• Non ci sono risultati.

L’infanzia naturalizzata

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 114-117)

intorno a tre tempi del moderno Letterio Todaro

2. L’infanzia naturalizzata

Nel prosieguo del presente intervento ci si soffermerà su tre momenti, o se si preferisce su tre immagini, che, fra le altre, intervengono a significare nel corso della modernità matura – e quindi, storicamente, fra Otto e Nove-cento – la manifestazione di una volontà di impiantare un discorso peda-gogico relativo all’infanzia come segnatamente “profetico”. Ovvero, un discorso premonitore, e allo stesso tempo promotore di un avvento di ra-dicale cambiamento per l’organizzazione delle comunità sociali e per l’in-troduzione di sostanziali mutamenti in quei paradigmi “ideali”, istitutivi di modelli di “rifondazione” della vita collettiva, capaci di rappresentare dei poli di orientamento e delle strutture regolative per l’identificazione delle mete e dei fini valoriali da perseguire come traguardo progressivo delle so-cietà moderne.

Un primo “stemma” pedagogico che interviene a coagulare intorno a sé una simile volontà di profonda innovazione culturale, a partire dalla capa-cità di impianto di un nuovo modo di “guardare” all’infanzia può ricono-scersi nell’immagine di “infanzia naturalizzata” che erompe e si afferma

nella fase secondo-ottocentesca e che trova, sicuramente, un quadro di ela-borazione delle sue categorie dentro le forme della cultura positivistico-evo-luzionistico-spenceriana.

Dentro questa cornice culturale è possibile osservare come la ricostru-zione ex novo di un’immagine dell’infanzia sia determinante per imporre la percezione di un’esigenza di ricostruzione generale dei processi formativi, secondo una somma di criteri corrispondenti alla formulazione di un di-scorso che trova il suo carattere di identità specifica nell’affermazione del-l’impossibilità di continuare a riproporre pratiche e sistemi educativi derivati dalla tradizione, in quanto assolutamente non congruenti con i “bi-sogni del moderno”.

Lo sforzo enorme che avviene nel quadro della pedagogia evoluzioni-stico-spenceriana – schema teorico di riferimento di larghissima influenza e risonanza sulla cultura pedagogica internazionale del secondo Ottocento (Todaro, 2017) – consiste nel sostanziare attraverso la collezione di elementi di derivazione scientifica un’immagine innovativa di infanzia, modellata su un’impressione naturalistica. La svolta naturalistica – già preconizzata dalla prima pedagogia moderna profondamente riformistica, quella di Rousseau (Cambi, 1995, pp. 279-290), ma giunta a piena maturazione solo dentro l’orizzonte della scienza evoluzionistica del XIX secolo – rivoluziona l’im-pronta rappresentativa di quelle “condizioni-base” a cui il processo forma-tivo deve corrispondere e aderire, e che vengono adesso individuate come termini di individuazione di “bisogni educativi” autentici e indeclinabili.

A partire da questo momento, è proprio da tale capacità di soddisfazione di bisogni caratteristici – di cui la pedagogia si rende prima interprete – che viene a dipendere la possibilità di affrancamento dell’infanzia da una condizione di soggezione a vincoli impropri e inadatti alla sua realizzazione ed, ancora, la possibilità di far coincidere il processo di sua formazione con un processo di effettiva “liberazione”.

Difatti, l’operazione pedagogica spenceriana prende corpo proponendo un’integrazione diretta delle radici della vita infantile e delle sue tendenze di sviluppo nella manifestazione di una dinamica naturale, che perciò di-chiara sue esigenze, suoi bisogni e reclama suoi diritti. L’integrazione del-l’immagine dell’infanzia dentro questo calco ne impressiona la conformazione a un dato “naturale” che si impone, attestando l’inderoga-bilità dal rispetto di regole, in qualche modo “oggettive”, reclamando così, con decisione, il valore di preminenza che assume il riconoscimento di

al-cuni inderogabili “bisogni”. Anzi, più esattamente, la pedagogia viene adesso a riconoscere che, in qualche modo, la sua stessa scienza si costituisce, per diversi aspetti, attraverso la capacità di accogliere, intercettare, com-prendere e rispondere ad un complesso di bisogni che l’infanzia impone in termini puntualmente corrispondenti alla manifestazione della sua “natura”.

E, pertanto, mentre da questo momento la pedagogia, prende l’abbrivio per incamminarsi sulla strada maestra della sua “rivoluzione scientifica” (Di Pol, 2007 pp. 9-20), che la conduce a farsi prima di tutto disciplina indagatrice, osservatrice, ascoltatrice di quanto l’infanzia ha da dimostrare e da raccontare di sé e dei suoi bisogni, interpretando anche la sua funzione di servizio nell’essere in qualche modo la scienza che in maniera più esplicita e privilegiata intende porsi alla ricerca stessa della “natura dell’infanzia” (Hofstetter, 2017), allo stesso tempo il discorso pedagogico si apre risolu-tamente e senza esitazioni a raccogliere un’istanza di liberazione/emancipa-zione dell’infanzia. La pedagogia diventa esemplare cassa di risonanza sul cui timpano battono prepotentemente tutte le urgenze, dichiarate “in prima persona” da un’infanzia ormai pronta ad affermare ad alta voce le proprie indeclinabili esigenze; esigenze inderogabili perché “naturali”.

La pedagogia raccoglie in maniera elettiva un’urgenza di affermazione dell’infanzia che, specialmente all’interno di quella narrazione moderna, accompagnata da un supporto scientifico, corre ad amplificare il bisogno di spazi dedicati e “su misura”; il bisogno di gioco e di confronto diretto con le “cose” e con gli oggetti del mondo; il bisogno di usare spassionata-mente tutti i sensi per “toccare” e per “sentire” e per strutturare l’allarga-mento di un rapporto di relazione con la realtà esterna; il bisogno ancora di godere al meglio possibile tutto quanto concorre a generare un benessere psicofisico e che si dichiara attraverso la volontà di godere di aria, di luce, di colori, di movimento; il bisogno di poter ricevere una piena libertà di “sperimentare” e di imparare per via di auto-correzioni, attraverso un rap-porto diretto e aperto con il mondo dell’esperienza, anche al fine di guada-gnare un’autonomia di intelligenza e di condotta e così rompere quel rapporto di sudditanza che normalmente manteneva la condizione di azione del soggetto infantile come inchiodata al controllo e alla prepotenza del mondo adulto.

Non può passare inosservato, che già nella stessa costruzione del modello naturalistico spenceriano, in cima ai criteri che individuano un’adeguata regolazione del sistema di educazione dell’infanzia – laddove, peraltro il

cri-terio di adeguatezza viene fatto linearmente corrispondere ad un cricri-terio di naturalezza – il principio regolativo per eccellenza dell’educazione è rico-nosciuto in quello del “piacere” (Spencer, p. 163): indizio massimamente indicativo della realizzazione di un circuito virtuoso tra bisogno e soddisfa-zione, tra manifestazione di interessi e possibilità di loro concretizzasoddisfa-zione, tra forme di desiderio e possibilità di attivarne la ricerca di compimento. L’accoglimento in chiave essenzialmente pedagogica del principio di piacere, diventa in qualche modo il segnale indicatore primario di una rivoluzione innovativa nel modo di “guardare” al mondo dell’infanzia, portatrice in quanto tale di una “sua” modalità specifica di ricercare occasioni e fonti di soddisfazione che – in maniera particolarmente paradigmatica – si propon-gono attraverso quelle dinamiche più libere e “naturali” che si danno, spe-cialmente, nello sfogo della curiosità e dell’interesse, nell’attivazione dell’immaginazione e nella passione per le pratiche di scoperta, nel desiderio di emulazione e di imitazione, nella gratificazione proveniente dall’attesta-zione di segnali di fiducia e di credito a suo favore e, ancora più in assoluto, nel godere di un ambiente carico di affetto e riscaldato dal calore dalle emo-zioni che sostengono le relaemo-zioni di cura, sia dentro che fuori l’ambiente familiare.

La “natura” dell’infanzia, ritratta nei suoi caratteri tipici e condotta per mano dalla scienza pedagogica, trovava così agio d’imboccare una strada si-cura per proporsi nei suoi contorni tipici e per attestarsi a pieno titolo come un riferimento ormai sostanziale in seno alla coscienza matura della mo-dernità, consapevole del bisogno di “curare” con le dovute attenzioni la cre-scita delle nuove generazioni. Dal riconoscimento di tale statuto tipico dell’infanzia doveva prendere le mosse la delineazione di un sistema edu-cativo innovativo e moderno che, in contrapposizione ad uno “vecchio” ed ormai insostenibile, non voleva più reprimerne le manifestazioni, ma piut-tosto comprenderle, accettarle e permetterne il libero movimento, fino al raggiungimento delle loro intrinseche mete.

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 114-117)