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CAPITOLO PRIMO Internet e le nuove tecnologie

1.4 Il settore culturale fra ICT e Virtual Heritage

Nel settore culturale, innovazione e tecnologia rappresentano un binomio divenuto inscindi- bile, su cui da tempo si scommette: le nuove tecnologie hanno profondamente trasformato i sistemi tradizionali di tutela, gestione, valorizzazione dei beni culturali e mutato le modalità di diffusione

143“Ci troviamo di fronte all’avvento dell’information on demand, dove gli individui possono emanciparsi sia dai

vincoli delle istituzioni (editori, enti di formazione, mass-media) sia dai luoghi fisici della fruizione o del commercio di contenuti culturali” (Monaci 2003, p. 4; anche in Ricciardi 2008, pp. 125-126).

144Monaci 2003, p. 4. 145Ciolfi et alii 2008, p. 354. 146Bonacini 2011b, p. 27. 147www.repubblica.it/tecnologia/2011/10/18/news/nokia_google-23080197/. 148http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/12_agosto_25/processo-apple-samsumg-verdetto_d44e51be-ee41- 11e1-9207-e71b224daf2a.shtml. 149Ricciardi 2008, p. 126. 150http://www.repubblica.it/tecnologia/2012/09/04/news/nokia_microsoft_windows-41918220/?ref=HRERO-1.

della cultura151. L’adozione delle ICT ha consentito che si realizzasse un definitivo svecchiamento delle istituzioni culturali e dei musei soprattutto152, passando da una preconcetta concezione vit- toriana (ancora piuttosto resistente)153 ad un vero e proprio mass-media154, moderno strumento di comunicazione culturale e sociale in grado di adeguarsi alla profonda trasfigurazione dei luoghi in spazi155.

Da quando nelle sale dei musei si sono collocate le prime postazioni hands-on, le tecnologie sono radicalmente mutate e progredite senza mostrarsi mai definitive; la loro applicazione nel setto- re della comunicazione, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale, di conseguenza, appare come un continuo work in progress.

Inoltre, si sta ulteriormente evolvendo anche l’attenzione all’utenza e, con essa, il concetto di interazione. È fondamentale, infatti, non limitare esclusivamente l’interazione attraverso le nuove tecnologie a un’interazione singolo utente/oggetto o singolo utente/tecnologia; compito delle isti- tuzioni culturali è anche quello di favorire processi di interazione sociale fra utenti all’interno della interazione con l’istituzione, abbandonando il mito dell’utente/visitatore individuale156.

L’impatto delle ICT e della digitalizzazione su ognuno degli step del settore culturale, dal contenuto ai canali distributivi (creazione, produzione e distribuzione/consumo di prodotti culturali, se- condo la mappa evidenziata in Figura 7157) e la moltiplicazione dei device tecnologici hanno mutato

151Fahy 2000, p. 83.

152In generale, per una storia del museo v. Bonacini 2011a, pp. 59-73.

153“[…] the adoption of ICT has accelerated the trends begun with the new museography that, since the last third of

the 20th century, has looked to transform the Victorian conception of the museum as a temple to knowledge, broadcaster of a standardised and static discourse based on objects, converting it into a node to transmit a range of information and circulate ideas” (Pujol 2004, p. 1). “La paura principale degli addetti ai lavori sembra essere quella dell’allontanamento del pubblico dai musei con l’idea, ad esempio, che messa la riproduzione di un dipinto on-line su un sito web, il fruitore non abbia più la necessità di entrare fisicamente in contatto con l’originale, come se la riproduzione potesse sostituire il coinvolgimento emotivo, quell’esperienza unica che è data dall’entrare in contatto con un’opera d’arte. Si tratta ovviamente di una paura infondata, che trascura pregiudizialmente l’elemento emozionale ed umano, nonché l’intelligenza e la sensi- bilità degli spettatori, mentre trascura l’utilità pratica, ai fini di studio e ricerca a vari livelli di approfondimento, dell’avere a portata di mano un catalogo visivo potenzialmente illimitato” (Mandarano 2011, p. 214).

154Anche il museo è considerato, dunque, un mass-media per il suo ruolo comunicativo e sociale e, come medium, si

presenta complesso e strutturato perché coinvolge a sua volta altri elementi che mediano messaggi: dall’architettura all’al- lestimento, dai filmati alle simulazioni e alle postazioni virtuali (Merzagora - Rodari 2007, pp. 72-73; Ricciardi 2008, p. IX). Il museo è un sistema di comunicazione, nel quale interagiscono e si articolano fra loro contemporaneamente gli ogget- ti esposti, i progetti espositivi, gli strumenti editoriali ed anche il complesso architettonico in cui l’esposizione è collocata; gli oggetti comunicano un messaggio differente a seconda le finalità che il museo intende perseguire (Franch 2002, p. 7). La sua azione di diffusione culturale è attuata attraverso l’esposizione della collezione (la collezione è la core activity di un museo: Ciappei - Surchi 2010, p. 138 e p. 148) e l’interpretazione che di essa viene elaborata tramite l’allestimento (in cui il potere evocativo di un oggetto scelto è inteso come un “[…] medium di un sapere, di una cultura e della sua trasmissione”: Marani - Pavoni 2006, p. 25) ed i servizi di divulgazione ad esso connessi (Candela - Scorcu 2004, pp. 152-153; Dainelli 2007, p. 114). L’interpretazione degli allestimenti da parte dei visitatori è ulteriormente filtrata dalla percezione soggettiva, dal vissuto di ogni singolo visitatore, dai sui valori e dai suoi modelli, “[…] culturalmente appresi e acquisiti attraverso l’appartenenza a raggruppamenti plurimi” (Karp 1995, p. 11). Le nuove tecnologie hanno consentito di far sviluppare “[…] modelli comunicativi sempre più sofisticati, concentrando nelle ‘3 M’ (museo, medium, mass media) una più ampia idea di tempo e di spazio”(Pascucci 2007, p. 14).

155“Places become spaces. Similar lessons can apply to traditional cultural institutions such as museums and galler-

ies, libraries and archives, and their collections” (Mercer 2011b, p. 6).

156“The term ‘interactivity’ suggests active participation, human action creatively articulated not only with regard

to an object, artefact or system but in response to an active, potentially intelligent and intentional agent. Unfortunately ‘interactivity’ is conflated with human social interaction. However, ‘interactives’ are rarely designed to support or enhance social interaction; rather, in most cases they are principally concerned to provide individual users with the ability to oper- ate or manipulate a system or object. […] The ‘myth of the individual user’ […] continues to pervade the design and de- velopment of ‘interactives’ in museums and galleries - a general reflection perhaps not only of the provenance of the term, but more worryingly, of the prevailing curatorial and educational concept of the visitor. […] The lone visitor wandering through galleries and achieving a pure aesthetic or scientific encounter with objects is largely a myth, despite the wishes of certain curators in more contemporary spaces” (Heath - von Lehn 2009, p. 280, p. 281 e p. 283).

157“The map of the technological system […] with the technologies that affect each phase of the communication

process […]. Some of them are present in more than one or in all phases, because some devices have developed applica- tions that serve both for production and distribution and reception of the news content. The influence of new technologies in the production, distribution and reception must be appraised on the basis of two of its most notable consequences: the

radicalmente le modalità di accesso, consumo e possesso di un bene da parte dei consumatori. At- traverso la digitalizzazione, i prodotti culturali sono diventati riproducibili e diffusi a costi risibili, attraverso una serie di canali diversificati158.

(Figura 7: da Cabrera González et alii 2011, p. 54, fig. 2)

Le nuove tecnologie utilizzabili dall’organizzazione museale sono state distinte a seconda della loro funzione. Escludendo quelle orientate all’interno dell’organizzazione (per la gestione, l’amministrazione, la sicurezza, la videosorveglianza etc.), le tecnologie orientate all’esterno di essa (rivolte cioè alla comunicazione, alla valorizzazione e alla fruizione dell’offerta culturale, siano esse sincrone o asincrone, in modalità remora o in presenza159) sono considerate un intermediario nella

relazione tra utenti e collezioni museali160 e, come già detto161, sono state distinte in tre tipologie (a

base visiva, interattive, connesse)162.

Una prima applicazione delle ICT si è avuta nella conservazione e gestione degli archivi, per una maggiore efficienza, qualità e rapidità dei servizi offerti163; ai consistenti miglioramenti nella indicizzazione e nell’organizzazione strutturale delle banche dati - ben presto applicata anche dalle biblioteche e dai musei - dobbiamo il merito ch’esse siano diventate sempre più facilmente consulta-

convergence and multiplatform distribution” (Cabrera González et alii 2011, p. 43).

158Il loro vantaggio principale “[…] consiste nel moltiplicare e nel diversificare i canali, tramite i quali le opere

culturali giungono al pubblico”(Kea 2006, p. 145). “Digitalisation allows cultural institutions to provide more flexible approaches to arts and cultural heritage education within and beyond the institution’s physical boundaries” (Gruber - Glahn 2009, p. 9).

159Hawkey 2004; Bonacini 2011b, p. 121; Gruber - Glahn 2009, p. 4. 160Cataldo - Paraventi 2007, pp. 240-242; Aljas et alii 2009, pp. 59-60. 161Bonacini 2011b, pp. 67-68.

162Antinucci 1997, pp. 121-122. V. anche Panciroli 2010, p. 8.

163“One of the reasons why storage has become so central an issue is because the scope of digital cultural heritage has

continued to expand. In the 1970s, initial efforts were on remote access to references to cultural objects largely through library and museum catalogues. During the 1980s and 1990s, the quest expanded to include images of those contents, i.e. digital ver- sions of paintings, full texts of manuscripts and books, monuments, sites and in some cases even whole cities. Even so, the emphasis remained focused on tangible heritage. During the 1990s, the efforts of Unesco drew attention to the importance of intangible heritage in the form of oral traditions, language, music, dance, and customs” (Veltman 2005, p. 7).

bili anche on-line164, consentendo all’utente contemporaneo di creare delle gallerie personalizzate165

e, attraverso una sempre maggiore accessibilità ai dati, “[…] di abolire, almeno in parte, le barriere tra quanto si può vedere perché esposto e quanto è sottratto alla vista per ragioni di conservazio- ne o di spazio e che, come sappiamo, costituisce in ogni museo la parte decisamente maggiore in percentuale”166.

Nel corso del tempo, anche se in Italia purtroppo ancora lentamente, sta venendo meno, infatti, quell’atteggiamento protezionistico tipico del copyright su diritti ed uso delle immagini che caratte- rizzava pienamente il dibattito intorno alla metà degli anni ’90, nell’ottica di favorire indirettamente la diffusione e promozione del proprio museo attraverso la condivisione della collezione167.

Come anticipato, le prime innovazioni tecnologiche a trovare applicazione nel settore della comunicazione e della didattica museale sono state le postazioni interattive hands-on168, comparse intorno agli anni ’70 (in cui, ovviamente, l’interazione era di tipo meccanizzato), grazie alle quali il museo è stato messo nelle condizioni di interagire direttamente con l’utente, divenendo quello che è stato definito un metamedium169, ovvero un medium che riesce a unificare in sé e a comunicare conte- nuti di tipologie e formati differenti.

Solo verso la fine degli anni ’80 l’informazione museale ha iniziato ad essere strutturata secon- do i criteri della ipertestualità e con simulazioni interattive170.

Internet e le nuove tecnologie hanno consentito una profonda interazione fra l’apprendimen- 164Maccanico 1997, p. 4; Feliciati 2010, pp. 90-91. Le operazioni di digitalizzazione degli archivi sono salutate

con favore: “La riproduzione digitale e la pubblicazione in rete di fonti documentarie penso siano strategiche, almeno nel medio e lungo periodo, per lo stesso futuro degli archivi; dovrebbero contribuire, se gestite con intelligenza, al con- tenimento delle perenni criticità logistiche e soprattutto dovrebbero produrre un ampliamento significativo dei pubblici. Quest’ultima considerazione è tanto più vera per gli archivi locali poiché gran parte di essi è collocata lontano dalle sedi universitarie, bacini tradizionali della ricerca di livello professionale, e manifesta croniche difficoltà di accesso per la stessa utenza casalinga a causa della generalizzata mancanza di figure professionali dedicate” (Grassi 2010, p. 113). Tuttavia, per adeguarsi ai criteri della comunicazione 2.0, gli archivi devono essere pensati a priori non per un’utenza competente che sappia già cosa e/o come cercare nei database dei cataloghi on-line, ma per il visitatore comune, cui sono certamente lontani i tecnicismi tipici degli esperti del settore, che si sentirebbe solo disorientato rispetto alla “[…] vastità (e spesso ete- rogeneità) che presenta un qualunque grande museo” (Antinucci 2008, p. 8), poiché “[…] la gran parte dei visitatori non dispone dell’abilitazione cognitiva necessaria alla comprensione degli oggetti che si trova di fronte nel museo”; il website museale potrebbe divenire quindi lo strumento abilitante per quest’ampio target di utenza (Antinucci 2008, p. 11).

165Per un inquadramento sui primi sistemi di archiviazione appositamente utilizzati per gestire musei, da ultimo

v. Bonacasa 2011, p. 21. Per quanto riguarda la personalizzazione di gallerie virtuali create dall’utente, il grado di libertà offerta all’utente è da considerarsi ovviamente limitato: “[…] the degree of freedom of such actions is debatable, because although visitors have the option to select from a database of hundreds or even thousands of objects, these objects come from a database created by a specific museum, or a group of museums, and thereby are already highly pre-selected by the

artworld and for the visitor/viewer. The virtual is only an extension of the decisions taken by the artworld and is influenced

by the same cultural, social, and political structures as its physical counterparts; on the basis of which any assumption of democracy in the virtual space is faulty” (Stylianou - Lambert - Stylianou 2010, p. 68).

166Passamani 1995, p. 49. In generale, specialmente per i musei più famosi, che sono dotati di collezioni numerica-

mente notevoli, il cosidetto tasso di esposizione (quella porzione di collezione museale effettivamente esposta nelle sale) si rivela piuttosto basso: si va dal 3% dell’Art Institute di Chicago al 7% dell’Hermitage, all’8% del Guggenheim Museum di New York, al 9% del Prado, al 10% sia per l’Alte Pinakothek di Monaco che per il British Museum; solo il Louvre ha un tasso di esposizione particolarmente alto, dal momento che solo il 40% delle sue collezioni giace nei magazzini (Candela - Scorcu 2004, p. 152).

167Sulle pratiche di ‘difesa’ del copyright delle immagini delle collezioni museali v. considerazioni in Caraceni

2011, pp. 40-41.

168Belaën 2003, p. 5; Cataldo - Paraventi 2007, p. 225.

169Per metamedium si deve intendere quel “[…] concetto che è stato utilizzato per indicare la capacità di sussumere

in sé diversi mezzi di comunicazione” (Bennato 2011, p. 30). Il ruolo di metamedium per eccellenza è quello del pc: “Il computer cambia ruolo sociale: da macchina di calcolo diviene apparecchio di fruizione di prodotti culturali. […] diventa ‘metamedium’, in cui vedere la televisione oppure un film o un quadro o leggere il giornale” (Colombo - Eugeni 2001, p. 23).

170Merzagora - Rodari 2007, pp. 85-86. Lo stesso “Internet, e in particolare World Wide Web, non sono semplice-

mente organizzati secondo la metafora dell’ipertesto: sono un ipertesto” (Calvo et alii 2003, p. 15). Il web a sua volta “[…] può essere definito come un ipertesto multimediale distribuito”, definizione che implica una distinzione tra i due termini di multimedialità ed ipertesto, spesso sovrapposti e confusi tra loro, per cui “[…] mentre il primo si riferisce agli strumenti della comunicazione, il secondo riguarda la sfera più complessa della organizzazione dell’informazione” (Calvo et alii 2003, p. 362).

to senso-motorio (caratteristico delle tecnologie interattive) e quello tradizionale simbolico-deduttivo

(caratteristico delle tecnologie a base visiva)171: le tecnologie interattive sono utilizzate, ad esem- pio, per il coinvolgimento dell’utente, attraverso soluzioni di trasmissione didattica che favoriscano l’apprendimento spiegando il visivo con il visivo172 (con la predominanza dell’aspetto visivo rispetto a quello esclusivamente testuale), anche se è necessario valutare gradi e modalità dell’interazione stessa e obiettivi da raggiungere:

“The term ‘interactive’ is misleading. It encompasses an extraordinary range of tools, technologies and techniques, objects and artefacts that are designed to create ‘interactivity’ in museums and galleries. It includes sophisticated information systems that prescribe complex forms of interaction between the user and the exhibit through to ‘low-tech’ artefacts designed to enhance visitors’ understanding of par- ticular objects. Different ‘interactives’ engender very different forms of interaction and provide highly variable opportunities for co-participation and collaboration”173.

L’evoluzione esponenziale della digitalizzazione culturale ha portato a una rivoluzione cul- turale vera e propria, tanto da individuare una vera e propria cultura digitale174 o, come dicevamo precedentemente, una e-Culture o software culture.

In questa rivoluzione culturale, in cui il computer si è velocemente trasformato da macchina da calcolo, dedicata alle attività di back office in cui archiviare meccanicamente i dati, in un supporto unico di comunicazione e interazione remote, L. Manovich ha distinto alcune specifiche azioni cultu-

rali (creazione, distribuzione, ricezione, condivisione)175, che sono mediate da adeguati software applica-

tivi o digital tools e che abbiamo così sinteticamente riadattato:

software che consentano di creare, condividere e rendere accessibili artefatti culturali di- •

gitali che contengano rappresentazioni, idee e valori estetici (ad esempio, quei software che consentano di pubblicare documenti e che, come tali, vanno definiti dei media softwa-

res, come Microsoft Word, Powerpoint, Photoshop, Illustrator, Firefox, Internet Explo-

rer, Blogger etc.);

software che consentano di vivere esperienze culturali di tipo interattivo (dai giochi per pc •

alle piattaforme tipo Second Life - di cui parleremo nel Paragrafo 1.5 -, grazie al quale si possono realizzare ricostruzioni tridimensionali da vivere in modalità virtuale176);

software che consentano di creare e condividere informazione e conoscenza (ad esempio, •

quei social software che possano permettere la partecipazione open access a Wikipedia o forme di tagging geo-sociale, come l’aggiunta di luoghi su Google Earth con Google My Maps - argomento che verrà approfondito nei Paragrafi 3.8 e 4.3 - sui geo-social net- work come Foursquare, Facebook places etc. - di cui parleremo nel Paragrafo 4.3 - che consentono nuove forme di lettura e comprensione dei luoghi177, ma anche sui blog di tipo

georeferenziato o geoblog178);

171Secondo l’approccio cognitivo percettivo-motorio si pongono interrogativi e si elaborano riflessioni a partire dall’espe-

rienza concreta dell’analisi degli oggetti, valutandone il colore, la forma, le dimensioni, il funzionamento, in modo da far sviluppare nel soggetto la creatività e da permettere la creazione di associazioni tra ciò che vede e ciò che fa. Secondo l’approccio cognitivo simbolico-deduttivo, tipico della didattica più tradizionale, si apprende in forma astratta ricostruendo le informazioni mediate dalla parola scritta (Cataldo - Paraventi 2007, pp. 197-198).

172Antinucci 1997, p. 282. 173Heath - vom Lehn 2009, p. 280. 174Alsina 2010, p. 1.

175Manovich 2011, p. 11. 176http://secondlife.com/. 177Granelli 2008, p. 32.

178Il geoblog viene in modo suggestivo definito come uno “[…] scrivere storie sulle geografie”: gli utenti registrati

al blog lasciano un commento o inseriscono un evento riferito ad un luogo; questi post vengono dislocati su una mappa e sono accessibili cliccandovi sopra. Il geoblog è anche un mezzo ampiamente sfruttato per soluzioni volte a migliorare sia il controllo e la pianificazione territoriale e ambientale che il processo di diffusione e condivisione dei dati tramite tecnologie Gis: sono utilizzati anche per Piani di Governo del Territorio e Piani Urbanistici (http://www.criteriablog.it/); adesso, è in fase di sperimentazione quello della regione Sardegna (http://www.sardegnageoportale.it/). Al riguardo v. Paragrafo 4.3.

software che consentano la comunicazione di tipo messaggistico, testuale, vocale e/o visiva •

(e-mail, instant messaging, post o poke sulle bacheche dei social network, chatting di tipo testuale, vocale o video etc.);

software che consentano di partecipare ad una sorta di informazione ecologica on-line

• 179,

forme di social bookmarking nelle quali l’espressione di un proprio apprezzamento al contenuto digitale possa renderlo più facilmente searchable sul web (ad esempio cliccan- do il bottone +1 su Google+ oppure Mi piace su Facebook);

software che consentano di sviluppare altri software che riescano a supportare tutte queste •

attività.

Possiamo concordare con A. Bastos, quindi, nel considerare come la tecnologia abbia creato

“[…] an umbrella of art forms that use emergent media, platforms and digital tools. Examples are 2D or 3D computer designs called digital imaging, digital photography, sculpture, digital installations and virtual realities, Net Art (meaning internet art, also called web-art), performance, sound art and electronic music, digital animation and video, software, databases, interactive systems, projections and game art”180.

In questa cultura basata sui software, una vastissima applicazione della tridimensionalità e della virtualità ha visto la restituzione o la ricostruzione digitale del patrimonio culturale in genere (dal paesaggio rurale a quello archeologico, dalle strutture architettoniche alla restituzione di ma- nufatti etc. che, con la ricomposizione contestualizzata attraverso la digitalizzazione, consentono di restituire al patrimonio una visione d’insieme prima impensabile181), tanto da far parlare, come già

accennato, di Virtual Heritage182.

La digitalizzazione ha fornito a tutte le istituzioni culturali, archivi, biblioteche e musei, l’op- portunità di proporsi, grazie ad Internet e alle nuove tecnologie, con un’offerta all’altezza della sem- pre maggiore e specifica domanda culturale183 e, nel caso dei musei, come un’alternativa interessante

o più interessante di altre184 in un mercato, quello della conoscenza, basato su criteri di qualità, quantità ed accessibilità185. Con l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione il museo può riuscire ad

ottenere una distribuzione globale della propria offerta museale, prima impensabile e fruibile solo in presenza186.

Le istituzioni museali, che ormai ragionano (o dovrebbero ragionare) come imprese culturali,

179“The exponential explosion of the number of people who are creating and sharing media content, the mind-

boggling numbers of photos and videos they upload, the ease with which these photos and videos move between people, devices, web sites, and blogs, the wider availability of faster networks - all these factors contribute to a whole new ‘media ecology’” (Manovich 2008, pp. 27-28).

180Bastos 2010, p. 2. 181Galluzzi 2008, p. XXIV.

182Sul significato v. Introduzione, nota n. 10.

183“Libraries and museums are developing some creative services to better address the needs and style of today’s

technology-savvy users and visitors. For example, museums may employ QR codes to allow visitors to find more infor- mation about art objects; libraries may use tag clouds as a mechanism by which a user can refine a search; catalogs may

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