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giurisprudenza di legittimità

Le implicazioni che discendono dalla sentenza 238/1996 e che si sono prodotte in Italia per oltre un decennio sono soprattutto conseguenze pratiche, riconducibili a quell'anomala situazione di stallo cui sono stati costretti gli inquirenti, fino all'attuazione della legge n. 85 del 2009, di fronte a un diniego dell'indagato di sottoporsi a prelievo di materiale biologico.

La sentenza n. 238 del 1996 aveva determinato una lacuna normativa non trascurabile, dati i suoi effetti sul piano probatorio149 e

procedimentale.

Il costo della scelta operata dalla Consulta con la sentenza n. 238 del 1996 è stato elevato per le indagini penali: si trattava di un serio ostacolo all'assicurazione di una prova fondamentale di colpevolezza o di innocenza.

La gravità della situazione così determinatasi appariva del tutto evidente anche perché, non avendo la Corte costituzionale ristretto la portata della sua pronuncia ai soli prelievi di natura invasiva, erano state ricomprese nel divieto tutte le perizie coattive.

Conseguentemente, le limitazioni all'utilizzabilità dell'apporto tecnico-

149 M. RUOTOLO, Il prelievo ematico tra esigenza probatoria di accertamento del

reato e garanzia costituzionale della libertà personale. Note a margine di un mancato bilanciamento tra valori, cit., p. 2155, osserva che l’impossibilità di

eseguire coattivamente il prelievo (ematico) ne riduceva fortemente l’importanza, vanificando in parte i contributi che l’immunoematologia forense (IEF) fosse in grado di fornire per la soluzione dei problemi medico-legali, tra cui, in seguito ai continui progressi scientifici, la possibilità di svolgere efficaci analisi anche nel caso di un DNA parzialmente degradato, grazie all’amplificazione enzimatica delle sequenze specifiche mediante la tecnica della

scientifico riguardavano anche le ipotesi in cui la compressione della libertà personale appariva quasi innavertibile e non vi fosse alcun pericolo per la salute del periziando, come quelle concernenti i prelievi non invasivi caratterizzati da un contenuto “intrusivo” della sfera corporale del tutto insignificante150, riguardando ad esempio delle

sostanze, quali il sudore, destinate comunque ad abbandonare la sfera corporale del soggetto.

Anche nelle suddette ipotesi, la mancanza del consenso da parte dell'interessato assumeva dunque una valenza assolutamente preclusiva.

In base alla pronuncia n. 238 del 1996 doveva negarsi la possibilità di ricorrere a qualsivoglia tipo di coercizione per ottenere il materiale organico necessario ai fini dell'espletamento della perizia e ogni dato ottenuto a seguito di una perizia effettuata coattivamente, senza il consenso dell'interessato, risultava inutilizzabile151.

L'autorità giudiziaria italiana era pertanto impossibilitata, in caso di mancato consenso al prelievo, ad avvalersi dei risultati derivanti da metodiche di accertamento dotate di un altissimo tasso di affidabilità come le analisi volte alla determinazione dei polimorfismi del DNA152.

Gli inquirenti si trovavano dunque di fronte all'alternativa tra la 150 Così A. SANTOSUOSSO, G. GENNARI, Il prelievo coattivo di campioni

biologici e i terzi, cit., p. 400.

151 Cass., sez. I, 14 febbraio 2002, Jolibert, in Giur. it., 2003, p. 534; Cass., sez VI, 2 novembre 1998, Archesso, in Arch. nuova proc. pen., 1999, p. 668; Cass. sez VI, 2 giugno 1997, Mazzola ed altri, in Dir. pen. proc., 1997, p. 1330. Secondo R. ORLANDI, G. PAPPALARDO, L'indagine genetica nel processo penale

germanico, cit., p. 762, in tal caso si era di fronte ad una sorta di prova «incostituzionale»; a sua volta P. FELICIONI, Accertamenti personali coattivi nel processo penale: linee di riforma, cit. p. 616, sottolineava quanto fosse

«singolare la situazione determinata da un inammissibile ordine di eseguire un prelievo coattivo: la conseguente inutilizzabilità del relativo mezzo di prova infatti, si connette alla violazione di un divieto non previsto dalla legge ma, piuttosto, contenuto nel dispositivo di una pronuncia di illegittimità costituzionale».

152 V. BARBATO, G. LAGO, V. MANZARI, Come ovviare al vuoto sui prelievi

rinuncia ad utilizzare tali potenti tecnologie identificative se l'imputato rifiutava di sottoporvisi e il tentativo di acquisire gli stessi elementi per altra via, con escamotage e sotterfugi di varia natura, volti ad aggirare il divieto. E ciò indipendentemente dalla gravità del reato, con conseguente disparità tra accusa e difesa, vista la possibilità che persone indagate di gravissimi delitti, si sarebbero potute sottrarre alla prova del DNA, fulcro della tesi dell'accusa153.

Difatti, nella pratica giudiziaria, gli organi dell'accusa sono stati per anni obbligati a scegliere tra le due alternative.

La prima possibilità, insoddisfacente e destinata a porre l'accusa in una posizione di netto svantaggio rispetto alla difesa, era, come detto, quella di rinunciare all'indagine genetica, perdendo così un elemento di prova che avrebbe potuto indirizzare in modo decisivo il seguito del processo.

La seconda chance è stata talora prediletta dai pubblici ministeri italiani, proprio per superare l'anomalia per cui, pur sussistendo ormai da anni nel nostro paese, le strutture idonee ad effettuare prelievi e analisi di carattere genetico-forense154, l'assenza di una disciplina

rispondente ai criteri costituzionali avrebbe vanificato l'utilità di uno strumento di prova estremamente incisivo e avrebbe posto gli inquirenti in una posizione di insuperabile impotenza.

Anche per tali ragioni, la polizia giudiziaria cominciò ad utilizzare dei veri e propri escamotages per il reperimento del materiale biologico proveniente da soggetti sospettati della commissione di un reato155 ai

153 Così V. MARCHESE, D. RODRIGUEZ, L. CAENAZZO, Banche dati forensi.

Riflessioni etico-giuridiche alla luce della legge 85/2009, cit., p. 31.

154 Così E. DE NICOLA , DNA database dell'impronta genetica. L'anomalia

italiana, in A. CICOGNANI, S. PELOTTI (acura di) Il DNA nella società attuale: test genetici, disastri di massa, identificazione criminale, Milano, 2006,

pp. 33 - 37.

155 F. GIUNCHEDI, Gli accertamenti tecnici irripetibili (tra prassi devianti e

fini della comparazione con i profili genetici ottenuti da materiale rinvenuto sul luogo del delitto: il riferimento è alla prassi “estrema” di raccogliere, di nascosto, senza l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria e anzi, al di fuori di qualsiasi rapporto con essa, il materiale necessario per gli accertamenti scientifici, ad esempio prelevando le tracce di saliva del sospettato rinvenute sul bordo della tazza di caffè lasciata al bar o sul mozzicone si sigaretta, i capelli rimasti nella spazzola o ancora, le formazioni pilifere trovate nei suoi indumenti156.

Si tratta di tracce biologiche lasciate normalmente in giro dalla persona sospettata.

Giova sottolineare che, dopo la sentenza n. 238 del 1996 della Corte costituzionale, la Suprema Corte di Cassazione, è intervenuta nel corso degli anni ad offrire soluzioni che, pur nel rispetto del divieto ivi stabilito, consentissero di evitare la dispersione degli elementi di prova raccolti in fase di indagini preliminari: da un lato, attraverso la legittimazione, subordinata a specifiche condizioni, della prassi investigativa consistente nella raccolta del materiale biologico necessario alle indagini all'insaputa del soggetto interessato, al fine di aggirare la mancanza del consenso; dall'altro, attraverso la valorizzazione del ricorso, da parte dell'autorità giudiziaria, a mezzi di ricerca della prova espletabili senza la necessità della collaborazione del soggetto interessato. Riconoscendo la legittimità di tali prassi già in uso tra gli inquirenti, la Corte di Cassazione ha dissolto i dubbi in ordine alla legittimità di pratiche di raccolta surrettizia o insidiosa di tracce biologiche.

156 Altra pratica diffusa (questa volta palese) è quella di procedere a ispezione corporale e quindi a sequestro e analisi degli indumenti: in tal senso P. FELICIONI, Accertamenti personali coattivi nel processo penale: linee di

riforma, cit., p. 616. Resta dubbia invece la possibilità di sequestrare il materiale

biologico conservato presso terzi, come il sangue in una clinica pubblica o privata, al fine di disporne poi l'esame peritale.

Sotto il primo profilo, la Corte di Cassazione si era pronunciata circa le cosiddette analisi sugli «oggetti toccati»157, propendendo per la liceità

dell'acquisizione dei campioni biologici per tale via, anche senza il consenso dell'interessato, in un momento in cui non fanno più parte della persona e non è più necessario alcun intervento manipolativo della libertà personale. Nel caso concreto, l'oggetto «staccato» in questione, per il quale, secondo la Cassazione, sarebbe inconferente il richiamo alla sentenza 238 del 1996 Cost., era un campione di saliva dell'indagato raccolto da un bicchiere in cui questi aveva bevuto un caffè offerto dalla polizia giudiziaria al solo scopo di prelevare materiale biologico.

La Corte ha ritenuto legittimo tale operato, rilevando che nessuna disposizione di legge subordina lo svolgimento delle indagini al consenso dell'indagato, quando non si risolva in violazioni della libertà personale o di altri diritti costituzionalmente garantiti158 e il sequestro

delle tracce di saliva non comporta alcuna compressione della libertà personale159.

Non riveste inoltre alcuna importanza, a parere della Cassazione, che la bevanda sia stata offerta al solo fine di acquisire reperti biologici. Ne deriva che, in generale, la raccolta di materiale biologico che non fa più fisicamente parte della persona non si risolve nella lesione della libertà personale o di altri diritti costituzionalmente garantiti160.

157 Cass., sez. I, sent. 22 giugno 1999, n. 10958, Fata, in Cass. pen. 2000, p. 3101. V. anche Cass., sez. IV, 24 maggio 2000, n. 3037 in CED Cass. n. 216870. 158 In senso conforme Cass., sez. I, 23 ottobre 2008, n. 43002, Tripodi, in Guida dir.,

2008, I, p. 95. A parere della Corte, il consenso del soggetto passivo occorre solo se vi è incidenza sulla sfera personale; inoltre, l'eventuale consenso non deve essere necessariamente informato, essendo processualmente privo di rilievo che all'indagato sia stata comunicata dagli inquirenti, la specifica finalità del prelievo.

159 In tal senso anche Cass., sez. I, 23 giugno 2005, n. 32925, Petriccione, Guida

dir., 2005, n. 38, relativa a saliva prelevata da bicchieri usati dall'imputato e da

sigarette che lo stesso aveva fumato.

Tale orientamento giurisprudenziale è stato confermato anche successivamente da una sentenza del 2003161.

In tale pronuncia la Cassazione precisa che i principi enucleati nella sentenza n. 238 del 1996 della Corte costituzionale non devono trovare applicazione in ipotesi di raccolta “occulta” di materiale biologico, ribadendo che, allorquando si procede all’acquisizione e all’analisi di materiali biologici che sono già separati naturalmente dal corpo dell'individuo, a nulla rileva la circostanza che manchi il suo consenso, giacché non entra in gioco il valore della libertà personale nell’impiego di reperti che non richiedono alcun intervento manipolatorio sull’individuo.

Il presupposto su cui sembrano basarsi tali decisioni è che con l’abbandono, consistente in un comportamento caratterizzato dall’animus di disfarsi definitivamente di una determinata cosa, l’oggetto esce dalla sfera personale del titolare, diventando res

derelicta, estinguendosi, in tal modo, il preesistente vincolo di

appartenenza, pur permanendo invece la riconducibilità del reperto all’antico possessore, qualora esso contenga elementi che sono oggettivamente riferibili a colui che lo ha abbandonato162.

Peraltro la dottrina è sostanzialmente concorde nel considerare le parti staccate del corpo umano come beni mobili disponibili (art. 810 c.c.) ed, in quanto tali, suscettibili di essere oggetto di proprietà alla stregua di qualsiasi altro bene163.

161 Cass., sez I, 11 marzo 2003, n. 28979, Esposito, in Cass. pen. 2004, p. 2949. Si è affermato che, qualora oggetto di accertamento siano materiali biologici «staccati» dal corpo umano, non è più in questione la tutela della libertà personale ed è quindi irrilevante il richiamo alla sentenza della Consulta del 1996.

162 M. SPRIANO, Acquisizione di campioni del DNA dall’imputato e dai suoi

parenti, in Dir. pen. proc., 2005, p. 351.

163 La dottrina è invece divisa nello stabilire quale sia il modo di acquisto della proprietà e il soggetto titolare del diritto: si veda A. DE CUPIS, I diritti della

Di conseguenza, gli accertamenti svolti su oggetti dimessi ed usciti dalla disponibilità diretta degli interessati, non concretizzandosi in misure restrittive della libertà personale di alcuno, né tantomeno invasive, legittimano l’acquisizione del relativo materiale biologico, secondo le modalità stabilite dal codice di rito, anche invito domino164.

La prassi della raccolta all'insaputa dell'interessato sembra oggi aggirare la necessità del consenso.

Parte della dottrina ha criticato tale orientamento giurisprudenziale, sostenendo che esso legittima operazioni che finiscono col pregiudicare la libertà morale e di autodeterminazione del soggetto, così violando il disposto dell'art. 189 c.p.p. e vanificando i divieti di utilizzazione probatoria connessi all'invasione della sfera personale dell'individuo165.

E' corretto, dunque, secondo l'orientamento della Cassazione, ritenere del tutto legittimi i prelievi di segni biologici lasciati dall'interessato al di fuori di un contesto investigativo e senza che vi sia stata alcuna sollecitazione da parte dell'autorità che investiga, senza quindi, che entri in gioco la necessità di tutelare la libertà di autodeterminazione né, tanto meno, l'integrità fisica o la dignità del “titolare” del materiale corporeo.

Questo orientamento giurisprudenziale è stato seguito anche dopo l'entrata in vigore della legislazione antiterrorismo del 2005.

MESSINEO, Milano, 1985 pp. 159 e ss.; F. CARNELUTTI, Problema giuridico

della trasfusione del sangue in Foro it., 1938, p. 95; C.M. BIANCA, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 1978, p. 163; M. DOGLIOTTI, Atti di dispozione sul proprio corpo e teoria contrattuale in Rass. dir. civ., 1990;

F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964 p. 52; G. CRISCUOLI, L'acquisto delle parti staccate del proprio corpo e gli

artt. 820 – 821 c.c., in Riv. dir. fam. e pers., 1985, p. 266.

164 Così M. SPRIANO, Acquisizioni di campioni del DNA dall'imputato e dai suoi

parenti, cit., p. 352.

165 A. BELLOCCHI, Perito e perizia in Dig. disc. pen. , Agg. Vol. III, t. 2, 2005, p. 1078.

Tale disciplina, come si vedrà nel prosieguo, non era infatti risultata sufficiente a soddisfare compiutamente le esigenze investigative e dunque, anche successivamente a tale intervento normativo, e alla luce di tali perduranti esigenze, la Suprema Corte ha ribadito la legittimità della repertazione di materiale biologico già separato dall'individuo. E' interessante ricordare anche due pronunce della Suprema Corte che hanno legittimato l'utilizzazione dei mezzi di ricerca della prova quali strumenti per superare il mancato consenso che ostacola la ricostruzione del fatto166.

In una sentenza del 2007167 la Cassazione ha affermato che «per effetto

della sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 1996, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 224, comma secondo, c.p.p., e fino al sopravvenire di una normativa ad hoc, non è consentito eseguire coattivamente prelievi di reperti organici sulla persona dell'indagato/imputato al fine di espletare accertamenti peritali; resta, tuttavia, legittima la raccolta di qualsiasi […] elemento probatorio, che sia effettuata nell'osservanza delle norme processuali vigenti in tema di limitazione della libertà individuale, con riferimento sia a quella personale che domiciliare, quando sia posta in essere tramite il corretto uso del potere – dovere di perquisizione e sequestro, anche se sia finalizzato alla raccolta delle cosiddette tracce biologiche (capelli, sangue, cute, saliva e sperma)».

In questa pronuncia i giudici di legittimità estendono addirittura le nozioni di perquisizione e sequestro fino a considerarli quali strumenti finalizzati anche all'acquisizione di materiale biologico dell'indagato. Tali mezzi di ricerca della prova infatti, «proprio perché disciplinati e previsti dalla legge ordinaria, [...] non comportano alcuna intrusione 166 P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, cit., p. 102.

167 Cass., sez. II, 10 ottobre 2007 n. 38903, Mallia, in Cass. pen., 2008, p. 3368 con nota di C. FANUELE, Il prelievo di reperti organici sulla persona dell'indagato.

corporale vietata»: disciplinate e previste dalla legge, le operazioni di accertamento e raccolta dati sono consentite, anche se riferite al prelievo coattivo di materiale biologico o genetico in assenza del consenso del soggetto interessato168.

Nello stesso anno, la Cassazione era già intervenuta riconoscendo «la legittimità del sequestro, come cosa pertinente al reato, di un indumento intimo dell'indagato che serviva all'estrapolazione di tracce di DNA a scopo comparativo con i reperti169».

Pur ribadendo il divieto di prelievo coattivo di reperti organici, diretto a consentire un accertamento peritale, si era osservato che risultava invece ammissibile l'adozione di provvedimenti volti a disporre perquisizioni o sequestri di determinati oggetti, al fine di raccogliere tracce biologiche (nello specifico, capelli, sangue, saliva ecc.), allo scopo di poter poi espletare la comparazione tra le tracce relative al profilo genetico raccolte in sede di perquisizione o sequestro con quelle ematiche rinvenute sul luogo di perpetrazione del delitto.

Si sottolineava come ciò non comportasse alcuna intrusione corporale vietata, essendo in tal caso in presenza di provvedimenti di perquisizione e sequestro perfettamente legittimi.

Difatti, la nozione di res pertinente al reato, non può essere ristretta alle cose utilizzate per commettere il reato o che risultino comunque legato ad esso da un rapporto strumentale, ma deve essere «estesa anche a quelle che sono indispensabili sia alla verifica di tutte le modalità di preparazione ed esecuzione del reato, sia alla

168 Già in una sentenza del 2004 la Cassazione, davanti al rifiuto di collaborare dell'interessato, aveva ritenuto legittimo il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., aveva disposto d'ufficio perquisizioni domiciliari al fine di rinvenire oggetti, recanti tracce biologiche da sottoporre poi a sequestro. (Cass., sez IV, 12 luglio 2004, n. 44481, in CED

Cass. n. 229129).

169 Così Cass., sez. II, 13 marzo 2007, n. 12929, Minnella, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, p. 1812.

conservazione delle sue tracce o all'identificazione del colpevole, compreso l'accertamento del movente170», dunque anche alle res

indispensabili alla verifica di tutti gli elementi utili alla ricostruzione di fatti e responsabilità. L'applicabilità della perquisizione e del sequestro sono consentiti, ad avviso dei giudici di legittimità, in quanto gli oggetti individuati non costituiscano una mera ed immotivata invasione della sfera fisica dell'individuo, ma al contrario, si atteggino quali elementi rilevanti nell'economia processuale utili alla ricostruzione di fatti e delle responsabilità.

In definitiva, sulla base delle pronunce esaminate, si rileva che la Corte di Cassazione ritiene legittimo raccogliere materiale biologico staccato dal corpo della persona, sia attraverso il sequestro di oggetti sui quali si possano rinvenire tracce organiche (ad esempio il bicchiere o il mozzicone di sigaretta su cui si trova la saliva, l'indumento recante sangue o altri fluidi corporei), sia attraverso l'acquisizione all'insaputa dell'interessato, comportando un ampliamento della nozione di «cose pertinente al reato» fino a ricomprendere anche quelle legate indirettamente al fatto illecito, purché necessarie all'accertamento. E' evidente come si sia delineato un orientamento volto ad evitare la dispersione di elementi di prova cagionata dal diniego dell'interessato a fornire un campione di proprio materiale biologico utile alla comparazione tra il profilo genetico da quello tipizzato e il profilo del DNA estratto da tracce biologiche rinvenute sul luogo del delitto o sul corpo della vittima.

Si può dunque concludere affermando che tali modalità di acquisizione del materiale biologico, in quanto non coattive, non si pongono in contrasto con i diritti fondamentali dell'individuo e dunque risultano legittime anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 85 del 2009 con 170 Cass., sez. II, 10 ottobre 2007, Mallia, cit., p. 3369.

la quale risulta finalmente regolata l'acquisizione coattiva e l'utilizzazione di dati genetici171.

171 Peraltro tale orientamento espresso dalla Suprema Corte è stato confermato, in più recenti sentenze, anche successivamente all'entrata in vigore della legge n. 85 del 2009: cfr. Cass., sez. II, 25 luglio 2014, n. 33076, secondo cui il prelievo delle tracce biologiche dell’indagato può avere luogo senza l’osservanza della garanzia del contraddittorio, ferma restando l’osservanza di modalità non invasive e non lesive della integrità personale. In ogni caso, si sottolinea che l’esame di laboratorio per la individuazione del DNA costituisce accertamento tecnico per sua natura ripetibile e, pertanto, non richiede il previo avviso per la partecipazione del difensore; Cass. sez. I, 5 dicembre 2013, n. 48907.

CAPITOLO III

LACUNE NORMATIVE ALLA LUCE DELLE

MODIFICHE INTRODOTTE DALLA LEGGE

N. 155 DEL 2005

3.1 Quadro generale

Si è visto come, dopo la sentenza n. 238 del 1996 della Corte costituzionale, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta nel corso degli anni ad offrire soluzioni che, pur nel rispetto del divieto ivi stabilito, consentissero di evitare la dispersione degli elementi di prova raccolti in fase di indagini preliminari e come, secondo la prevalente giurisprudenza, le tracce biologiche possono rientrare nella categoria delle «cose pertinenti al reato» sequestrabili dagli inquirenti. L'attività di raccolta delle tracce organiche rientra, sotto il profilo sistematico, tra le operazioni di polizia giudiziaria aventi carattere puramente “materiale” ed esecutivo, prive d'ogni carattere di invasività e che non implicano un'analisi dei campioni biologici e una valutazione critica dei suoi risultati172.

Tuttavia, per esaminare il DNA, potrebbe essere invece necessario, talora trascendere dalla semplice repertazione prelevando particelle organiche dal corpo di una persona, in particolare laddove si ritenesse