1. L’in house e i suoi requisiti.
1.1 Segue: Il controllo analogo.
Posto che si può non fare le gare - in deroga alla disciplina europea – soltanto quando non sussistono le condizioni di stipulare un contratto con un soggetto diverso, ma con un soggetto che invece è un tutt’uno con l’ente affidante; e posto che ciò si ha quando quest’ultimo ha un controllo sull’affidatario analogo a quello che ha sulle proprie strutture interne; la giurisprudenza e la dottrina hanno sostenuto che per controllo non può intendersi solo il controllo dell’attività, ma deve intendersi anche quello dell’organizzazione, della struttura organizzativa dell’ente affidatario. Sicché non c’è mai controllo analogo allorché in capo all’ente pubblico vi sia la possibilità di espletare solo un controllo sub specie di verifica di conformità dell’attività espletata dall’ente potenzialmente affidatario, a certi parametri di legittimità o a certi parametri di opportunità. Il controllo dell’attività non è sufficiente per affermare che la società è una longa manus dell’ente affidante, in quanto occorre un controllo strutturale, un controllo dell’organizzazione: l’ente deve essere “padrone” dell’organizzazione.
Il controllo sulla struttura è, invece, il controllo del pacchetto azionario da parte dell’ente pubblico che detiene le azioni.
232 Si tratta di due nozioni distinte: in favore evoca l’appalto; per conto evoca il servizio; in favore,
vigilanza dell’ente nell’ufficio, per conto, trasporto gestito dal soggetto societario in luogo e per conto dell’ente pubblico che di quel servizio ha la titolarità.
Si è posto il problema se sia necessario che la P.A. detenga la totalità delle azioni o è sufficiente un controllo maggioritario.
Fino al 2005, una parte diffusa della giurisprudenza, soprattutto nazionale233,
riteneva sufficiente un controllo strutturale di tipo maggioritario, non necessariamente di tipo esclusivo totalitario.
Nel 2005, invece, si registra una svolta giurisprudenziale per quel che riguarda per l’appunto la perimetrazione dell’ambito di invocabilità ed applicabilità dell’istituto dell’in house che viene ristretta fortemente per effetto di due importanti decisioni della Corte di Giustizia (sentenza 11 gennaio 2005, in causa C-26/03 e sentenza 13 ottobre 2005 causa C-458/03).
Con la prima, la Corte sostiene che affinché si abbia il controllo analogo è necessaria una partecipazione totalitaria e non solo maggioritaria dell’ente pubblico al capitale azionario del soggetto da considerare in house, sicché è sufficiente che nella compagine azionaria vi sia anche soltanto un privato (per una quota minima es. l’1%) che comporta il venir meno del “controllo”.
La Corte lo ha sostenuto, ritenendo che vi possa essere una relazione interorganica tra l’ente pubblico e il soggetto cui si vuole affidare senza gara, in forma diretta l’esecuzione della prestazione, quando l’affidante e la società aggiudicataria perseguano gli stessi interessi. Questa omogeneità di interessi si ha soltanto nel momento in cui il soggetto societario sia partecipato al 100% dall’ente pubblico, perché solo in quel caso quest’ultimo può assicurare la coerenza dell’attività dell’ente potenziale in house rispetto all’interesse pubblico che rappresenta. Quando nel soggetto societario c’è un privato, egli sarà un potenziale portatore di interessi
egoistici. Si adduce, quindi, un’incompatibilità ontologica fra l’interesse pubblico rappresentato nella società dall’ente pubblico, socio di maggioranza, e l’interesse egoistico del privato, socio di minoranza, escludendosi la relazione interorganica, ma affermandosi quella intersoggettiva, per la quale occorre fare la gara.
Sempre nell’intento di delimitare la nozione di “controllo analogo”, la Corte di giustizia è intervenuta ulteriormente nell’ottobre dello stesso anno. Si tratta del caso
Parking Brixen, dove ha affermato che il requisito strutturale del controllo analogo
sussiste se l’ente pubblico ha, non solo una partecipazione totalitaria, ma anche, alla stregua di una verifica in concreto (attenta in specie alle previsioni dello statuto della società) un potere di influenza sulle decisioni strategiche della società.
Si afferma, cioè, che non può aversi controllo analogo laddove l’ente pubblico, pur essendo socio al 100%, non abbia autonomia decisionale, in quanto quest’ultima, sulla base dello statuto, potrebbe essere affidata al c.d.a. che, quindi, assume decisioni strategiche per la società, senza che passino ad un vaglio preventivo dell’ente pubblico.
Si avrà, dunque, l’in house quando l’ente pubblico sia socio al 100%, ma anche titolare delle decisioni più importanti della società.
Questi due interventi hanno poi innescato, a partire del 2005, alcuni problemi interpretativi di cui la giurisprudenza europea e nazionale si è data carico.
Infatti, si è posto l’interrogativo se il requisito del controllo analogo sussista anche nei casi in cui ci sia nello statuto della società affidataria una clausola che la facoltizzi a cedere a privati una quota delle partecipazioni azionarie.
La questione è stata esaminata dalla Corte di giustizia nel caso Modling234 e, in
ambito nazionale, dal Consiglio di Stato nella sentenza 30 agosto 2006 n. 5072235.
Entrambi hanno affermato che una clausola statutaria siffatta sia di per sé incompatibile con il requisito del controllo analogo, perché quest’ultimo presuppone che la partecipazione totalitaria non soltanto sussista al momento dell’affidamento, ma anche durante lo svolgimento dell’intera attività.
Quindi, se la società affidataria è aperta, anche solo in parte, al capitale privato, non può aversi una struttura di gestione “interna” di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente che la detiene.
Successivamente, invece, tanto la giurisprudenza amministrativa italiana, quanto quella della Corte di Giustizia236, sembrano aver ridimensionato la portata delle
suddette affermazioni. Infatti, hanno iniziato a sostenere che ciò che è importante per aversi l’in house è che sussista il controllo totalitario, la partecipazione totalitaria al momento dell’affidamento; in quanto, dopo l’affidamento e nello svolgersi del rapporto tra ente pubblico affidante e società affidataria, l’eventuale dismissione delle quote societarie a privati, comporta la sua risoluzione.
Si afferma, quindi, il principio secondo cui, una volta venuta meno la partecipazione totalitaria, il rapporto instaurato in forma diretta e senza gara si risolve automaticamente, ma non ab origine, sicché non è in discussione la legittimità originaria dell’affidamento, ma la permanenza in vita dello stesso.
234 C. di Giust., 10 novembre 2005, causa C-29/04 – Modling o Commissione c/Austria, in
curia.europa.eu
235 in www.giustizia-amministrativa.it
236 Tar Puglia Lecce, sez. II, 11 febbraio 2008, n. 432, in www.giustizia-amministartiva.it; C. di
Giust., 10 settembre, in causa C-573/07, in curia.europa.eu-; Cfr. C. VOLPE, La Corte di Giustizia
continua la rifinitura dell’in house. Ma il diritto va in controtendenza, in www.giustizia-
Sempre con riferimento al requisito del controllo analogo si è posto anche il problema se questo sussista nei casi in cui la partecipazione pubblica sia frazionata, polverizzata, tra più enti pubblici. E’ il tema dei rapporti tra il controllo analogo e polverizzazione o frazionamento del capitale azionario, detenuto pur sempre in mano pubblica.
La giurisprudenza amministrativa237 ha affermato che ben è possibile che un
controllo analogo sussista quando la partecipazione totalitariamente pubblica sia tuttavia distribuita tra una pluralità di enti pubblici.
Ciò che è necessario, però, è che gli enti pubblici - in realtà nella giurisprudenza amministrativa ciascun ente pubblico abbia – ancorché sul piano azionario soltanto una partecipazione minima – un controllo sulla società analogo a quello che esercita sui propri uffici. Questo può aversi quando tra gli enti pubblici partecipanti al controllo diffusamente totalitario intervenga un accordo extra societario, in forza del quale le decisioni più importanti della società saranno vagliate preventivamente da un ufficio pubblico costituito da tutti gli enti, chiamati congiuntamente ad approvare le decisioni strategiche, a prescindere dal peso azionario che hanno nella struttura societaria.
Su questo tema è intervenuta anche la Corte di Giustizia nel 2009238 osservando che
non vi è ontologica incompatibilità tra controllo analogo e frantumazione del capitale societario tra più enti pubblici. Tanto sull’assunto secondo cui, ferma la necessità di una partecipazione pubblica totalitaria, non è necessario che ci sia un controllo da parte del singolo ente pubblico sulla società, ma è sufficiente che ci sia un controllo
237 Cfr. C.d.S., sez. V, 9 marzo 2009, n. 1365, in www.giustizia-amministrativa.it 238 C. di Giust., 10 settembre 2009, in causa n. C-573/07, in curia.europa.eu
congiunto da parte degli enti pubblici sulla struttura societaria. Il che si avrebbe – e in questo però c’è la diversità di posizioni tra la Corte di Giustizia e la giurisprudenza amministrativa239 – quando le decisioni strategiche della società in
base agli accordi intervenuti tra i soci, debbano essere adottate per il tramite di un organismo collegiale, cui partecipino tutti gli enti pubblici, senza che sia necessaria l’unanimità quale criterio di formazione delle relative decisioni, essendo sufficiente il criterio della maggioranza. Occorre, dunque, un controllo congiunto da parte di tutti gli enti pubblici.
Da ultimo, è intervenuta la sentenza n. 1181/2014 della V Sezione del Consiglio di Stato240 che ha chiarito, facendo un sunto sul contenuto del controllo analogo e
richiamando le precedenti affermazioni della giurisprudenza europea e amministrativa, che il vincolo tra amministrazione e società deve essere stringente e penetrante da non potersi distinguere, se non solo formalmente, il centro di imputazione delle scelte sociali e dunque dell’attività stessa direttamente affidata alla società in house.
239 C.d.S., sez. V, 9 marzo n. 1365, in www.giustizia-amministartiva.it
240 In www.giustizia-amministartiva.it; si riportano alcuni passaggi dove il C.d.S. richiama la
giurisprudenza comunitaria e nazionale (quale “la fondamentale sentenza della Corte di Giustizia 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal, nonché la sentenza 11 gennaio 2005, C- 26/03, Stadt Halle e la sentenza 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen; quindi, le sentenze del Consiglio di Stato n. 7636-04, 962-06, 1513- 07, Ad. Plenaria 1-08, 2765-09, 5808-09, 7092-10 ed 1447-11; le pronunce della Corte di Cassazione, ordinanze 5 aprile 2013, n. 8352, 3 maggio 2013, n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283; nonché le sentenze della Corte costituzionale, da ultimo, 20 marzo 2013, n. 46 e 28 marzo 2013, n. 50); e dove afferma i contenuto del controllo analogo:
“il controllo analogo a quello esercitato sui servizi dell’ente affidante deve essere configurato in termini diversi e più intensi rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria e agli aspetti che l’ente concedente ritiene opportuni di quella ordinaria. Giova ancora ricordare come già la giurisprudenza europea abbia ammesso la possibilità che il capitale sociale faccia capo ad una pluralità di soci, purché si tratti sempre di enti pubblici (si vedano le sentenze della Corte di giustizia 10 settembre 2009, n. 573/07, Sea, e 13 novembre 2008, n. 324/07,
Coditel Brabant), e come nel medesimo senso si sia espresso, del tutto persuasivamente, anche questo
Consiglio di Stato (si vedano, tre le altre, le pronunce n. 7092-10 ed 8970-09). Inoltre, occorrerà pur sempre, comunque, che lo statuto inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano titolari”.