.

177

Sayad Abdelmalek, La doppia assenza. Dalle illusione dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Cortina Editore, Milano, 1999.

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Fanon Franz, Pelle nera maschere bianche. Il nero e l’altro, Marco Tropea Editore, Milano, 1996, pag. 99.

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quella di origine e quella di vita, fossero come i genitori, e non si possa chiedere una preferenza, fanno entrambi parte della complessa identità di ognuno.

Mi sento di appartenere all’Europa, quando sento i cugini e zii che stanno in America, è ovvio che rispetto a loro mi sento Europea. (Jessica, 23 anni, nata in Ghana, in Italia dall’età di 13 anni).

Quando sei in Italia non ti senti 100% italiano, quando sei in Cina non ti senti 100% cinese. Però casa mia la sento qua. (Matteo, 24 anni, nato in Italia da genitori cinesi).

Quando sono all’estero dico che sono italiana, quando sono qua dico che sono albanese. (Daisy, 23 anni, nata in Albania, in Italia dall’età di 10 anni).

Come abbiamo ricordato nei capitoli introduttivi l’identità personale dipende anche dal contesto. Se una persona si inserisce nel contesto italiano si percepirà in un certo modo, se invece si mette in relazione con persone del suo paese di origine, o di altri continenti, la percezione è diversa. L’identità diventa quindi, in questo caso, ‘situazionale’ e contestuale.