• Non ci sono risultati.

LA LEGGE N 124 DEL 2007 SOTTO LE LENTI DELLA COSTITUZIONE E DELLA DINAMICA POLITICO ISTITUZIONALE

8. Il dovere di tacere dell’imputato: capitolo chiuso?

Nella terza parte del presente studio verrà esaminata in modo approfondito una delle ultime decisive sentenze in tema segreto di Stato della Corte costituzionale, vale a dire la n. 40/2012, con la quale il Giudice dei conflitti ha determinato una nuova evoluzione dell’istituto in discussione407. Del resto, come più volte sottolineato, la giurisprudenza costituzionale ha

svolto in materia un’opera di costante specificazione del dettato legislativo sin dalla più risalente l. n. 801 del 1977.

Nell’ambito delle problematiche costituzionali relative alla l. 3 Agosto 2007, n. 124, è opportuno, tuttavia, sottolineare sin da ora un aspetto della sentenza succitata, vale a dire il fatto di aver chiarito una delle questioni più enigmatiche presenti nella riforma del sistema della sicurezza nazionale, oscuro soprattutto a seguito alla sentenza n. 106/2009408, ovvero l’effettiva

presenza in capo all’imputato e/o indagato del dovere di non rivelare notizie coperte da segreto quand’anche la comunicazione delle stesse fosse condizione necessaria per la prova della non colpevolezza o, comunque, della non imputabilità del fatto di reato409.

Secondo l’originario orientamento della Corte, infatti, il diritto di difesa non avrebbe potuto incontrare limiti ulteriori alla sua esplicazione oltre a quelli della calunnia e dell’autocalunnia. In altre parole “non essendo previsto per l’imputato il divieto di rispondere a domande su fatti coperti da segreto di Stato era consentito allo stesso, se ne avesse avuto necessità per difendersi dall’accusa di avere commesso un reato, perché scriminato dall’art. 51 c.p. [...], di violare il segreto di Stato entro i limiti strettamente imposti dall’interesse difensivo, ferma restando l’inutilizzabilità ad altri fini [...], dei documenti coperti dal segreto di cui fosse stato disvelato il contenuto’’410. La rivelazione del segreto, dunque, era scriminata ex art. 51 c.p.

(esercizio di un diritto), norma sottoposta, del resto, alla “copertura dell'art. 24 della Costituzione”411: l’equilibrio “labile e delicato, tra tenuta del segreto e pieno esercizio della

giurisdizione”412 era individuato nella preminenza del diritto difesa, purché applicato con rigore

ed in modo non generico. In sintesi, quindi, il confronto “fra esigenze istruttorie e tutela del

407 Si è interrogato sul tema anche T. F. Giupponi. Cfr. T. F. Giupponi, “A ciascuno il suo”. L’attività dei servizi di informazione e la disciplina del segreto di

Stato di nuovo davanti alla Corte, in Quaderni costituzionali, 2012, 2, pag. 404.

408 Gran parte della dottrina riteneva impossibile che la Corte avesse potuto liquidare in poche battute, nella sentenza sul caso Abu Omar, un tema così dibattuto e risalente quale l’impossibilità di imporre all’imputato di tacere per l’esistenza di un segreto di Stato. Cfr., tra gli altri, G. Salvi, La Corte

costituzionale e il segreto di Stato, in Cassazione penale, 2009, 10, pag. 3750.

409 Cfr. Garbellini N., Lo ius tacendi dell’imputato: da diritto a dovere, in Studium Iuris, Cedam, 1-2013, pag. 17.

410 CFr. Trib. Milano, Sez GUP, ordinanza 6 Febbraio 2007, Giudice Interlandi, Imp. P.

411 Cfr A. Masaracchia, Diritto alla prova dell’imputato e segreto di Stato: corsi e ricorsi storici di una questione definitivamente chiarita, Giurisdizioni

ordinarie e speciali europee ed italiane – Decisioni di rilievo costituzionale – G.I.P. del Tribunale di Milano, ord. 6. Febbraio 2007, Giudice C. Interlandi, Imp. Pollari, in Giurisprudenza Costituzionale, n. 3, 2007, pag. 2347.

segreto di Stato, alla luce della Costituzione vigente fondata sulla inviolabilità dei diritti individuali” era “risolto a favore di un diritto alla prova effettivo” in grado di impedire che “i costi del bilanciamento tra gli interessi della giurisdizione e quelli dell'Esecutivo”413 fossero

trasferiti sull’imputato.

Orbene, come più volte sottolineato, il legislatore del 2007 in relazione a tale aspetto effettuava, nell’art. 41 della l. n. 124 del 2007, una scelta apparentemente diversa, estendendo l’obbligo del silenzio anche all’imputato e/o indagato in sede processuale: ciò almeno apparentemente poiché né la dottrina né la stessa Corte nell’ambito della nota sentenza sul caso Abu Omar giungevano ad affermare esplicitamente l’avvenuto mutamento di un orientamento consolidato.

Solo con la sentenza n. 40/2012, la ricercata chiarezza veniva finalmente raggiunta: secondo la Corte, infatti, la norma suindicata riferendosi indistintamente “ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati e agli incaricati di pubblico servizio” nell’ambito di un processo penale, ha incluso anche l’imputato e l’indagato “tra i titolari del potere – dovere di opporre il segreto di Stato”414. Con la riforma del 2007 quindi, il legislatore, lungi dall’adottare soluzioni neutre o

parziali415, ha innovato l’originario divieto di divulgazione previsto storicamente per i soli

testimoni (e, tuttora, esistente nell’art. 202 c.p.p., rivisto ma confermato con la l. n. 124 del 2007), estendendolo anche ai pubblici funzionari imputati o indagati in un procedimento penale416.

Il prezzo di questa scelta della Corte, per molti versi obbligata, pare emergere in tutta la sua chiarezza: il sacrifico del diritto di difesa ex art. 24 Cost. a vantaggio del monolitico interesse alla sicurezza dello Stato, interpretato sino alla sua massima estensione. Se, infatti, nemmeno il diritto di difendersi da accuse infondate e, dunque, la stessa libertà personale, possono costituire il prezzo della violazione di un segreto di Stato, è evidente come il principio personalistico ex art. 2 Cost. non rappresenti più il baricentro dello Stato costituzionale di diritto. In altre parole, la persona non costituisce più il metro di ogni forma di giustizia.

413 Cfr. Tribunale Milano, Sez. G.u.p, Ord. 6 Febbraio 2007, Giudice Interlandi – Imp. Pollari.

414 Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 40/2012.

415 Il Parlamento non ha voluto, diversamente da quanto sostenuto da alcuni, imporre lo ius tacendi ai periti, o consultenti tecnici, abilitati, per l’appunto, a “riferire”, secondo la terminologia impiegata dall’art. 41, comma 1, l. n. 124 del 2007. Allo stesso modo, il legislatore non ha voluto introdurre una norma generale (lo ius tacendi per i funzionari pubblici) ed una norma speciale (l’applicazione per il divieto per i soli testimoni). Cfr. A. Masaracchia, Può il mero

silenzio della l. n. 124/2007(e della Corte Costituzionale) far ripensare la questione del diritto alla prova dell’imputato sui fatti coperti da segreto di Stato?, in Giurisprudenza Costituzionale, 2010, 6, pag. 5234.

416 Secondo Pace, invece, la posizione della Corte è criticabile. E ciò in particolare per due motivi: innanzitutto l’utilizzo del verbo “riferire” nell’art. 41, comma 1, avrebbe dovuto potare la Consulta a ritenere che il divieto fosse imposto soltanto sui periti, sui consulenti tecnici e sulla polizia giudiziaria; in secondo luogo, il legislatore non si sarebbe espresso chiaramente in favore del superamento del precedente indirizzo. Cfr. A. Pace, Sull’asserita applicabilità

all’imputato dell’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato e sull’insussistenza dei “fatti eversivi” come autonoma fattispecie di reato, in Rivista Aic, n. 3/2012, 31 Luglio 2012.

Ciò premesso, esistono comunque meccanismi predisposti dal legislatore funzionali ad attenuare le conseguenze della scelta suesposta? E, soprattutto, davvero l’impossibilità per l’indagato e/o imputato di difendersi in presenza di un segreto di Stato costituisce un capitolo chiuso?

Rispetto al primo interrogativo, innanzitutto, secondo il Giudice delle leggi, il diritto del singolo di impiegare per la propria tutela processuale tutti i mezzi contemplati dall’ordinamento non è stato inciso nel suo nucleo essenziale avendo il legislatore previsto nel medesimo articolo 41 il c.d. “vaglio di essenzialità”, ovvero la possibilità per l’autorità giudiziaria, nei soli casi in cui il segreto sia opposto dall’imputato e/o dall’indagato (e, dunque, non nell’ipotesi ex art. 202 c.p.p., relativa al solo testimone), di valutare se chiedere la conferma del segreto stesso al Presidente del Consiglio, ad esito di un giudizio prognostico sull’essenzialità delle notizie coperte dal segreto ai fini della definizione del processo.

Detto filtro, il quale si aggiunge a quello successivo alla richiesta di conferma del segreto, previsto anche per il testimone ai fini dell’eventuale pronuncia della sentenza di non doversi procedere417, mira del resto anche a conseguire un risultato ulteriore: facendo leva sulla

divergenza essenziale e funzionale tra le posizioni del testimone e dell’imputato (o indagato), esso impedisce eventuali comportamenti elusivi del secondo interessato a chiudere anticipatamente il procedimento (e non obbligato a dire la verità), a differenza, viceversa, del primo.

Il legislatore, quindi, non ha voluto semplicemente ridurre al minimo l’incidenza negativa sul diritto di difesa prodotta dalla previsione di cui all’art. 41 ma ha, altresì, inteso escludere che l’opposizione del segreto costituisca una scorciatoia per uscire celermente da un procedimento penale.

In secondo luogo, la previsione de qua, così come interpretata dalla Corte, ha trasferito in capo al legislatore il compito di realizzare il bilanciamento tra tutela della sicurezza della Repubblica e diritto individuale di difesa, originariamente, invece, posto in capo allo stesso imputato e/o indagato: prima del 2007, infatti, era solo quest’ultimo a dover decidere se rivelare il segreto, e dunque mettere a rischio la salus rei publicae, o tacere, esponendosi però al rischio di una condanna ingiusta. Con il nuovo art. 41 della l. n. 124 del 2007, invece, è lo stesso Parlamento ad aver già deciso che la prevalenza debba essere assicurata al silenzio, e, quindi, alla salvezza dell’ordinamento, pur in conseguenza del vaglio di essenzialità e, purché, l’esito processuale nei confronti del giudicabile sia “scevro da connotati negativi” (ovvero si ricorra alla dichiarazione di non doversi procedere).

Rispetto alla seconda domanda, viceversa, occorre tenere presente che, nonostante la portata dell’innovazione, la copertura di cui all’art. 51 c.p. non appare esclusa, ma anzi si dovrà comunque tener presente che, rispetto in particolare agli imputati, in assenza di diversa

previsione normativa, “l’operatività di quel divieto (come pure, a maggior ragione, la operatività delle ordinarie norme penali in tema di rivelazione di segreti di Stato) dovrà necessariamente contemperarsi con l’esercizio del diritto di difesa, riconducibile all’ambito della causa di giustificazione” di cui alla previsione penale succitata418. Continua, dunque, ad esistere una

previsione in grado di mantenere aperto il capitolo della possibilità per l’imputato e/o indagato di difendersi in presenza di un segreto di Stato.

In conclusione, quanto affermato pare suggerire come il legislatore, in definitiva, abbia in tale frangente percorso l’unica strada possibile419, ovvero quella di restituire alla legge, e non

al singolo, la scelta delle priorità del sistema: le artificiose limitazioni poste a tutela del diritto di difesa saranno, tuttavia, realmente efficaci per proteggerne il contenuto essenziale? Solo la futura giurisprudenza della Corte potrà consentirci di rispondere a tale interrogativo.

Outline

Documenti correlati