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Il calcolo del criterio quantitativo della prevalenza.

5. Il criterio della prevalenza come specificato nella direttiva appalti.

5.1 Il calcolo del criterio quantitativo della prevalenza.

L’art. 12 della nuovissima direttiva Appalti prevede che la percentuale dell’ottanta per cento dell’attività svolta a favore della pubblica amministrazione può essere realizzata anche a favore di “altre persone giuridiche controllate

dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi”, senza specificare se anche

questi soggetti siano società in house. Richiamando, però, quanto disciplinato nel periodo conclusivo del paragrafo 1, laddove precisa che “tale controllo può essere

esercitato da una persona giuridica diversa a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice”, la norma sembrerebbe riferirsi a tali società,

perché, altrimenti, si darebbe rilevanza ad attività svolte a favore di società a partecipazione pubblica minoritaria. Chiarito ciò, occorre analizzare la problematica inerente il calcolo della citata percentuale. La norma al paragrafo 5 indica come parametro di riferimento il fatturato realizzato dall’impresa o, in assenza, un’idonea misura alternativa basata sull’attività, in quanto l’in house riguarda non solo le società di natura formalmente privatistica, ma anche soggetti di natura pubblica, che non hanno un fatturato263. Viene, inoltre, indicato l’arco temporale di tre anni per il

suddetto calcolo, termine già previsto anche per altre soluzioni in tema di appalti nel nostro ordinamento, si pensi alla valutazione dei requisiti di carattere economico e finanziario (art. 41, comma 1, lett. c); oppure all’art. 128, del d. lgs. 163/2006). Qualora manchino tali dati o non siano pertinenti264, si prescinde dal requisito

triennale a condizione che venga dimostrata “che la misura dell’attività è credibile”.

263 L’art. 12, par. 1, fa riferimento ad “Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione

aggiudicatrice ad una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato”

Qui certamente riemerge l’opera interpretativa della giurisprudenza europea che dovrà indicare dei parametri oggettivi attraverso i quali valutare il rispetto del criterio della credibilità.

Per quanto riguarda il fatturato la norma è chiara nel precisare che si tratta di quello realizzato nello “svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione

aggiudicatrice controllante”265. Tutte le altre attività, quindi, realizzate al di fuori del

rapporto con l’amministrazione proprietaria, formeranno la parte residua non ricompresa nell’80%.

265 M. PANI – C. SANNA, L’evoluzione della disciplina in house nella legislazione e nella

giurisprudenza, Montescaglioso, 2014, 159. In pratica si deve tener conto come fatturato rilevante

6. Conclusione.

Con il riferimento al problema della immediata precettività della direttiva Appalti, si è più volte affermato che essa non può aversi, in quanto è in itinere il termine ivi previsto per la sua trasposizione.

Si è parlato nel capitolo precedente di una mediata precettività, attraverso i vari interventi legislativi nazionali che hanno già dato attuazione a parti della medesima direttiva e attraverso l’opera interpretativa dei giudici nazionali per la soluzione delle controversie in materia di appalti.

In questo capitolo si è voluto evidenziare l’immediata applicabilità dell’in house, in quanto materia di competenza esclusiva dell’Unione (art. 106 TFUE), e della sua espressa previsione.

Come si è chiarito, infatti, in dottrina e in giurisprudenza si poneva il problema della generalità o dell’eccezionalità dell’istituto data l’assenza di una disciplina espressa (a parte l’art. 113 TUEL).

Con la prescrizione, per la prima volta, dell’in house si potrebbe rispondere al suddetto problema, ritenendo che si tratta di un modello procedimentale alternativo all’evidenza pubblica che discende da un principio di tendenziale libertà dell’amministrazione, in quanto, in presenza dei presupposti che lo caratterizzano, non è tenuta a motivare la scelta di non avvalersi dell’outsourcing a favore di imprese private266.

266 Cfr. M. LIBERTINI, Le società di autoproduzione in mano pubblica, in Le società a partecipazione

Si è detto, infatti, che per il diritto comunitario il principio dell’autorganizzazione sia un principio europeo il quale ha la stessa dignità di quello della concorrenza che trova, quindi, un limite nel fenomeno dell’autoproduzione da parte della pubblica amministrazione.

Rispetto, ancora, a quanto si è espresso nel primo capitolo con riferimento al principio di concorrenza quale fil rouge dell’agere amministrativo, si può affermare che ad esso si affianca anche il principio dell’autorganizzazione della pubblica amministrazione.

Conclusione

La crisi economica ha inciso su varie disposizioni del codice dei contratti pubblici.

La direttrice utilizzata dal legislatore è stata quella di restringere la possibile lievitazione dei costi dell’affidamento, evitando anche le prassi volte a mascherare affidamenti senza gara, con la modifica dell’oggetto degli stessi in corso di esecuzione. Questo ha portato ad un ritorno alla logica contabilistica incidendo, però, in modo negativo sull’interesse pubblico alla migliore funzionalizzazione dell’opera, provocando l’eventuale fuga di capitali privati e la distorsione del mercato concorrenziale, con probabile riduzione della qualità dell’opera pubblica.

Altri interventi legislativi hanno riguardato la fase della realizzazione delle opere pubbliche e delle procedure, determinando una riduzione dei tempi della prima, una maggiore semplificazione delle seconde e favorendo l’accesso delle piccole e medie imprese (PMI).

Ancora, il legislatore è intervenuto con l’intento di ridurre il contenzioso, prevedendo sanzioni per lite “temeraria” e tipizzando le cause di esclusione (art. 46, comma 1-bis, d.l. n. 70/2011). Tuttavia, anche se ciò pone dei dubbi di ragionevolezza, in quanto, se si pensa alla sanzione della lite temeraria, si realizza una sorta di overcompensation ove venga cumulata con quella prevista dall’art. 96 c.p.c.; e se si pensa alle cause tipizzate di esclusione si creerebbe il rischio di disincentivare l’attività di quelle amministrazioni efficienti e di rendere anticompetitive le imprese, ponendosi in contrasto con la visione pro-concorrenziale della materia.

Ciò porta, dunque, ad un’interpretazione delle norme nell’ottica della tutela della concorrenza, elevata a principio costituzionale con la modifica del titolo V della nostra Costituzione e a principio che deve ispirare l’azione amministrativa con la recente modifica dell’art. 1 della legge n. 241/1990.

Alla luce di tale principio, volto a garantire la piena operatività del gioco concorrenziale, la P.A., nell’applicare le regole normativamente previste, dovrà essere indirizzata ad adottare atti amministrativi che abbiano come fulcro la tutela dell’interesse “pubblico” delle imprese.

Nuove modifiche alla disciplina dell’evidenza pubblica sono incentivate dalle ultime direttive in materia, che abrogano le precedenti, creando un ulteriore sconvolgimento. Ecco, allora, che ci si chiede, al fine di individuare una “relativa” stabilità nella materia, quali effetti essi oggi producano all’interno di questo frastagliato quadro normativo.

E’ attraverso l’analisi dei principi che sono posti alla base dell’evidenza pubblica che viene rintracciata una linea di stabilità, individuando con le ultime novità legislative, che di essi sono applicazione, la “mediata” precettività di alcune parti delle nuove direttive, affermandone l’anticipata attuazione.

Si è evidenziato, inoltre, che, pur non essendo self-executing nelle parti dettagliate e precise, in quanto è ancora in itinere il tempo di recepimento, esse producono un qualche effetto giuridico, essendo fonte di ispirazione per i giudici nella risoluzione delle controversie, tenuti ad assicurare la tutela giuridica che il diritto comunitario riconosce ai singoli, ed essendo, di riflesso, anche fonte di orientamento per l’agire delle pubbliche amministrazioni.

Si è potuto affermare ciò attraverso il richiamo al ragionamento giuridico che la Corte di Lussemburgo ha fatto nella sentenza “Mangold”. Si trattava di un caso in cui una direttiva volta a dare attuazione al principio di non discriminazione in ragione dell’età, principio generale del diritto comunitario, pur non essendo stata ancora attuata, in quanto non era ancora scaduto il termine di trasposizione, doveva comunque essere applicata dal giudice nazionale che deve assicurare <la tutela giuridica che il diritto comunitario attribuisce ai singoli, garantendone la piena efficacia e disapplicando le disposizioni eventualmente confliggenti della legge nazionale> (p. 77, sentenza Mangold, in causa C-144/04, del 22 settembre 2005).

Si ha, dunque, in capo al giudice, nonché agli organi dell’amministrazione, l’obbligo di interpretare <il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, del Trattato> (Corte di Giustizia 13 novembre 1990 C-106/89), obbligo che opera indipendentemente dalla mancata trasposizione della stessa. Ecco, quindi, che anche per le direttive del 2014 – appalti,

utilities e concessioni – si potrebbe affermare la produzione di effetti giuridici per il

tramite dell’attività interpretativa del giudice domestico e della pubblica amministrazione.

Ancora, si è cercato di evidenziare come attraverso le ultime novità legislative, espressione dei principi che imperniano la materia dell’evidenza pubblica (art. 2, d. lgs. 163/2006), si abbia una “mediata” applicabilità delle nuovissime direttive. In particolare, si è richiamato l’istituto del soccorso istruttorio, disciplinato, per le procedure di gara alle quali si applica il codice dei contratti pubblici, dagli artt. 38, comma 2 bis e 46, comma 1 e 1 ter, d. lgs. 163/2006. Si tratta di istituto volto a

rendere effettivi i principi del favor partecipationis e della semplificazione attraverso un modus procedendi, coniato dal d.l. n. 90/2014, convertito con l. n. 114/2014, indirizzato verso il superamento di inutili formalismi. Il soccorso istruttorio, come chiarito anche dall’Adunanza Plenaria (sentenza del 25 febbraio 2014, n. 9), rappresenta uno strumento volto a dare applicazione legale al principio del giusto procedimento (art. 3, legge 241/90), imponendo all’amministrazione di squarciare il velo della mera formalità per assodare l’esistenza delle effettive condizioni di osservanza delle prescrizioni prevista dalla legge o dal bando. Si cerca di superare il mero formalismo, per accrescere il sostanzialismo.

Tale intervento legislativo si allinea, anticipandola, alla nuova direttiva UE sugli appalti pubblici n. 24/2014, che amplia anch’essa il soccorso istruttorio dai documenti irregolari a quelli mancanti. Sembrerebbe, dunque, aversi nel nostro ordinamento una “mediata” precettività dell’istituto, disciplinato all’art. 56, p. 3, della nuova direttiva UE.

Nel trattare della “mediata” precettività della direttiva appalti è apparso interessante evidenziare l’immediata applicabilità dell’istituto in house, disciplinato espressamente per la prima volta nelle recenti direttive (art. 17 dir. 2014/23/UE, art. 12 dir. 2014/24/UE, art. 28 dir. 2014/25/UE). Si tratta di norme immediatamente vincolanti per gli Stati membri, in quanto materia facente capo alla competenza esclusiva del legislatore europeo, quale diretta attuazione dei trattati. Si è, inoltre, chiarito che l’in house, quale modello alternativo all’evidenza pubblica, è espressione del principio di autorganizzazione della P.A. che, avendo la stessa dignità di quello della concorrenza, si affianca a quest’ultimo nell’agere pubblico.

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