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Il diritto alle storie: pedagogia e identità 1

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 124-130)

Susanna Barsotti

1. Il diritto alle storie: pedagogia e identità 1

Tra i diritti previsti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e del-l’adolescenza del 1989, figura anche quello alla lettura, alla narrazione, alle storie. Sappiamo bene che la lettura e la familiarità con le storie presentano in sé una potenzialità pedagogica che può favorire il diritto alla libera espres-sione e all’ascolto di bambine, bambini e adolescenti; dunque, non avere accesso alla lettura può tradursi per i più piccoli e i giovani in una mancanza di opportunità che può implicare sofferenza, rendere vulnerabili a forme di discriminazione, favorire l’esclusione sociale e l’insuccesso scolastico. Le storie svolgono un ruolo di primo piano nello sviluppo dei processi di co-struzione dell’identità personale, a livello affettivo, relazionale e cognitivo, in ogni fase della vita. Tali processi sono influenzati dalla capacità, acquisita in età evolutiva, di narrarsi e dall’aver conseguito quell’impalcatura narrativa di cui parla Gianni Rodari nella Grammatica della fantasia (1973), stru-menti indispensabili per dar forma al proprio sé, ai propri significati, alle cornici di senso in cui riconoscersi e raccontarsi in quanto esseri umani con una propria autobiografia e memoria. Jerome Bruner (1997) afferma che quanto accade viene sempre espresso dagli esseri umani in forma di rac-conto, per cui la nostra vita e la nostra stessa identità prendono forma e consistenza all’interno di una struttura narrativa. Viviamo propriamente in

un mare di storie e solo frequentando le regole della narrazione, ascoltando le storie, leggendole, creandole a nostra volta, impariamo a rappresentare e a scambiarci le rappresentazioni di questo mondo e di noi al suo interno. La narrazione, il racconto, le storie, la letteratura acquisiscono importanza nel dare senso alle cose, alla vita stessa, nel rendere l’individuo consapevole di se stesso e della propria esperienza.

La narrazione […] diviene paradigma indispensabile per la costruzione di un senso unificante agli ingredienti disparati che costituiscono le parti di un sapere capace di trasformarsi in racconto identitario, carta d’iden-tità cognitiva del soggetto che non solo sa, ma sa di sapere proprio in ragione del fatto che questo sapere lo sa raccontare, trasformando il rac-conto della conoscenza anche in racrac-conto di sé (Dallari, 2005, p. 225). Le storie, dunque, presentano meccanismi di costruzione identitaria, ma anche curano, salvano dalla morte, basta pensare a Sharāzād o a Penelope che tesse e ritesse la sua tela. Le storie hanno un potere “magico”, anche in epoche lontanissime, chi ascoltava i racconti orali sapeva di entrare in una dimensione diversa, dove poteva rilassarsi e lasciar scorrere la propria fan-tasia su ciò che veniva narrato. Il “C’era una volta…” delle fiabe rappresenta la millenaria porta d’ingresso all’altrove, l’inizio di un viaggio dentro il rac-conto, orale o scritto che sia, attraverso il quale l’ascoltatore-lettore evade in un mondo immaginario dal quale ritorna alla realtà arricchito da quella esperienza. Proprio la letteratura per l’infanzia e l’adolescenza si presenta quale inesauribile serbatoio di narrazioni e dunque strumento irrinunciabile e fecondo per studiare l’immaginario con un’ottica pedagogica, un metodo di ricerca caratterizzato dalla volontà di tenere presenti molteplici fili, da riannodare in un ordito interpretativo capace di rivelare in tutta la loro por-tata gli orizzonti immaginativi di una letteratura considerata a torto minore. Questo tipo di letteratura ha conosciuto, proprio negli ultimi trent’anni, un momento di profonda trasformazione definendosi sempre più come fe-nomeno culturale caratterizzato dalla categoria della complessità. Essa, oggi più che mai, esplora tutte le possibilità divergenti e convergenti della crea-tività umana, sperimentando generi, linguaggi, tecniche e stili diversi, ri-volgendosi a tutte le età della vita, coltivando un rapporto intelligente e disinvolto con la tradizione e le fantasie futuribili, senza mai tradire il di-ritto-dovere di incidere sul contemporaneo. Gli ambiti e le connessioni cui

la letteratura per l’età evolutiva rimanda implicano la necessità, per analiz-zarla e veicolarla, di una trasversalità di strumenti interpretativi, nonché la necessità di uno sguardo particolare all’infanzia e all’adolescenza, da cogliere all’interno e al di sotto delle infinite proiezioni del mondo adulto. I tasselli che contribuiscono a definire il mosaico culturale all’interno del quale si colloca anche la letteratura per l’infanzia, sono molteplici e solo tenendoli tutti presenti si può davvero approntare uno studio teso a comprenderla profondamente. I suoi rapporti con altri ambiti disciplinari, come ricordano Emy Beseghi e Giorgia Grilli (2011), sono ineludibili: i contesti storico, letterario, filosofico e antropologico ai quali si aggiungono, soprattutto nella società contemporanea, i riferimenti inevitabili al mondo del visivo e del-l’arte, ma anche, non ultimo, l’ambito pedagogico richiamato dal ruolo del destinatario, il bambino lettore.

Da qui la declinazione degli interventi che si sono succeduti all’interno del Panel e che, in maniera arbitraria, sono stati ricondotti a tre ambiti te-matici così declinati: “evoluzione letteraria e rapporti generazionali. Un se-colo verso il futuro”; “narrazione, infanzia, formazione”; “bambini tra lettura e letteratura: diritti, doveri, piaceri”.

Nel primo ambito si inserisce la riflessione sul dibattito internazionale che, negli ultimi trent’anni, verte sulla definizione e sull’identità della let-teratura rivolta ai più giovani, così come sulle sue condizioni di possibilità e su uno studio critico che ne esplicita il nodo problematico costruttivo: il confine tra adulto e bambino, tra autore e lettore, inteso di volta in volta come insanabile frattura o riflesso del mondo eteronormativo regolato dagli adulti da un lato e progetto pedagogico finalizzato al futuro e dunque im-prevedibile potenziale dei bambini lettori dall’altro. In questo senso la let-teratura per l’infanzia si pone come ponte tra infanzia e adultità o come piattaforma per un simmetrico sviluppo tra generazioni. La letteratura per l’infanzia contemporanea è caratterizzata dalla sottile dialettica tra indot-trinamento e emancipazione e da quell’impulso didattico che si traduce sia come manipolazione ideologica che come “liberazione” delle capacità cri-tiche del lettore.

Il tema della formazione e il suo rapporto con i protagonisti delle storie e di conseguenza con i loro lettori, è da sempre centrale nella ricerca e nello studio critico sulla letteratura per l’infanzia e l’adolescenza. Secondo quanto sostiene Stefano Calabrese (2013), la produzione per ragazzi, a seconda che decida di immaginare l’inesistente o di rimanere nell’ambito dell’esistente,

si assesta su due grandi codici tematico-morfologici, la fiaba e il romanzo di formazione. Nel primo caso la letteratura per l’infanzia adotta la morfo-logia del racconto fiabesco riadattandola su narrazioni lunghe e complesse, oppure su schemi favolistici brevi ed enigmatici: ne sono un esempio Le avventure di Pinocchio, Alice nel paese della meraviglie, Il mago di Oz, Peter Pan nei giardini di Kensington e molti dei classici della letteratura per l’in-fanzia. Ciò che accomuna queste opere è la raffigurazione di scenari onirici, originali e refrattari al senso comune, che gioca con gli spazi narrativi tanto che un luogo familiare o reale (un paesaggio rurale toscano, la Oxford vit-toriana, le praterie del Kansas, un parco londinese) consente l’accesso, e tal-volta “contiene”, luoghi di pura fantasia la cui esistenza sembra amministrata secondo norme e principi, linguaggi e costumi del tutto dif-ferenti da quelli della vita “normale”. Al secondo ambito tematico-morfo-logico appartiene la letteratura per l’infanzia che adotta il modello del romanzo di formazione o Bildungsroman. Franco Moretti (1999) ha de-scritto quest’ultimo come un genere tipicamente ottocentesco, che si colloca nel punto di passaggio tra due classi sociali (la borghesia e l’aristocrazia) e rivela un’attenzione nuova verso i giovani, visti come i principali attori dei processi di innovazione politica, culturale e civile dell’Europa moderna. Se-condo questa interpretazione il termine Bildung andrebbe ad indicare un ideale di crescita organica e di realizzazione delle potenzialità umane me-diante un confronto attivo con il mondo esterno e la coltivazione delle pro-prie doti interiori. In questo senso sono facilmente intuibili le ragioni della diffusa, fortunata adozione di tale modello da parte della letteratura giova-nile. Anche solo pensando ai classici della letteratura per l’infanzia catalo-gabili entro il genere “romanzo di formazione” (Incompreso, Heidi, Il giardino segreto, solo per citarne alcuni), si comprende come la struttura narrativa in questione abbia svolto compiti simbolici ritenuti essenziali per mediare il passaggio tra pubertà e giovinezza nelle società occidentali in fase di avanzata industrializzazione. Una delle migliori voci della narrativa per ragazzi contemporanea, Marie-Aude Murail, inserisce le sue protagoniste e i suoi protagonisti in veri e propri romanzi di formazione; si tratta di per-sonaggi reali, credibili, in cui le ragazze e i ragazzi di oggi possono ricono-scersi. Convinta che i “giovani lettori, non vogliono essere protetti” e che gli scrittori per ragazzi devono possedere come imprescindibili caratteristi-che “l’onestà di non nascondere le cose e la volontà di lasciare un po’ di speranza”, la Murail offre ai propri lettori figure di adolescenti che trovano

il coraggio di seguire le proprie ambizioni, i propri desideri e i propri sen-timenti, senza arrendersi a soluzioni standardizzate.

Infine, la lettura. Dal punto di vista pedagogico, la preoccupazione a proposito del leggere ha sempre coinciso, in passato, con gli obiettivi fon-damentali dell’istituzione scolastica, nelle diverse forme e caratteristiche che questa ha storicamente assunto. L’insegnamento-apprendimento della let-tura è sempre stato un fine primario della scuola, sia che essa fosse rivolta alla formazione di una ristretta cerchia di individui sia che fosse rivolta a garantire alcune competenze di base alla totalità dei cittadini, in una visione democratica dell’educazione (Ascenzi, 2002). Data ormai per acquisita la necessità di una distinzione tra l’acquisizione della lettura come competenza strumentale, indispensabile alla piena integrazione dell’individuo in una società alfabetizzata e l’esercizio della lettura con obiettivi di intrattenimento e svago o di arricchimento della propria umanità e cultura, possiamo affer-mare che oggi, anche nell’abito della lettura strumentale, “si è passati a ri-vendicare per tutta la scuola, compresa quella di base, il passaggio a una concezione e a una pratica della strumentalità più elevate, cioè a recuperare il significato del leggere come esercizio compiuto del pensiero” (ivi, pp. 6-7). Ciò da un lato, implica un potenziamento e una dilatazione delle attività cognitive generali, dall’altro, determina, attraverso l’esercizio critico sul testo, non solamente un processo di “comprensione” dei contenuti, ma anche una loro interpretazione e ridefinizione simbolica. In virtù di questo articolato processo, la lettura rende possibile non solamente l’accesso a un mondo di significati, ma anche e in particolar modo, una valutazione critica di quei significati. Oggi, dunque, è indispensabile proporsi più ampi obiet-tivi: l’insegnamento della lettura, sotto questo profilo, cercherà di promuo-vere non solamente un’abilità di tipo strumentale, ma anche una capacità di elaborazione cognitiva e, nel contempo, una competenza critica capace di orientare bambini e ragazzi nell’analisi e nell’interpretazione della realtà.

[…] leggere non vuol dire solo decodificare i segni tracciati sulla carta (per uno scopo utile e necessario al lavoro), ma soprattutto, significa vi-vere infinite vite e storie, immergersi e riflettere sulle vicende virtuali dei personaggi e comprendere meglio noi stessi. Se poi abbiamo la for-tuna di leggere assieme ad altri e di parlare con genuino interesse di quello che abbiamo letto, la comunicazione diviene un mezzo di cono-scenza collettivo (Chambers, 2006, p. 10).

L’educazione alla lettura, perciò, non può più basarsi sul come leggere, ma sul perché e sul cosa far leggere.

Motivare alla lettura, creare lettori, significa creare esseri umani interes-sati all’apprendimento, curiosi, capaci di andarsi a cercare le informa-zioni, di trovarle, di leggerle, di elaborarle in modo autonomo. In una scuola come quella di oggi che non può più porsi come fonte di tra-smissione di un sapere sempre meno contenibile e sempre più soggetto alla necessità di operare scelte, porre come obiettivo primario la crea-zione della motivacrea-zione alla lettura è quanto di più concreto e realistico si possa fare (Valentino Merletti, 2000, p. 46).

Dentro il libro giacciono storie a cui poter attingere e di cui l’infanzia ha un enorme bisogno per crescere o per proiettare i simboli della sua vita segreta. La formazione del lettore è quindi un compito specifico che gli adulti devono assumersi nei confronti dei più piccoli perché l’amore e il piacere della lettura non sono innati, istintivi, non avvengono per caso. Certo l’incontro casuale con un libro è determinante nel suscitare la sete di lettura, ma deve esserci qualcuno che quel libro ce lo porge, che ce lo mette a disposizione. Gianni Rodari, Daniel Pennac e molti altri sottolineano con forza il fatto che se il bambino, il ragazzo vivono in un ambiente in cui non ci sono libri, se la lettura non è un’abitudine in famiglia, se non vedono mai un adulto a loro vicino che legge, se nessuno ha raccontato o letto loro storie, difficilmente diventeranno lettori appassionati. Se, come abbiamo detto, quello alla lettura e all’incontro con il libro costituisce uno dei diritti riconosciuti dalla “Convenzione per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”, è lecito interrogarsi anche sul rapporto tra lettori e loro diritti nella società contemporanea rileggendo quel Come un romanzo di Daniel Pennac (1994), di pochi anni successivo, proprio in relazione alla Convenzione ONU con un particolare riferimento alla «libertà di espressione» (art. 13), all’incontro con i «libri per l’infanzia» (art. 17) e a una partecipazione libera «alla vita culturale e artistica» (art. 31).

2. Una convenzione a misura di bambino: il mondo, le storie, i fanciulli2

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 124-130)