• Non ci sono risultati.

Le seconde generazioni

PARTE 1 IDENTITÀ, CULTURA E CITTADINANZA

1.3 Identità, culture e immigrazione

1.3.2 Le seconde generazioni

Non c’è fenomeno contemporaneo che richiami in campo tali concetti e i fenomeni sopra descritti come i processi migratori; se l’importanza dei temi dell’identità e della cultura è rilevante nel tema dell’immigrazione in genere lo è anche per i figli degli immigrati ovvero per l’oggetto di questo lavoro, le seconde generazioni.

Se, come accennavamo poc’anzi, in alcuni casi manca il riconoscimento dell’esistenza, in altri casi viene richiesto all’immigrato, che già vive una sensazione di

doppia assenza77, tanto nel paese di origine che nel paese di arrivo, di scegliere tra le due appartenenze e non viene autorizzato o incoraggiato ad assumere la propria diversità, senza vedersi costretto a dissimulare la cultura di origine o a vergognarsene78.

77

Cfr. Sayad Abdelmalek, La doppia assenza. Dalle illusione dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato. Cortina Editore, Milano, 1999.

39

Tale discorso vale anche per le seconde generazioni; tali ragazzi vengono spesso aprioristicamente collocati in determinati gruppi: accomunati al gruppo nazionale dei genitori, al gruppo marginale del quartiere, al gruppo di quelli che hanno difficoltà scolastiche …

Così, per assurdo, si finisce per accomunare sulla base della nazionalità un ragazzo di origine magrebina di una periferia parigina, con un magrebino che lavora come operatore di borsa, piuttosto che con un coetaneo che vive in una periferia di un’altra grande città europea con i medesimi gusti e stili79.

Il mondo attorno a noi sta cambiando rapidamente, quella che era una popolazione fino ad ora apparentemente silenziosa, e che fino ad ora ha posto più che altro interrogativi in merito all’integrazione scolastica, con interrogativi sulla necessità di mediatori linguistici e culturali e sul rischio di ghettizzazione, sta crescendo e fa sentire la sua presenza. Quasi improvvisamente i giovani ragazzi delle G2, sono diventati adulti e ricoprono ruoli definiti all’interno della società. Così, alle ultime Olimpiadi e agli ultimi Europei di calcio, forse per la prima volta per l’Italia, abbiamo potuto notare come le magliette e le casacche di alcuni atleti delle squadre nazionali italiane riportassero cognomi che rimandavano a origini diverse da quella italiana o avessero la pelle nera. Purtroppo, non in tutte le situazioni i giovani della G2, sono riusciti a sfondare ed emergere in questo modo, e ricoprire posizioni così di rilievo; spesso succede che si trovino a ripercorre percorsi di marginalità come già è successo ai loro genitori.

I giovani di seconda generazione, anche se arrivati in Italia dopo la nascita e un percorso di vita in un altro paese, sono anche ‘prodotti’ della già variegata società italiana e non possono essere considerati solo immigrati. Tanto più che spesso i loro riferimenti culturali sono frutto di rappresentazioni, in alcuni casi i ragazzi non sono mai andati a visitare nel paese di origine dei genitori e se ne sono fatti quindi una visione ideale attraverso i racconti dei familiari. Non si può negare tuttavia come questi giovani siano portatori di una creolizzazione culturale, che prende i suoi riferimenti dai diversi contesti di vita che hanno attraversato e hanno incontrato nel loro percorso.

79

Gallisot René, Kilani Mondher, Rivera Annamaria, L’imbroglio etnico in quattordici parole chiave, Edizioni Dedalo, Bari, 2001, pag. 106.

40

Non si vuole necessariamente evocare scenari catastrofici, tuttavia si ritiene che se la condizione delle seconde generazioni del’immigrazione non viene adeguatamente presa in considerazione possano esserci delle gravi ripercussioni in termini sociali. Questi giovani si trovano spesso in una posizione scomoda, esattamente nello snodo di alcune tensioni e devono fare esternamente e internamente un’operazione di conciliazione e di mediazione fra culture, valori e modelli non necessariamente così vicini.

Non si vuole in questo contesto, in particolare dopo l’introduzione in merito all’interpretazione che si vuole fare propria dei concetti di identità e cultura, esasperare il discorso, inventando categorie e attribuire loro significati eccessivi. A tal proposito, alcuni, come Noiriel80, sostengono provocatoriamente che “i giovani di origine immigrata non esistono”, sottolineando come si abbia a che fare con l’interpretazione di un fatto sociale e che l’oggetto di studio è costruito innanzi tutto semanticamente.

Tuttavia, si ritiene che non si possa non segnalare come determinate scelte di ordine politico, sociale, normativo finiscano per incidere in modo decisivo in quello che è il processo di integrazione delle seconde generazioni nella società.

Per fare un esempio si vuole qui citare il tema della cittadinanza, di cui parleremo più ampiamente nel capitolo successivo. Nel processo di integrazione non è indifferente, la scelta italiana, di adottare, ai fini dell’ottenimento della cittadinanza, un’ottica che privilegia la discendenza, ius sanguinis, piuttosto che la nascita nel territorio (ius soli). I diversi stati, hanno infatti definito il loro modello di accesso alla cittadinanza e alla naturalizzazione in modo differente. Nella gran parte dei casi il modello seguito risulta essere il frutto di una particolare storia del paese in questione. Nella situazione europea attuale, tuttavia riscontriamo una tendenziale difficoltà ad adeguarsi ai mutamenti sociali in corso, con il rischio di generare delle situazioni paradossali di esclusione dall’esercizio effettivo dei diritti.

Al di là di queste problematiche, che si ritengono importanti per contestualizzare e collocare il tema di cui si vuole parlare nel presente lavoro, è proprio in virtù di quanto illustrato nel presente capitolo che si ritiene importante

80

Citato in questo caso in, Valtolina e Marazzi, Appartenenze multiple. L’esperienza dell’immigrazione

41

indagare nelle singole storie e considerarle nella loro unicità, riducendo così il rischio di fare generalizzazioni semplificative che non prendono invece in considerazione il reale vissuto dei protagonisti di queste storie.

42

2 CITTADINANZA E MODELLI DI INTEGRAZIONE

Dopo essere entrati nel merito dei concetti di identità e di cultura e dopo aver sommariamente calato tali concetti nel tema che stiamo trattando, ovvero l’immigrazione e nello specifico le seconde generazioni, riteniamo indispensabile affrontare la questione della cittadinanza. Se tale argomento è importante parlando di immigrazione in genere, lo è ancora di più parlando dei figli della prima generazione di migranti. Come vedremo all’interno della trattazione successiva, l’Italia è un paese che fa ancora difficoltà a percepirsi come paese di immigrazione mentre continua a considerare gli immigrati, e anche i loro figli, come elementi estranei alla nazione.

È proprio il termine straniero, usato spesso in accezione negativa, a sottolineare una condizione di estraneità all’ordinamento giuridico; di conseguenza oltre a un mancato riconoscimento e alla mancata differenziazione sulla base delle singole specificità e al collocamento della persona in un unico grande contenitore (gli

stranieri), ci si trova anche di fronte al godimento parziale di quelli che sono i diritti di

cittadinanza mentre, dall’altra parte, vi è una richiesta pressante di rispetto di determinati doveri. Tali persone si trovano quindi in una condizione di privazione del “diritto ad avere diritti”81, ovvero quel riconoscimento di appartenenza ad un determinato gruppo, che dia la possibilità di accedere alla rivendicazione ad ulteriori diritti civili e politici.

In base all’ordinamento italiano ci si trova quindi di fronte ad alcune situazioni che appaiono paradossali e che fanno riflettere. L’Italia, che per molto tempo è stato paese di emigrazione in particolare verso il nord e il sud America (USA, Argentina, Venezuela ...), la Germania, la Francia, il Belgio, è diventato, negli ultimi 20-25 anni, un paese con un progressivo aumento di immigrazione dai paesi africani, dall’est Europa, ma anche da zone più orientali (ad es. Bangladesh, Filippine, Cina) o dal sud America. Tuttavia, al pari di altri paesi europei, ha interpretato tale fenomeno come temporaneo e finalizzato a rispondere a una necessità di forza lavoro in momenti in cui essa era particolarmente necessaria ai fini dello sviluppo economico.

81

Cfr. Arendt Hannah, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano, 1999, e l’analisi che ne fa Benhabib Seyla, I diritti degli altri. Straneri, residenti, cittadini, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, pagg. 39 – 55.

43

Si è ritenuto, e per certi versi, vista la vigente normativa in tema di immigrazione, si ritiene ancora, che l’immigrato possa rimanere nel paese solo fintanto che mantiene un ruolo attivo all’interno del mondo del lavoro. Per molto tempo non si è preso adeguatamente in considerazione il grande mutamento sociale che l’immigrazione portava con sé, e, a tal proposito, potremmo citare la famosa affermazione di Max Frisch rispetto all’epoca dell’emigrazione Italiana in Svizzera “volevamo delle braccia e sono arrivati degli uomini”.

In linea con questa visione dell’immigrazione come fenomeno temporaneo, vi è una normativa secondo la quale è più facile essere riconosciuto cittadino italiano per discendenza, ovvero, qualora una persona sia in possesso di un lontano ascendente italiano (anche se non si è mai messo piede nel paese e non conosce affatto la lingua), che quando una persona è nata in Italia, conosce la lingua alla perfezione, è entrato in contatto diretto con la ‘cultura’ locale e si percepisca come appartenente alla ‘nazione’ che invece lo considera evidentemente un ospite temporaneo. Sono proprio le seconde generazioni che, in un contesto di globalizzazione, mettono in risalto la distinzione e la non necessaria sovrapposizione tra l’identità nazionale e la cittadinanza82.

Riteniamo che la realtà attuale ci ponga dei forti interrogativi e ci richieda dei rapidi mutamenti dell’ordinamento giuridico esistente. Se alcune scelte potevano essere comprensibili in altri momenti storici, al fine di favorire la costruzione di un’identità sociale e una solidarietà interna allo Stato, nonché il mantenimento di un legame dei propri ‘figli’, alla ‘madre patria’, allo stato attuale, alla luce delle migrazioni internazionali che investono anche il nostro paese, si ritiene che siano quantomeno anacronistici. Non prendere atto dei cambiamenti tuttora in corso potrebbe portare a uno scontro sociale forte con delle dure ripercussioni nell’ordine sociale.

Continua a essere invece molto presente una concezione di cittadinanza che si costruisce sulla base di un processo negativo di differenziazione dall’altro, nel quale la differenza viene vista con sospetto e utilizzata come elemento di conflitto. Ruggiu, riprendendo Levinas, ricorda che la filosofia occidentale non è stata capace di concepire “la separazione che divide il Sé dall’Altro, se non come diminuzione,

82

Colombo Enzo, Domaneschi Lorenzo, Marchetti Chiara, Una nuova generazione di italiani. L’idea di

44

decadenza e rottura della totalità”83. Riprendendo i concetti del precedente capitolo, si continua a fare una certa difficoltà a riconoscere che l’identità si nutre di alterità, e accettare di conseguenza che si possano vivere le molteplici appartenenze senza che queste debbano per forza entrare in conflitto.

Come segnalavamo in precedenza, appellarsi al mantenimento di una presunta omogeneità culturale e di una supposta identità nazionale, è solo uno stratagemma che nasconde in realtà una lotta per l’accesso a determinate risorse. Il cittadino con la ‘C’ maiuscola, in un’epoca in cui il Welfare State è in crisi e si ritira 84, si sente minacciato dal non-cittadino in quelli che lui considera i suoi diritti, maturati grazie a una più antica permanenza nel territorio e agli sforzi e lotte dei suoi ascendenti. Assistiamo quotidianamente nelle nostre città a conflitti tra gruppi che lottano e vogliono difendere l’accesso a determinati servizi e a determinate risorse siano essi la casa, il lavoro, l’istruzione, la sanità, etc.

Non è nostra intenzione portare la discussione su questo aspetto, ovvero se sia sostenibile economicamente o no, che dei nuovi arrivati possano accedere a tutte le tutele sociali che sono risultato di un lungo percorso di lotta. Tuttavia, se si vuole proprio ragionare in termini economici85, invitiamo solo a riflettere a quanto l’immigrazione contribuisce sotto tale punto di vista (a livello di contributi previdenziali, versati e manodopera mal pagata in occupazioni che comunque gli ‘italiani’ difficilmente vorrebbero svolgere) e a quanto, d’altra parte, toglie ai paesi di provenienza a livello non solo materiale ma anche intellettuale. Ricordiamo infatti che, molto spesso i migranti corrispondo alla parte culturalmente più evoluta dei paesi di provenienza, che si privano di conseguenza delle ‘menti’ migliori.

Nel presente capitolo tratteremo quindi il tema della cittadinanza e quello dei modelli di integrazione, illustrando, seppur sommariamente, alcuni modelli di ‘integrazione’, anche se a volte sarebbe meglio parlare di esclusione.

83

Ruggiu Daniele, Il concetto dell’Altro, in Zagato Lauso, a cura di, Introduzione ai diritti di cittadinanza, Cafoscarina, Venezia, 2009, pag. 181.

84

Cfr. Ciolli Ines, I diritti sociali ai tempi della crisi, in www.costituzionalismo.it fascicolo 3, 5/11/2012, consultato il 11/11/2012;

85

Per un approfondimento su questo tema, rimandiamo all’avvincente ragionamento di Sayad Abdelamek, op.cit., pagg. 106-113.

45