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Il principio del superiore interesse dei minori

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 65-70)

Maria Tomarchio

2. Il principio del superiore interesse dei minori

Nella loro multiforme variabilità, possono essere profondamente diverse le condizioni in cui i minori si collocano con i propri diritti nell’universo della contemporaneità; condizioni contrassegnate, peraltro, da un alto li-vello di vulnerabilità, i cui rischi, la nostra ultratecnologica ed avanzata ci-viltà non è capace, o non appare particolarmente interessata, a contrastare. Infanzie e adolescenze, soggetti al plurale, viaggiano spesso attraversando confini territoriali, al di qua e al di là dei quali presidiano attese e aspetta-tive di futuro per un’umanità che, tuttavia, sperimentano tristemente pe-rimetrata e separata da muri. Sede di processi generativi di ideazione, di cambiamenti possibili e di progettualità, Essi simboleggiano e incarnano con le proprie storie di vita il contrassegno di un monogramma

spazio-temporale che è già “ponte” (Ongini, 2019). Un ponte che è metafora di reali e concrete possibilità di transito per i tanti valichi che oggi appaiono pressoché insormontabili1.

Tenuto conto dell’ampiezza e della mutevolezza del panorama schema-ticamente in breve richiamato, ritengo che tra le prime prerogative di una ricerca pedagogica che voglia autenticamente costituirsi garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza non possa mancare la forza della consapevo-lezza dei propri limiti; è questa che orienta convenientemente ogni produt-tiva ricerca nel tentativo di potenziare gli strumenti del pensiero dialogico e del decentramento2. Ai rischi e alla fatica che comporta attraversare tanto mare aperto, la ricerca pedagogica risponde affidandosi ad un rinnovato protagonismo critico, evitando fughe strategiche in edulcorati sentimenta-lismi, anche quando le più immediate aspettative non possano configurarsi se non in termini di risposta ad un bisogno di più matura coscienza. All’uo-mo che si sa nello squilibrio resta il dovere; di rimanere in bilico, in questo caso tra razionalità, contingenza, storia ed urgenza di utopia.

Iniziamo, dunque, col sottolineare che l’articolo 3 par.1 della Conven-tion on the rights of the child del 1989 e il successivo art. 24, par. 2 della

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 20003, nell’operare

1 La poesia Elogio dell’infanzia di Peter Handke (1987) riassume efficacemente in un’immagine poetica l’idea di un mondo dell’infanzia custode di umanità: “Quando il bambino era bambino, camminava con le braccia ciondoloni, voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente e questa pozzanghera il mare. Quando il bambi-no era bambibambi-no, bambi-non sapeva di essere un bambibambi-no, per lui tutto aveva un’anima e tut-te le anime erano un tutt’uno. […] Quando il bambino era bambino, lanciava contro l’albero un bastone come fosse una lancia, che ancora continua a vibrare”.

2 In un bel saggio dal titolo Dalla dissennatezza alla ragione Antonio Erbetta (1980, pp. 369-396) richiama un’efficace metafora herderiana: “L’aura del cielo è così riconfor-tante che sarebbe bello librarsi a lungo sulle cime degli alberi: ma scendiamo nel triste suolo, per vedere in qualche modo la parte e il tutto” (Herder, tr. it. Torino, 1951, p. 89), allo scopo di rappresentare efficacemente proprio il dominio della responsabilità morale sul terreno di una cultura umilmente ricondotta nelle mani dell’uomo e così attraversata dalla coscienza del limite, premessa per la quale l’uomo stesso può ripro-porsi l’infinita possibilità realizzativa delle sue virtualità intellettive, e ove ogni limite, e con esso l’umiltà, stanno per matura e cosciente sensibilità storica.

3 Approvata dal Consiglio, dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea, è Proclamata a Nizza il 7 dic. 2000, per diventare vincolante al pari dei Trattati istitutivi nel 2007, con il trattato di Lisbona.

esplicito richiamo al superiore interesse dei minori, rimandano ad un assun-to di principio che gli studiosi di diritassun-to costituzionale, ancor più per co-me si presenta oggi secondo il cosiddetto italian style, definiscono “ancipi-te” (Lamarque, 2016). Vale a dire che da una parte esige rigidità nella tu-tela dei diritti fondamentali dei minori di età, considerati astrattamente nel loro insieme, ma dall’altra parte, contemporaneamente, esige flessibi-lità, in quanto obbliga a garantire la possibilità di scegliere di volta in volta quella che, già nel 1981, una sentenza costituzionale definiva in Italia “La soluzione più idonea per lo sviluppo educativo del minore”4. Indubbi ele-menti di irresolutezza accompagnano, è evidente, il riconoscimento e l’ap-plicazione del principio, a partire dall’interrogativo di fondo se l’espressio-ne sia da riferire ad un “puntuale” presente o al futuro. La prospettiva tem-porale è dirimente in educazione: sotto molti profili è possibile affermare che, in termini di processi formativi, il futuro è, in parte e in qualche mo-do, già nel presente, così come anche il passato.

Ne è consapevole Janusz Korczak (pseudonimo di Henryk Goldszmit), autore negli anni Venti di una Magna Charta Libertatis (Korczac, 1920) dei diritti del bambino e, a distanza di pochi anni, di un testo che ispirerà ampiamente la Dichiarazione del 1959: Il diritto del bambino al rispetto (Korczak, 1929). Giornalista, pediatra, pedagogo, Korczak, ebreo polacco, muore nel campo di sterminio di Treblinka assieme ai 203 bambini del-l’orfanotrofio del ghetto di Varsavia e ai suoi assistenti della Casa degli Or-fani per bambini ebrei, da lui fondata e diretta per 30 anni. E non erano ben vestiti, né portavano stendardi come nel film Dottor Korczac (1990) di Wajda. In poche dirette battute che oggi giungono a noi quasi profetiche, egli consegna un richiamo forte al mondo adulto perché assuma consape-volezza delle responsabilità che gli competono sul terreno del rispetto dei diritti dei minori:

4 Corte Cost., sent. n.11/1981. Si consideri che la data della sentenza è antecedente alla Convenzione ONU, a conferma che la Costituzione Italiana esprime da sempre una particolare attenzione verso le necessità dei minori. Studiosi di Diritto sostengono che si possa parlare di una nozione autoctona italiana del principio stesso, già interprete della necessaria sintesi di un punto di equilibrio tra due opposte esigenze richiamate (rigidità delle regole e discrezionalità di chi si trova a giudicare) che devono essere bi-lanciate.

Chi diventerà, cosa farà nella vita? Vogliamo che i nostri bambini siano meglio di quello che siamo noi. I nostri sogni sono popolati dal futuro uomo perfetto. Cosa aspettiamo a coglierci in flagrante mentre stiamo mentendo e a mettere alla gogna il nostro egoismo che continuiamo a dissimulare con un luogo comune? La nostra de-dizione nei loro confronti non è che una volgare truffa. Ci siamo messi d’accordo con noi stessi, ci siamo perdonati gli errori, dispen-sandoci dall’obbligo di diventare migliori. (Korczak, 2004, p. 63).

Il legame che pone in relazione il pensiero di Korczac con la Conven-tion on the rights of the child (CRC) del 1989 è particolarmente significa-tivo: non a caso la Polonia giocherà un ruolo di primo piano in tutte le iniziative e nell’itinerario percorso per approdare alla stesura definitiva del testo; non a caso è Adam Lopatka, giurista polacco, appassionato so-stenitore delle idee di Korczak, a coordinare il lavoro del gruppo che per più di dieci anni curerà in dettaglio l’elaborazione dell’articolato docu-mento.

L’influenza del pensiero e della cultura dell’Europa continentale nella CRC è palese: immediatamente riconducibile ad una considerazione della dignità e dei diritti umani che è tale indipendentemente dalla capacità/pos-sibilità di compiere scelte in completa autonomia; diversamente da quanto accade nella tradizione giuridica anglo-americana che, come avremo modo di considerare, esalta e sottolinea i tratti dell’indipendenza e dell’autonomia individuale del rights-bearer (Lamarque, 2016).

Da una incursione per brevi cenni nell’albero genealogico della Con-vention on the rights of the child adottata dall’Assemblea Generale delle Na-zioni, alla firma degli Stati il 20 novembre 1989, emerge con chiarezza che essa ha comunque dei progenitori anche nella tradizione inglese e ameri-cana. Di rilievo in tale contesto la figura di Eglantyne Jebb, dama della Croce Rossa e fondatrice nel 1919 dell’Associazione Save the Children Fund, nata per far fronte alle condizioni di estrema indigenza in cui versa-vano i bambini di molti paesi europei alla fine della Prima guerra mondia-le. Con Save the Children International Union, Jebb si è fatta promotrice nel 1924 di una Dichiarazione dei diritti del fanciullo adottata dalla Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni a Ginevra. Il testo, voluta-mente conciso e articolato in cinque principi, propone una visione com-plessiva dell’infanzia dettata da un’idea di protezione, enumera infatti i

do-veri degli adulti verso i minori, in linea con l’atteggiamento filantropico del tempo. L’assunto iniziale è esplicativo in tal senso: “Secondo la presen-te Dichiarazione dei diritti del fanciullo, comunemenpresen-te nota come la Di-chiarazione di Ginevra, uomini e donne di tutte le nazioni, riconoscendo che l’umanità deve offrire al fanciullo quanto di meglio possiede, dichia-rano ed accettano come loro dovere, oltre e al di là di ogni considerazione di razza, nazionalità e credo [...]”.

Stesso principio di protezione e tutela dei bambini viene riaffermato nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo approvata a Parigi dal-l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, documen-to di particolare rilievo perché segna la data di nascita dell’era dell’interna-zionalizzazione dei diritti umani, e dunque l’affermazione dei diritti della persona a livello universale come dato ontologico e giuridico, non più per concessione umanitaria. Ad essa seguirà un documento specifico per l’in-fanzia approvato a New York il 20 novembre del 1959: una Dichiarazione sui diritti del fanciullo, che consta di 10 principi, particolarmente signifi-cativa perché sancisce e sottolinea l’importanza di salvaguardare la specifi-cità dei diritti dell’infanzia entro il più vasto orizzonte dei diritti umani. Sebbene l’impianto rimanga ancora basato sul dovere di assistenza, il do-cumento contiene, al Principio settimo, esplicito rimando al superiore in-teresse del fanciullo quale criterio che deve guidare nel concreto ogni de-cisione che lo riguardi: “Il superiore interesse del fanciullo deve essere la guida di coloro che hanno la responsabilità della sua educazione e del suo orientamento”.

Nel contesto delle più significative tappe che hanno condotto nel 1989 alla Convention on the rights of the child non può mancare un richiamo al-l’articolato e acceso dibattito intorno ai children’s right che si sviluppa negli Anni Settanta in USA, avente in oggetto, per quanto di interesse in questa sede, la questione se siano configurabili o meno diritti dei minori in con-comitanza con la tutela e la protezione degli stessi. Il dibattito che carat-terizza l’epoca della civil rights revolution vede i diritti dei bambini e degli adolescenti configurarsi come appartenenti ad una last minority, sostenuta come gruppo sociale debole e oppresso, al pari di neri, donne, omosessua-li, dagli attivisti di un movimento politico di liberazione. Una tale pro-spettiva si sviluppa all’interno di uno scenario culturale in cui sono esaltati i tratti dell’indipendenza e dell’autonomia individuale del rights-bearer (portatore di diritti), anzi è proprio connaturata alla nozione stessa di

rights-bearer, propria della tradizione giuridica anglo-americana, la visione secondo cui la persona che manca della capacità di provvedere a se stessa, anche a causa della sua età infantile come nel nostro caso, è dubbio che possa rientrare tra coloro che l’ordinamento considera titolari di diritto in senso pieno. Una persona che necessita di norme di speciale protezione, in sostanza, non può essere allo stesso tempo titolare di diritti, specialmente se intesi come istanze di self-determination per disparati aspetti dell’esisten-za. Prende così forma, progressivamente, una chiave interpretativa all’in-terno della quale i minori vanno a configurarsi quale gruppo escluso da ogni possibile riconoscimento di diritti.

Sul fronte opposto, in aperta polemica con l’orientamento dei children’s right, ritroviamo gli irriducibili sostenitori di una linea di continuità con il paternalismo liberale del 1924; costoro tremano al pensiero di abbando-nare i minori ai loro diritti, affermando di temere che le loro scelte possa-no ritorcersi a loro danpossa-no, in sostanza reputapossa-no che i mipossa-nori debbapossa-no es-sere protetti da sé stessi. Ai children dunque non devono eses-sere riconosciu-ti rights, bensì protecriconosciu-tion e l’espressione best interests of the child, tanto dall’una, quanto dall’altra parte, non può essere pienamente condivisa, ora perché inequivocabilmente posta a simboleggiare oppressione (protection), ora perché, nell’ottica di un irriducibile paternalismo, non possiamo “ab-bandonarli” ai loro diritti. Pur nella loro irriducibile distanza le due pro-spettive sembrano concordare su un punto: i children non possono essere allo stesso tempo portatori di diritti e soggetti a protezione: Aut rights (self-determination e self-government), aut protection.

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 65-70)