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Il museo partecipativo sul web e le forme di partecipazione dell’utente alla produzione culturale e alla creazione di valore culturale

CAPITOLO PRIMO Internet e le nuove tecnologie

1.7 Il museo partecipativo sul web e le forme di partecipazione dell’utente alla produzione culturale e alla creazione di valore culturale

Trasfiguratosi profondamente, come dicevamo nell’Introduzione,

“[…] il museo prende voce, diventa narratore e trascende la propria dimensione fisica: il museo diventa virtuale, impalpabile, e ci raggiunge nelle nostre case su computer, cellulari e palmari […] nell’era del web collaborativo esso diventa creatura condivisa e si plasma su molteplici apporti, mitigando l’aura contemplativa di tempio della conoscenza tra i visitatori per i visitatori”292.

Per cercare di avvicinare il più possibile l’utenza remota al museo, come accennato in prece- denza, l’orientamento più recente nell’approccio ai visitatori è di “[…] lasciare il timone”293 aprendo-

si a un dialogo virtuoso294 basato su un’ampia accessibilità digitale295, consentendo loro una maggiore

dimensione relazionale e partecipativa e persino la possibilità di collaborare (quando non produrre direttamente) all’offerta museale tramite contenuti personali user-generated (UGC), favorendo pro- cessi co-creativi di valore culturale (value co-creation)296. Ovvero trasformare il museo, come dice N.

Simon, in un participatory museum nel quale, cioè, si attivino processi partecipativi che trasfigurino il museo in una piattaforma socio-culturale in grado di mettere in connessione fra loro i vari soggetti coinvolti: “[…] creators, distributors, consumers, critics and collaborators”297, trasformando il museo dalla fase Museo 1.0 a quella 2.0.

Oggi, infatti, “[…] people no longer simply view or consume cultural content; they make it, reuse it, and annotate it, adding meaning and creating new derivative media forms”298.

Questo tipo di attività costituisce il primo presupposto per la costruzione del senso di ap- partenenza a un gruppo sociale, per la creazione d’identità condivise e la possibilità di ampliare il proprio orizzonte comunicazionale non solo col museo ma anche con quegli altri utenti che alla stessa maniera partecipano alla co-produzione di valore museale299, favorendo forme di ‘socialità interattiva’300.

291I contenuti di questo paragrafo sono stati in parte pubblicati in Bonacini 2012c.

292Spallazzo - Spagnoli - Trocchianesi 2009, p. 8. Sulle possibili associazioni mentali riconducibili alle differenti

funzioni (sociale, ludica, relazionale, culturale) attribuibili al museo v. Solima 2012, pp. 77-78, tabella 19.

293“Bisogna partire da un presupposto imprescindibile per la promozione di un museo attraverso il network: lascia-

re il timone. L’istituzione museale deve varcare la soglia del controllo su tutto quello che può nascere dal confronto sul Web col pubblico, anche con gli strumenti propri del Web 2.0. Questo può sembrare molto difficile, soprattutto da parte di alcune direzioni di musei ancorate al concetto del possesso del bene culturale, anche se questo è un possesso inesistente, in quanto il bene è della collettività” (Caraceni 2011, p. 39).

294“[…] the museum, along with the public, provides new answers each time, as each era engages in its own debate

with the past” (NMV 2011, p. 25).

295Sul concetto di accessibilità digitale volta alla creazione di una relazione virtuosa con l’utenza remota v. Solima

2012, pp. 33-35.

296Nell’ambito dell’interazione fra utente culturale e istituzione culturale, nell’ottica di value co-creation, valgano le

considerazioni di T. Pencarelli e S. Splendiani: “Affermare che il valore è generato e distribuito nel corso dell’interazione cliente-fornitore (visitatore-struttura museale) implica […] la gestione della piattaforma di interazioni, non solo al fine di supportare la creazione di valore per il cliente, ma anche per appropriarsi del valore per il fornitore del servizio” (Penca- relli - Splendiani 2011, p. 238).

297Simon 2010, p. 2.

298Hinton - Whitelaw 2010, p. 52. Secondo A. Uzelac, infatti, “Users are more and more becoming producers in the

network environment and they also claim the right to use and re-use existing information and cultural expressions that are available in the digital environment and that form part of our cultural memory and identities” (Uzelac 2008, p. 18).

299Bojano et alii 2005. In una comunicazione sociale partecipata, “Exchanges mediated by technical means nonethe-

less constitute an important connective tissue coordinating and synchronizing group activities and meetings. The fact of being ‘on the list’ both expresses the fact that one belongs to the group and makes it possible to participate in group activi- ties” (Licoppe - Smoreda 2005, p. 326 e Licoppe - Smoreda 2006, p. 304). “Allowing end-users to contribute or create and share content with others can enhance the interaction process and promote sense of ownership as well” (Rahaman - Tan 2011, p. 104).

300“We use the term ‘interactive sociality’ to elucidate how our informants meaningfully socialise in the context of

the museum and extend their sociality to other domains outside the museum” (Jafari, Taheri, vom Lehn 2013, p. 2). In un passo successive del contributo: “[…] here we introduce the term ‘interactive sociality’ to explain our informants’ sociabili- ty inside and outside the museum as they share their meanings and feelings – through experiences of cultural consumption

Possiamo adattare ai musei partecipa- tivi il medesimo modello dei comportamenti informativi presentato da L. Björneborn nel caso dell’utenza delle biblioteche (Figura 10).

Nel rapporto con i contenuti informa- tivi l’utente culturale in genere si può inter- facciare in cinque modi differenti: li crea, li archivia, li condivide, li cerca/trova e impara. Nel rapportarsi tradizionalmente a un’isti- tuzione culturale, le azioni dell’utente sono strettamente limitate alle ultime due ed il

tipo di consumo culturale oscilla fra una reactive consumption e una proactive consumption (ovvero tra una normale visita al museo e una visita nella quale si sceglie consapevolmente cosa conoscere e come approfondirlo, scelta che può essere ulteriormente ‘aumentata’ dalle guide multimediali in mobilità)301.

In un’istituzione culturale partecipativa, invece, le azioni che l’utente può compiere variano e sono molteplici: il grado di partecipazione dell’utenza è dato dalla libertà e varietà di azioni e inte- razioni culturali che all’utente sono attivamente concesse dall’istituzione (collaborazione a un wiki o un blog, presenza libera su social network, partecipazione su piattaforme virtuali, creazione di gallerie o collezioni personali, creazione di contenuti culturali da condividere su piattaforme comu- ni etc.). Nel rapportarsi in modo partecipativo le azioni dell’utente sono invece di tipo produttivo e possono distinguersi in una production for private use e in una production for public use (ovvero tra una produzione di contenuti culturali limitata ad uso personale e una produzione aperta alla condivisio- ne e alla co-produzione)302.

Come anticipato nel Paragrafo 1.3, un ottimo esempio di collaborazione con l’utenza si ha nel caso del National Museums Liverpool Blog303: “Here, staff are working together to publish a blog

about their activities. They are tagging stories, sharing experiences. It is low tech, low cost, low risk but high impact as the nature of a blog is that it is visible to search engines because of the way they are built”304.

L’interazione con l’utenza e la co-produzione di contenuti culturali sono state adottate più facilmente e con gradi differenti nei musei tecnico-scientifici, più orientati alla sperimentazione305,

– with one another. Interactive sociality is based on sociability and conversation with both the familiar and strangers. This kind of sociality is not necessarily enduring; it can be very temporary. It does not require shared values or beliefs; rather, it forms based on shared interests or moments of sociability. Such interactive sociality, […], is catalysed by the museum’s cultural consumption experience. This potential of museums in generating interactive sociality has remained significantly understudied in the literature on museums. […] we believe that acknowledging other potentials of the museum will fur- ther augment their value proposition in an ever-changing society” (Jafari, Taheri, vom Lehn 2013, p. 17).

301“The simplest one is the basic visit to a museum: we buy the ticket at the entrance, go in, take a tour, perhaps an

audio guide, follow the arrows, read the texts beside the works, and that’s about it. Let’s call this reactive consumption. When we make an effort to search information about the exhibition or the artists beforehand, we are moving towards some sort of proactive consumption. We might study art books, conduct an online search, go and see a documentary about the artist we like, etc. In this case, we know what we are interested about and we actively choose how we want to know about we want to know” (http://ullamaaria.typepad.com/hobbyprincess/2006/06/museums_and_web.html). V. anche Mechant 2007, p. 24.

302“At the point where we start to materialize our experience of an artwork in the form of a talk, text, or images, we

start producing. We produce for private use when we take photos of our museum visit to the family album, when we dive into a discussion about interpretations of an artwork, or when we write notes to our personal diary. All these are private re-productions of our experience that we use to reflect the things that we have seen. When we begin to share our experi- ences of exhibited artifacts with other people on the Internet, we are producing for public use. For instance, we may write about an exhibition on our weblog; post photos […] on Flickr; or add to a Wikipedia article. The technologies make this type of public sharing possible, are often referred to as Web 2.0” (http://ullamaaria.typepad.com/hobbyprincess/2006/06/ museums_and_web.html). V. anche Mechant 2007, p. 24.

303http://blog.liverpoolmuseums.org.uk/. 304Finnis 2008, p. 154.

305Mandarano 2011, p. 214.

che nei musei più tradizionali306, tuttavia nessun museo può oggi disconoscere l’importanza dell’in-

terazione sociale attraverso le nuove tecnologie come parte di un processo di modernizzazione più ampio:

“This growing recognition of the importance of social interaction in museums and galleries can be seen as part of a broader trend, a trend that is increasingly placing ‘interactivity’ at the heart of the agenda, not only in science museums and science centres but also increasingly in the arts - and not just the con- temporary arts”307.

“Understanding the opportunities that social production presents would contribute to developing mu- tually reinforcing relationships with institutions in the cultural sector, as social production is creating new sources of inputs, new expectations, habits and tastes as well as opportunities for outputs”308.

La partecipazione dell’utenza all’aspetto comunicazionale ed espositivo ha trovato sempre maggiore applicazione grazie all’utilizzo di numerose varietà di dispositivi hands-on in presenza (che permettano, ad es., la registrazione di contenuti vocali o audiovisivi)309 e del web con i suoi

digital tool in modalità remota.

Proprio il web, oggi, costituisce la risorsa più adatta in tal senso.

Y. Hellin-Hobbs individua tre specifiche modalità di partecipazione dell’utente remoto alla produzione culturale sul web: il tagging, le folksonomie e gli user-generated contents310.

Il tagging, come brevemente accennato nell’Introduzione, consiste nell’attribuire a qualsivoglia documento o file su Internet (sia esso un testo, un’immagine o un video) una o più parole chiave o termini (ovvero tag, cioè etichette o annotazioni), attraverso cui l’oggetto venga catalogato per con- sentirne la ricerca e l’individuazione. La tag, quindi, è un metadato, cioè un dato che ne esprime un altro utile per descrivere e classificare un oggetto in modo dinamico, personale, informale e intuitivo (secondo il modello mentale dell’utente): come tale, la tag è in pieno un user-generated content tipi- co della filosofia del Web 2.0, nata come risposta al bisogno di categorizzazione e di classificazione che deriva necessariamente dal prolificarsi esponenziale di contenuti311.

L’organizzazione da parte degli stessi utenti delle tag in categorie ‘popolari’ d’informazioni porta a quella nuova e spontanea forma di aggregazione informativa che si è definita, con un neo- logismo di tipo cratico, folksonomia (da folk + tassonomia)312, ovvero una nuova e non gerarchica

306“It appears that an approach that is open to visitor contributions is more often adopted when designing exhibits

in the context of hands-on museums, such as exploratoria and science centres, and it is found less commonly in ‘tradition- al’ galleries exhibiting artistic artefacts and antiquities. The main issue surrounding the introduction of such an approach in this context is one of authorship: museums tend to assume the role of authority when it comes to providing information about their holdings. The interpretation of a certain object on display is decided a priori by the curatorial team, thus the narrative that is presented to visitors is not really open to challenges or external contributions. This contrasts with certain other areas, for example interactive art, which has produced interesting reflections on collaborative practices in designing exhibitions, and on authorship issues […], embodied in pieces that are designed explicitly to create active visitor engage- ment […]. This approach, however, is seldom found in more traditional art museums” (Ciolfi et alii 2008, pp. 355-356).

307Heath - vom Lehn 2009, p. 266. 308Uzelac 2008, p. 18.

309Alcuni esempi di postazioni interattive sono fornite in Ciolfi et alii 2008, Heath - von Lehn 2009 e Bonacini

2011b, pp. 170-172.

310Hellin-Hobbs 2010, pp. 73-76.

311Sull’uso di tag nella categorizzazione v. Huvila - Johannesson 2011.

312Il termine è stato coniato nel 2004 da Thomas Vander Wal e va, quindi, inteso nel senso di “[…] sistema di gestione

della classificazione realizzato dalla gente” (http://.vanderwal.net/folksonomy.html). “A straightforward way to involve a visitor in a public production relationship with a cultural institute is by facilitating the online act of ‘tagging’. Websites of cultural institutes could give their visitors the opportunity to describe and classify online content that appeals to them. This idea of a socially constructed classification scheme for the content of a website is called folksonomy. The term folk- sonomy is generally attributed to Thomas Vander Wal (Smith, 2004) and refers to online tagging systems intended to make information increasingly easy to search and navigate over time. A combination of the words folk and taxonomy, it literally means ‘people’s classification management’. Users file digital content through tagging: the association of particular key- words with related content. Users can also discover who created a tag and see the other tags that this person created. Thus, folksonomy users can discover tag sets of other users who tend to interpret and tag content in a similar way” (Mechant 2007, p. 25).

forma di tassonomia (che invece è una classificazione scientifica realizzata da esperti che rispetta protocolli rigorosi), a dimensione popolare (da qui l’uso del termine folk), creata direttamente da chi la usa secondo criteri individuali, da cui derivano forme di classificazione collaborativa costruita dalla gente su parole chiave313, con una tendenza al prevalere di punti di vista predominanti314:

“[…] riconoscere e definire il significato di oggetti, concetti e fenomeni del reale è qualcosa di profon- damente connaturato al nostro essere: […], l’espressione dei contenuti ed il loro inserimento in cate- gorie più o meno omogenee, si caratterizza come una precisa attività cognitiva, una funzione della mente”315.

Fra i primi esempi di folksonomia bisogna citare Flickr, sviluppato nel 2002, che consente di taggare le immagini permettendone così la categorizzazione316, e Del.icio.us. che, sviluppato nel

2003, è uno dei primi servizi di social bookmarking; in entrambi i casi, sia che siano taggate foto sia che siano taggati bookmarks, l’associazione a essi delle parole chiave, permette di creare una classi- ficazione collaborativa on-line di tipo folksonomico e, dunque, bottom-up, costruita dal basso.

Un sito web museale può consentire agli utenti remoti di partecipare alla creazione di con- tenuti culturali, di aggiungere delle proprie etichette ai manufatti della collezione, lasciando che si vengano così a creare delle interpretazioni informali degli oggetti e delle classificazioni di tipo folksonomico (che, come evidenziato da alcune ricerche, ampliano il vocabolario tecnico-museale in modo innovativo, semplice e partecipato ed aiutano in modo esponenziale alla indicizzazione delle collezioni317). Questo può consentire, alla comunicazione museale remota, di essere raggiunta

attraverso ricerche che utilizzino significati non convenzionali, cercando di superare la creazione di codici interpretativi univoci, che trova la sua espressione finale più astratta proprio nella digitaliz- zazione dei contenuti:

“[…] the process of digitisation of artworks complicates the process of signification or mediation by reducing the image, and as a consequence of its denoted message, into a series of ones and zeros. In this sense, digitization introduces a final level of abstraction into the process of mediation of messages […]. This does not mean that the language of digital media is universal but rather that in this process of abstraction the mechanisms of signification remain unseen”318.

Lasciare che gli utenti inseriscano tag alle collezioni, creando folksonomie proprie, consente non solo ai musei di guardare agli oggetti o alle opere d’arte con l’occhio del non-esperto ma, so- prattutto, consente ai non-esperti di rintracciare sul web qualcosa che, magari tassonomicamente indicata, non avrebbero trovato319. Inoltre, consentire all’utente di contribuire alla produzione e cata-

logazione di contenuti culturali genera ulteriore valore aggiunto anche in termini di dinamicità del website del museo320.

Due ottimi esempi di progetti basati sulla collaborazione con gli utenti remoti sono i due pro- getti inglesi Tales of Things e Qrator.

Tales of Things (progetto del Digital Economy Research Councils del Regno Unito, frutto della

collaborazione fra la Brunel University, l’Edinburgh College of Art, l’University College of London, 313Galluzzi 2008, p. XXVII; Vergani 2011; Bonacasa 2011, p. 110; http://it.wikipedia.org/wiki/Folksonomia. 314Huvila 2010, pp. 312-314. “[…] folksonomies have a tendency to emphasise majority viewpoints even if they al-

low pluralism on the level of individuals and groups […] the heterogeneity of the participants of the tagging communities and the relative anonymity of individuals can make it difficult to judge what viewpoints are represented and how. Even if the tags and user profiles would be transparent similarly to the clustering methods, the motivations of tagging are not necessarily intelligible without further elaboration” (Huvila - Johannesson 2011, pp. 101-102).

315Santoro 2007.

316Un esempio, in questo senso, è il Flickr Commons Project, di cui parleremo a breve. Sull’analisi di folksonomie in

Flickr v. Huvila 2010.

317Guerzoni - Mininno 2008, p. 162

318Stylianou-Lambert - Stylianou 2010, pp. 67-68. 319Guerzoni - Mininno 2008, p. 161.

l’University of Dundee e l’University of Salford) è una piattaforma collaborativa321 nata per ‘esplo-

rare’ la memoria collettiva sociale attraverso le tecnologie digitali e a costituire un nuovo modo di preservare la storia di una società alle generazioni future, riconoscendone il valore culturale. Gli utenti sono invitati a condividere le foto o i video degli oggetti che fanno parte della propria vita e le storie ad essi correlati; ognuno di questi oggetti, con la propria storia, è geo-localizzato con le gocce ad icona una mappa di Google.

Qrator (a cura dei tre dipartimenti UCL Centre for Digital Humanities, UCL Centre for Advan-

ced Spatial Analysis and UCL Museums and Collections) è una piattaforma website collaborativa322

finalizzata alla co-creazione di contenuti e di significati e interpretazioni riguardante le collezioni on-line del Grant Museum of Zoology e del Petrie Museum of Egyptology di Londra. Dalla sezio- ne Join the conversation gli utenti sono invitati, di volta in volta, a rispondere (What do you think?) a specifiche domande riguardanti gli oggetti delle collezioni, lasciando commenti e informazioni che divengono parte integrante della storia digitale di quegli artefatti.

Tra le opzioni di comunicazione museo-utente più innovative (che in molti casi si trasforma anche in una vera e propria forma di produzione culturale da parte dell’utente) c’è la tecnica dello

storytelling attraverso la quale il museo, dalle pagine del suo sito e sfruttando appieno le tecnologie

del Web 2.0, dopo la visita in presenza chiede all’utente di esprimere un’emozione suscitata da un oggetto della quotidianità presente o passata, magari corredata di una immagine o di un commen- to323. Innescando il meccanismo del feedback324 post-fruizione secondo un approccio di tipo par- tecipativo e inclusivo, si vogliono così suscitare un coinvolgimento emozionale e quegli spunti di riflessione o di ricordo che facciano riferimento al background di ogni individuo e al suo bagaglio di esperienze e di cultura pregresse.

In particolare, diventa oggi fondamentale favorire la produzione di contenuti culturali post- fruizione, anche grazie alle piattaforme di social networking e di geo-social tagging e al loro uso in mobilità (v. Paragrafo 4.3). Inoltre, la condivisione in tempo reale di un luogo, di un oggetto o di un momento vissuto, ha un enorme potenziale evocativo e comunicativo, poiché “[…] autenticità, emo- zione, entusiasmo e soddisfazione vengono espressi in modo non filtrato e caricano questa comunica- zione di un’efficacia senza precedenti”325, favorendo forme di socialità digitale (come avremo modo di evidenziare più dettagliatamente nel Paragrafo 3.9 in merito al progetto #invasiondigitali 2013).

L’apporto delle nuove tecnologie può quindi dimostrarsi decisivo, soprattutto se si considera- no le grandi possibilità di feedback che esse offrono e di costruzione di un rapporto diretto tra il pub-

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