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DELL’UOMO.

2. Lo statuto del segreto: la sentenza n 86/1977 della Corte costituzionale.

Tra le molteplici pronunce che hanno contribuito alla formazione progressiva di una disciplina sulla sicurezza nazionale e, in modo particolare, sul segreto di Stato, la più significativa non può che essere quella che ha costituito il presupposto di fondo del primo intervento legislativo in materia, vale a dire la sentenza n. 86/1977 della Corte costituzionale. Detto precedente, più volte richiamato nel presente studio, costituisce il completamento della prima innovativa ma limitata pronuncia sul punto del 1976 ed allo stesso tempo il più risalente statuto del segreto, inteso come l’insieme delle regole basilari che ne disciplinano la nozione, le modalità di applicazione e gli interessi fondamentali.

Il presupposto del sindacato della Corte nel caso de quo era stata l’opposizione del segreto, allora ancora “politico - militare”, da parte di talune autorità militari e del Presidente del Consiglio dei Ministri rispetto al carteggio dell’imputato Sogno Rata del Vallino Edgardo, contenente riferimenti ad attività di controspionaggio dallo stesso svolte ed a relazioni con i servizi di sicurezza italiani432.

Non si trattava, tuttavia, di un conflitto di attribuzioni433, ma di una questione di

legittimità costituzionale sollevata dal giudice istruttore presso il Tribunale di Torino. Per la precisione, secondo il giudice remittente, in tale controversia si poneva un problema di contrasto degli articoli 342 e 352 c.p.p.434 con gli articoli 101, 102, e 112 della Costituzione, in quanto i

primi escludevano qualsiasi sindacato giurisdizionale in tema di verifica dei presupposti del segreto.

La Corte costituzionale, nell’affrontare la questione sottopostale, coglieva l’occasione, tuttavia, per approfondire il complessivo istituto del segreto.

A tal proposito, tre erano le aree tematiche sondate dalla Corte: il fondamento costituzionale del segreto, i poteri del Presidente del Consiglio, il rapporto tra interesse alla giustizia e interesse alla sicurezza.

Rispetto alla prima problematica, secondo la Corte non solamente l’articolo 52, ma anche gli articoli 126 e 87 Cost., dovevano offrire copertura e garanzia costituzionale al segreto, così come i principi “dell’indipendenza nazionale, di unità e indivisibilità dello Stato (art. 5) e la norma che riassumeva i caratteri essenziali dello Stato stesso nella formula Repubblica democratica (art. 1)”. Più in generale, il segreto doveva trovare giustificazione negli interessi

432 Per completezza, si ricorda come il segreto venisse allegato anche sul carteggio dell’imputato Cavallo. Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 86/1977.

433 Tale istituto acquisterà, infatti, una funzione centrale nel sistema della sicurezza nazionale solo con la legge n. 124 del 2007.

434 A norma di detti articoli, l’autorità giudiziaria, ritenendo infondata l’allegazione del segreto politico militare, avrebbe dovuto fare rapporto al Procuratore generale presso la Corte d’Appello, il quale avrebbe dovuto informare il Ministro della giustizia; altro rapporto avrebbe dovuto essere poi fatto al Procuratore della Repubblica, il quale però non avrebbe potuto procedere per i delitti di falso ideologico e falsa testimonianza senza l’autorizzazione del Ministro stesso.

dello “Stato-comunità”, e non dello “Stato-soggetto”, di talché mai tale strumento avrebbe potuto essere impiegato per occultare ciò che più di ogni altro fatto ne avrebbe leso l’essenza, ovvero “i fatti eversivi dell’ordine costituzionale”.

In secondo luogo, a parere dei giudici, unicamente il Presidente del Consiglio, titolare della suprema attività politica attinente la difesa esterna ed interna dello Stato ex art. 95 Cost., risultava in grado, in definitiva, non solo di decidere le concrete modalità di tutela della salus rei

publicae ma altresì era legittimato ad impiegare per la relativa decisione “una discrezionalità

che superava l’ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente amministrativa”435. Logica

conseguenza di tale asserzione era che la situazione allora vigente, in cui il potere di decidere definitivamente sulla conferma o meno del segreto era affidata al Ministro di grazia e giustizia, non poteva essere procrastinata, e quindi ogni decisione doveva essere rimessa nelle mani del Presidente del Consiglio436.

Rispetto, infine, alla terza tematica, la Corte affermava come il bilanciamento citato non potesse che essere risolto dalla Costituzione attribuendo preminenza assoluta alla salus rei

publicae in quanto condizionante “l’esistenza stessa dello Stato, un aspetto del quale era la

giurisdizione”. Il sacrificio dei principi di autonomia della magistratura e di obbligatorietà dell’azione penale, tuttavia, non avrebbe potuto essere assoluto in quanto, il potere del Presidente del Consiglio doveva intendersi non solo limitato ma, altresì, rientrante nei contorni degli articoli 94 e 95 Cost., regolanti la responsabilità generale del Governo legittimamente invocabile, in ogni momento, dal Parlamento. In particolare, tornando ai limiti, il Presidente avrebbe dovuto “indicare le ragioni essenziali che stavano a fondamento (della conferma) del segreto”.

Pur riconducendo alla figura del Presidente del Consiglio l’esclusiva titolarità nell’utilizzo dello strumento del segreto, la Corte negava, dunque, che questo potere potesse tramutarsi in arbitrio: a tal proposito, essa intravvedeva nel sindacato politico del Parlamento, da svolgersi sulla motivazione dell’atto di conferma, l’unica forma di controllo in grado di prevenire ogni possibile abuso presidenziale437.

435 Parte della dottrina si interroga, a tal proposito, su un presunto revirement successivo della Corte costituzionale. Nella celebre sentenza n. 262/2009 (avente ad oggetto le norme relative alla sospensione dei processi penali nei confronti delle più alte cariche dello Stato) essa, infatti, arriverà a definire il Presidente del Consiglio un primus inter pares rispetto ai Ministri. La risposta all’interrogativo poggia probabilmente sulla diversità delle tematiche sulle quali il Giudice delle leggi è stato chiamato a pronunciarsi, ovvero il segreto nel 1977 e l’attitudine ad essere sottoposti ad un procedimento penale (anche per reati commessi prima dell’assunzione della carica) nel 2009. Cfr. G. Arconzo, I. Pellizzone, Il segreto di stato nella giurisprudenza della corte costituzionale e della

corte europea dei diritti dell’uomo, cit.

436 Rispetto ai contenuti del potere presidenziale giova ricordare come il dibattito, più volte evidenziato, sulla natura politica o amministrativa dell’atto di conferma evocato da tale statuizione della Corte non si sia ancora esaurito.

437 Come già evidenziato, un controllo che chiami in causa la mera responsabilità politica del capo del Governo non risulta sufficiente per garantire che la discrezionalità presidenziale non si volga al perseguimento di interessi privati: in quel momento, tuttavia, la Corte, pur in grado di decidere autorevolmente non era ancora consapevole (come del resto non è nemmeno ora) di come non vi fosse alternativa al suo sindacato per il perseguimento di quegli interessi dello “Stato-comunità” alla cui tutela era diretto il segreto.

Ciò premesso, ad esito del proprio giudizio, la Corte dichiarava l’illegittimità costituzionale degli articoli impugnati “nella parte in cui prevedevano che il Procuratore generale presso al Corte d’appello informasse il Ministro per la grazia e la giustizia e non il Presidente del Consiglio dei Ministri e nella parte in cui non prevedevano che il Presidente del Consiglio dei Ministri dovesse fornire, entro un termine ragionevole, una risposta fondata sulle ragioni essenziali dell’eventuale conferma del segreto”.

In conclusione, i contenuti della sentenza n. 86/1977 rappresentano ancor oggi non solo un bagaglio imprescindibile per costruire o alimentare un sistema di norme diretto a tutelare la sicurezza nazionale ma anche un solido riferimento per una Corte costituzionale che, abbandonate le vesti di arbitro, voglia indossare finalmente quelle di giudice del segreto.

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