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Il Regolamento Bruxelles II bis

La nozione di responsabilità genitoriale emerge, come già abbiamo osservato, oltre che attraverso il disposto di cui alla convenzione dell’Aja del 1996, attraverso il Regolamento CE n. 2201/2003. Il regolamento in questione, meglio conosciuto come «Bruxelles II bis», è entrato in vigore in tutti i Paesi dell’Unione Europea, a eccezione della Danimarca118, il 1 marzo del 2005.

Questo nome riflette sia la complessità del percorso storico attraverso cui l’Unione Europea è giunta ad occuparsi dei problemi connessi alla responsabilità genitoriale, sia la prospettiva da cui il problema viene affrontato. Il riferimento è infatti alla Convenzione di Bruxelles del 1968; un testo che, com’è noto, affrontava esclusivamente problemi di diritto processuale internazionale, fissando regole di competenza giurisdizionale e stabilendo il principio del riconoscimento automatico delle sentenze pronunciate negli Stati membri nella materia civile e commerciale. Come è al pari noto, tuttavia, la Convenzione di Bruxelles del 1968 non si applicava alla separazione, al divorzio, allo stato e alla capacità delle persone fisiche e quindi, in generale, alle questioni di diritto di famiglia119.

Per questa ragione, nel 1998 gli Stati comunitari avevano sottoscritto una nuova Convenzione (comunemente chiamata Bruxelles II)120 nella quale si prevedevano regole

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Si veda il considerando n. 31 e l’art. 2 par. 3 del regolamento CE n. 2201/2003; e il protocollo n. 22 allegato al TUE e al TFUE sulla posizione delle Danimarca. La Danimarca è, allo stato, fuori dalla integrazione europea in campo processuale. A tal proposito si ricorda che la base giuridica per l’approvazione del regolamento in esame, così per le sue modifiche, è fornita dal trattato di Amsterdam del 1997, il cui art. 2 precisa che uno degli obiettivi prioritari dell’Unione è conservare e sviluppare uno «spazio di libertà sicurezza e giustizia». In tale prospettiva, sono state attribuite nuove competenze all’Unione nel settore della cooperazione giudiziaria, secondo quanto specificato dal titolo V del TFUE (previgente titolo IV del trattato CE) in particolare all’art. 81, par. 2, lett. b e c; la norma attribuisce alle istituzioni europee il potere di adottare provvedimenti che, nel rispetto dei principi di proporzionalità e sussidiarietà, si prefiggono l’obiettivo non solo di migliorare e semplificare il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze, ma anche di promuovere l’uniformità delle regole di competenza giurisdizionale nelle controversie caratterizzate da elementi di estraneità. Le competenze dell’Unione sopra indicate, in virtù di specifiche disposizioni contenute nei protocolli allegati ai Trattati, non possono trovare attuazione,come noto, in Regno Unito, Irlanda e Danimarca. Però Regno Unito e Irlanda del nord, a differenza della Danimarca, hanno esercitato il c.d. opting in , notificando la volontà di partecipare all’adozione e all’applicazione del regolamento.

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Con l’unica eccezione degli assegni periodici di mantenimento.

120 L’idea di una convenzione in materia matrimoniale risale agli inizi degli anni 90. Un primo lavoro di

carattere prettamente dottrinale venne elaborato dal Gruppo europeo di diritto internazionale, che tra il 1992 e il 1993 predispose un progetto di convenzione doppia, contenente sia regole di competenza giudiziaria diretta sia regole di riconoscimento e di esecuzione. Tale progetto aveva un campo di applicazione ratione materia molto ampio: matrimonio, regime matrimoniale, separazione personale, divorzio, filiazione e successione.

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uniformi di giurisdizione in materia di nullità del matrimonio, di separazione e di divorzio e si affermava il principio per cui le sentenze pronunciate in tali materie dovessero essere immediatamente riconosciute in tutti gli Stati membri. Tale Convenzione, tuttavia, non entrò mai in vigore poiché, dopo il trattato di Amsterdam, le materie oggetto della Convenzione rientrarono finalmente tra quelle di competenza della Comunità, cosicché la fonte normativa per la loro disciplina dovette necessariamente essere il regolamento europeo.

Le soluzioni delineate nella Convenzione Bruxelles II sono perciò state recepite nel regolamento CE n. 1347/2000121, chiamato, per questo motivo, Bruxelles II. Appare, tuttavia, opportuna, una riflessione in merito alla breve durata del regolamento CE n. 1347/2000, che essendo stato interamente sostituito dal regolamento CE n. 2201/2003, è rimasto in vigore per un lasso di tempo estremamente ridotto. Il vecchio regolamento disciplinava la materia della potestà dei genitori in presenza di una duplice condizione: che si trattasse di un procedimento cronologicamente connesso con una controversia matrimoniale122 e che riguardasse i figli di entrambi i coniugi, sia biologici sia adottati.

Erano esclusi gli obblighi alimentari (v. nota 119), coperti dalla Convenzione di Bruxelles, l’adozione, la protezione dei minori e maggiorenni. Ciò per non creare conflitti con le Convenzioni dell’Aja già in vigore o in via di formazione.

Durante la presidenza del Regno Unito nel 1992 fu elaborato un questionario, poi riesaminato dalla presidenza danese e quindi inviato agli Stati membri per un primo scambio di opinioni sull’argomento. Al Consiglio Europeo di Bruxelles del 10 e 11 dicembre del 1993 si decise di predisporre nell’ambito del terzo pilastro una Convenzione che, in base all’art. 3 del trattato di Maastricht, estendeva alle cause matrimoniali la Convenzione di Bruxelles. Il 28 maggio 1998 la Convenzione fu firmata da tutti gli Stati membri ma non fu ratifica tata da nessuno Stato.

Sul punto e sulle ragioni che hanno portato all’adozione di questa convenzione si veda: A. DI LIETO, Il regolamento n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e alla esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale, in Dir. com. scambi int., 2004, pagg. 117 ss.

121Sul regolamento (CE) n. 1347/2000 (del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla competenza, al

riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, in GUUE L 160, del 30.6.2000) e sui motivi che hanno condotto alla sua adozione si vedano A. BONOMI, Il regolamento comunitario sulla competenza e sul riconoscimento in materia matrimoniale e di potestà dei genitori, in Riv. dir. int., fasc. 2, 2001, pagg. 298 ss; R. BARATTA, Il regolamento comunitario sulla giurisdizione e sul riconoscimento di decisioni in materia matrimoniale e di potestà dei genitori sui figli, in Giust. civ., 2002, pagg. 455 ss.; F. UCCELLA, La prima pietra miliare per la costruzione di un diritto europeo delle relazioni familiari: il regolamento n. 1347 del 2000 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, in Giust. civ., fasc. 7 - 8, 2001, pagg. 313 ss.

122 Le questioni relative alla responsabilità genitoriale non dovevano necessariamente essere considerate

all’interno del medesimo procedimento matrimoniale, ma la loro trattazione doveva in qualche misura essere occasionate dalla presenza del procedimento matrimoniale. Si veda A. BORRÁS, Relazione esplicativa alla Convenzione, stabilita sulla base dell’art. K.3 del Trattato dell’Unione Europea concernente la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni nelle cause matrimoniali, in GUUE C 221/27, del 16.7.1998. Al punto 68, in relazione alla duplice disciplina relativa ai motivi ostativi al riconoscimento prevista, rispettivamente, per i provvedimenti matrimoniali e per quelli relativi alla responsabilità genitoriale, si precisa che «dette decisioni, benché siano - le une e le altre - strettamente connesse con il procedimento in materia matrimoniale, possono essere rese da autorità differenti, secondo la ripartizione interna delle competenze nello Stato di origine». Con specifico riferimento all’ordinamento italiano, pertanto, la disciplina contenuta nella versione originaria del Regolamento si applicava, tanto alle controversie in materia di competenza del tribunale ordinario aventi ad oggetto questioni relative alla responsabilità genitoriale trattate nell’ambito di un procedimento di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio, quanto alle controversie di

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Esso non si applicava, pertanto, ai figli nati da una precedente relazione di uno dei due coniugi, né ai figli naturali, anche qualora risultassero inseriti nella famiglia, atteso che il regolamento prevedeva che i genitori fossero sposati. Ciò determinava una discriminazione nei confronti dei figli minori nati dai genitori non uniti dal vincolo matrimoniale, per i quali le decisioni in materia, ad esempio, di diritto di visita e di affidamento, non potevano essere «esportate» se non con procedure di notevole lunghezza e complessità123. È risultato, pertanto, opportuno, disciplinare l’intera

normativa relativa alla responsabilità genitoriale, indipendentemente dalla sussistenza di qualsiasi nesso matrimoniale, in un unico testo normativo. Infatti, in virtù del regolamento CE n. 1347/2000, ciò che veniva posto in risalto, in relazione all’affidamento del figlio, in linea con un’ottica maggiormente tradizionalistica, era la situazione di «frattura» della famiglia. Conseguentemente, l’affidamento del minore ed ogni altra situazione che, di fatto, lo andasse ad investire, veniva disciplinata e regolata quale corollario della rottura coniugale stessa. D’altronde, la volontà di mantenere la natura doppia124 del regolamento è dipesa - secondo la Commissione - dalla volontà di

«facilitare il lavoro dei giudici e degli operatori del diritto quando si trovano a trattare

questioni attinenti alla responsabilità genitoriale, spesso sollevate nel corso delle cause matrimoniali».

Come si è già esposto nel presente elaborato, i profondi mutamenti dei modelli familiari, ove le coppie si formano sempre più al di fuori di qualsiasi vincolo matrimoniale, hanno dettato la necessità di garantire una parità 125 di posizione a tutti i minori, indipendentemente dall’esistenza del vincolo matrimoniale fra i genitori, ponendo, per l’appunto, come si è avuto modo di evidenziare più volte, al centro della disciplina de qua

competenza del tribunale dei minorenni sempre in relazione a questioni relative alla responsabilità genitoriale, a condizione che fossero «occasionate» da una causa matrimoniale.

123L’impossibilità di fare circolare nello spazio europeo, sulla base di una disciplina comunitaria, i

provvedimenti di affidamento della prole successivi alla definizione dei procedimenti matrimoniali, era considerata una grave lacuna nel sistema, che, già all’indomani dell’entrata in vigore del regolamento CE n. 1347/2000, aveva suscitato numerose iniziative volte ad integrare e /o modificare l’impianto di tale strumento normativo.

124 Il regolamento rappresenta una atto doppio anche in un altro senso: sono ivi previste sia norme sulla

giurisdizione, sia sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni straniere.

125 Esigenza sancita nella stessa Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea all’art. 24. La Carta, un

tempo anche nota come Carta di Nizza, è stata solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e, una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento Consiglio e Commissione. Con l’entrata in vigore del «Trattato di Lisbona», la Carta di Nizza ha assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, e si pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri e, allo stesso livello di trattati e protocolli ad essi allegati, come vertice dell'ordinamento dell'Unione europea.

Secondo quanto previsto dal considerando 33, il regolamento (CE n. 2201/2003) «riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea. In particolare: mira a garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali del bambino quali riconosciuti dall’art. 24 della Carta de Diritti fondamentali dell’Unione Europea».

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la persona del minore e le sue esigenze sociali, culturali ed affettive. Con il regolamento CE n. 2201/2003, pertanto, si è cercato di colmare tali lacune, introducendo il concetto di responsabilità genitoriale126, affinché, attraverso l’interpretazione elastica del medesimo,

fosse possibile porre maggiore attenzione alle esigenze del soggetto minore e garantire, quindi, una migliore protezione nei suoi confronti e tutela dello stato psico-fisico del medesimo.

L’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario, è quello di salvaguardare l’interesse superiore del minore, quale «file ruge» di tuta la normativa in materia di responsabilità parentale. Già sul piano terminologico, l’espressione «responsabilità genitoriale» in luogo di quella di «potestà genitoriale» presente nel regolamento precedente, è frutto di una scelta precisa, dettata da un cambiamento di prospettiva, non avendo le stesse uguale significato. La prima, privilegia infatti l’aspetto degli obblighi dei genitori rispetto alla posizione (di soggezione) dei figli.

Il regolamento, tuttavia, nel darne una definizione, sia pur se convergente ed analoga a quella di cui all’art. 1 par. 2 della Convenzione, stabilisce all’art. 2 par. 7 che essa si manifesti nei «diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di

una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita»127.

Seguono, infine, nel testo del regolamento stesso, una serie di definizioni relative al diritto di visita e di affidamento, al fine di ridurre i margini interpretativi potenzialmente discordanti fra i vari Stati membri.

Appare, inoltre, di fondamentale importanza, la definizione dei titolari della responsabilità genitoriale, che vengono individuati dall’art. 2 par. 7 in «qualsiasi persona

126 Concetto assente nel vecchio regolamento (CE n. 1347/2000), essendo questo relativo alla

«competenza,riconoscimento e esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale nonché in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi». Un ulteriore punto debole del regolamento precedente era rappresentato dal fatto che non offriva una definizione di potestà genitoriale. Ciò comportava un necessario rinvio al diritto interno, con conseguente incertezza giuridica circa la riconducibilità del diritto di visita all’ambito di applicazione del regolamento stesso. Proprio a tali dubbi interpretativi ha inteso, tra l’altro, rispondere il nuovo regolamento (CE n. 2201/2003) che, non solo delimita il proprio ambito di applicazione in maniera più precisa, ma anche si preoccupa di fornire la definizione di numerosi termini impiegati nel testo.

Si veda L. CARPANETO, Il diritto di visita nel diritto dell’Unione Europea, in F. PREITE (a cura di), Atti notarili. Diritto comunitario e internazionale, vol. 4, tomo 1, Milano, 2011, pag. 89; F. MOSCONI - C. CAMPIGLIO, Giurisdizione e riconoscimento di sentenze straniere in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, in Dig. Disc. Pubb., 4 ed., agg. 2005, pagg. 336 ss.

127 Si veda G. BIAGIONI, Il nuovo regolamento sulla giurisdizione e sull’efficacia delle decisioni in materia

matrimoniale e di responsabilità dei genitori, in Riv. dir. int., 2004, pag. 994.

Si precisa, inoltre, che il diritto di visita e di affidamento, esplicitamente menzionati, sono da considerarsi a titolo esemplificativo, costituendo, queste le due questioni maggiormente controverse in materia di responsabilità genitoriale.

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che eserciti la responsabilità di un genitore su un minore». Una tale definizione può,

pertanto, ritenersi sufficientemente esauriente, anche in considerazione della lettura che deve esserne data, in coordinamento con il disposto di cui all’art. 1 del regolamento sull’applicazione ratione materiae del medesimo. Quest’ultimo, in linea e conformità a quanto statuito dalla Convenzione dell’Aja del 1996 (che ha, però, un raggio di applicazione assai più vasto rispetto al regolamento, operante nel solo territorio dell’Unione Europea) stabilisce che esso vada ad investire le questioni relative «all'attribuzione, all'esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della

responsabilità genitoriale», che riguardano in particolare queste materie: «a) il diritto di affidamento ed il diritto di visita;

b) la tutela, la curatela ed altri istituti analoghi;

c) la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino od assistano;

d) la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto;

e) la misure di protezione del minore legate all’amministrazione, alla conservazione, o all’alienazione dei suoi beni».

A quanto sopra detto si aggiungono le recenti precisazioni della Corte di Giustizia, la quale ha puntualizzato che rientrano nell’oggetto del regolamento sia «le decisioni che

vertono su un aspetto particolare di detta responsabilità, sia quelle che ne determinano l’esercizio in maniera generale»128.

Con riferimento al diritto di visita, definito come «il diritto di condurre un minore in un

luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo»129, si rileva

128 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 21 ottobre 2015, causa C - 215/15, Gogova c. Iliev,

pt. 27. Nella causa in questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’azione con cui uno dei genitori chiede al giudice di ovviare al mancato consenso dell’altro genitore agli spostamenti del figlio minore al di fuori dello Stato membro di residenza abituale del minore medesimo ed al rilascio di un passaporto a suo nome ricada nella sfera di applicazione ratione materiae del regolamento CE n. 2201/2003, e ciò sebbene la decisione pronunciata in esito a tale azione debba essere successivamente presa in considerazione dalle autorità dello Stato membro di cui il minore sia cittadino nell’ambito del procedimento amministrativo relativo al rilascio del passaporto. La Corte sostiene che al fine di stabilire se una richiesta ricada nella sfera di applicazione del regolamento CE n. 2001/2003, occorre far riferimento all’oggetto della medesima. Rileva, inoltre che un’azione come quella oggetto del procedimento principale non ricade in alcuna delle eccezioni esaustivamente elencate all’articolo 1, paragrafo 3 del regolamento e che l’elenco di materie disciplinate dal regolamento stesso a titolo di responsabilità genitoriale non ha carattere esaustivo bensì semplicemente indicativo (v. sul punto anche Corte di giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 27 novembre 2007, causa C - 435/06, C, pt. 30 e Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza del 26 aprile 2012, causa C - 92/12, Health Service Executive c. S.C. e A. C., pt. 63). Per tali ragioni, la Corte statuisce che una richiesta come quella oggetto del procedimento principale che verta su una decisione in particolare, attinente ad un minore e non al complesso delle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale rientra nel campo di applicazione del regolamento.

129 Art. 2 par. 10 del regolamento CE n. 2201/2003. Definizione del tutto analoga è prevista all’art. 3, lett. b) della Convenzione dell’Aja del 1996, dove si afferma che il diritto di visita «comprende il diritto di portare il minore, per un periodo di tempo limitato, in un luogo diverso da quello di abituale residenza»; e all’art. 5 lett. b) della Convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale.

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che, data l’estrema ampiezza della disposizione, idonea a ricomprendere al suo interno qualsiasi tipologia di regime di visita130, indipendentemente dal beneficiario, tale diritto

viene esteso anche ai nonni131 o al genitore sociale, inteso come genitore che pur non

essendo biologico, abbia rivestito un ruolo tale nella vita del minore che sia cresciuto in una famiglia cosiddetta allargata o ricomposta. Pertanto, una siffatta ed ampia qualificazione del concetto di responsabilità genitoriale, va ad estendere, a soggetti terzi rispetto ai genitori, i diritti ed i doveri derivanti dall’istituto, comportandone, quindi, un allargamento anche dal punto di vista di applicabilità ed accesso della procedura facilitata per il riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti aventi ad oggetto di diritto di visita.

Anche per quanto riguarda il diritto di affidamento, il legislatore ha sentito l’esigenza, oltre che di nominarlo expressis verbis per fugare i dibattiti precedenti sulla portata della norma, di chiarirne il contenuto. Al tal riguardo, all’art. 2 par. 9, si è specificato come esso comprenda «i diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in

particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza»132.

130 Si osservi sul punto la «Guida pratica all’applicazione del regolamento Bruxelles II bis» (reperibile su

http://ec.europa.eu/justice/civil/files/brussels_ii_practice_guide_it.pdf.) che fa esplicito riferimento al contatto telefonico e via e-mail. Per una applicazione di contatti telefonici via internet nella giurisprudenza italiana, si veda Trib. Nicosia, 22 aprile 2008, in Fam. dir., 2008, pag. 803 secondo cui: «il diritto di visita spettante al genitore non affidatario può essere esercitato, nei riguardi dei propri figli minori collocati a distanza, ricorrendo a forme di collegamento in video - ripresa su internet. A tal fine però è necessario che lo stesso genitore metta a disposizione della prole, a sue spese, idonea apparecchiatura sopportando i relativi costi di gestione del collegamento. Tale forma di comunicazione, pur se ammessa, non deve, tuttavia, essere intesa come sostituiva della relazione fisica tra genitori e figli».

131Conclusione, questa, ormai assodata nel nostro ordinamento. In Italia, infatti, già la riforma attuata con la l.

n. 54 del 2006 aveva consacrato il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (il c.d. diritto di visita dei nonni); ora il d.lgs. 154/2013, introduce il contraltare di tale diritto, ovvero la speculare pretesa dei nonni di vedere e tenere con se i propri nipoti (ex. art. 317 bis, comma 1 c.c. rubricato «Rapporti con gli ascendenti»), sempre che, ovviamente, non vi ostino