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Seppure nella pronuncia n. 30 del 1962 la Corte avesse sollecitato un intervento chiarificatore del legislatore, nessuna disposizione normativa era stata varata fino al 24 marzo 1986, quando la Consulta è tornata sull'argomento degli accertamenti personali coattivi con la sentenza n. 5489, in cui comincia ad interessarsi direttamente del

prelievo coattivo di materiale biologico.

In tale sentenza la Corte costituzionale si è pronunciata in modo 87 In questa sentenza il giudice delle leggi, sostituendosi al legislatore suggerisce una soluzione che viene definita prudentemente «non definitiva», proprio perché questa, ha cura di ribadire la Consulta, spetta al legislatore. L’eccezionalità di questo intervento della Consulta, che si risolve in una operazione di definizione delle fattispecie spettante al legislatore, è riconosciuta dalla stessa Corte. Essa si giustifica adducendo l’anteriorità della disposizione normativa in questione, rispetto all’entrata in vigore della Costituzione, e conseguentemente la necessità di armonizzarla quanto prima con il testo costituzionale.

88 In relazione al caso esaminato dalla Consulta, si tratta di una misura preventiva a carattere obbligatorio. Qui rileva l’art 23 Cost. che tutela la libertà individuale contro l’illegittima imposizione di divieti o di obblighi. Le misure obbligatorie sono tipicamente previste, con riguardo all’assunzione delle prove nel processo civile. In tal senso F. MASTROPAOLO, Prelievi del sangue e scopo probatorio e

poteri del giudice, in Riv. it. med. leg., 1987, p. 1084.

specifico sul tema dei poteri dispositivi e coercitivi del giudice penale rispetto alle modalità di assunzione della prova genetica90.

La suddetta sentenza è intervenuta stabilendo quali siano i confini entro cui il giudice possa legittimamente costringere taluno a sottoporsi ad ogni tipo di accertamento condotto sulla sua persona.

In particolare, la vicenda riguardava un imputato accusato di falsità nel riconoscimento della paternità naturale che si rifiutava di sottoporsi al prelievo ematico91 e, nello specifico, la questione di legittimità

costituzionale sollevata dal Giudice Istruttore del Tribunale di Torino, con ordinanza emessa il 10 ottobre 197892 in riferimento gli artt. 146,

314 e 317 del codice di procedura penale del 1930.

Il giudice a quo ne contestava la legittimità nella parte in cui conferivano al magistrato inquirente, senza la previsione di alcun limite, ampi poteri nella scelta dell’indagine peritale e l’uso della coazione fisica per l’esecuzione del prelievo ematico, in mancanza del consenso del soggetto passivo.

Il giudice istruttore del Tribunale di Torino sottolineava come l'ordinamento processuale non ponesse alcuna limitazione ai poteri dispositivi e coattivi del magistrato nella scelta dei mezzi investigativi, né all'uso della coazione fisica in caso di opposizione dell'imputato.

90 N. MAZZACUVA, G. PAPPALARDO, Prelievo ematico coattivo e accertamento

della verità: spunti problematici, cit., p. 165.

91 Si trattava di un procedimento penale per il delitto di alterazione di stato, previsto dall’art. 567 c.p. Infatti nel corso del procedimento, per accertare la paternità dell’imputato con il presunto figlio, era stata disposta perizia medico legale attraverso l’esame dei gruppi sanguigni. L'imputato all’udienza peritale, assistito dal difensore di fiducia, rifiutava di prestarsi al prelievo ematico e depositava memoria scritta con la quale, nell'ipotesi che il Giudice ritenesse comunque di insistere nel provvedimento, chiedeva che gli atti, sospeso il giudizio, fossero trasmessi presso la Corte costituzionale per l'esame della compatibilità degli articoli citati dell'allora vigente codice di procedura penale con gli artt. 13 e 24 Cost. Il Giudice sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale. Cfr. VIGONI, Corte Costituzionale, prelievo ematico coattivo e test del DNA, cit., p. 1027.

Nell’ordinanza di rinvio i parametri di legittimità costituzionale erano indicati nei commi 2 e 4 dell’art. 13 Cost.

La questione presentava più aspetti che è bene scindere per capire l’iter argomentativo seguito dalla Corte.

A) In primo luogo il giudice a quo evidenziava come le norme processuali in tema di perizia (artt. 314 e 317 c.p.p del 1930) non ponessero alcun limite in ordine al tipo di indagine peritale, violando importanti diritti sanciti dalla Costituzione, primi fra tutti il diritto all’integrità e all’incolumità fisica.

B) In secondo luogo si osservava che, dal combinato disposto degli artt. 146, 314, 317 c.p.p. del 1930, nessun limite era posto in ordine ai casi, alle modalità o strumenti con cui procedere agli accertamenti peritali in discussione. Da qui sorgevano i dubbi sulla legittimità costituzionale di tali disposizioni che consentivano una compressione della libertà personale senza il rispetto della riserva di legge di cui all’art. 13 comma 2 Cost.

C) Come ulteriore profilo di incostituzionalità, in relazione al comma 4 dell’art. 13 Cost, il giudice a quo evidenziava come l’esecuzione del prelievo ematico coattivo avrebbe comportato una violenza fisica93 a

causa della forzosa immobilizzazione della persona.

In ordine alla prima questione di incostituzionalità (punto A), la Corte costituzionale, dichiarandone l’infondatezza, evidenziava come non fosse esatto affermare che il giudice non incontrasse nessun limite nell’esercizio dei suoi poteri dispositivi e nella scelta dei mezzi necessari per l’attuazione dei suoi provvedimenti. La Consulta ribadiva che «l’ordinamento giuridico-processuale va letto nel contesto della 93 Si ricorda, inoltre, che il giudice a quo non mancava di richiamare l’attenzione sul fatto che la perizia può riguardare non solo l’imputato, ma anche persone estranee alla commissione dell’illecito per cui si è instaurato il processo. Aspetto quest’ultimo importante al fine di configurare una diversità di trattamento fra imputato e terzi in ordine alla loro soggezione a una perizia genetica.

Costituzione, con i limiti posti dai suoi principi fondamentali». Proprio per questo, il giudice, continuava la Corte, «non potrebbe disporre mezzi istruttori che mettano in pericolo la vita o l’incolumità o risultino lesivi della dignità della persona o invasivi dell’intimo della sua psiche, perché sarebbero in contrasto con la tutela dei diritti fondamentali ex art. 2 Cost., [né] potrebbe […] mediante i mezzi istruttori, mettere in pericolo la salute del periziando, perché violerebbe l’art 32 Cost.94».

La Corte non accoglieva la tesi del rimettente, giustificandone dunque il rigetto alla luce di un’interpretazione sistematica dei principi costituzionali: da questi sarebbero risultati implicitamente i limiti che il giudice avrebbe incontrato nell’esercizio dei suoi poteri coercitivi. Affermando che la disciplina processuale dei poteri dispositivi e coattivi del giudice penale deve essere letta nel contesto della Costituzione, con particolare riguardo ai limiti rappresentati dai principi fondamentali di quest’ultima, la Consulta ribadiva l’efficacia diretta delle norme costituzionali95.

In altri termini, il magistrato, nella scelta del tipo di indagine peritale, non avrebbe incontrato solo i limiti posti dalla legge processuale (art. 314 comma 2 c.p.p del 1930), ma anche i limiti derivanti dal rispetto delle disposizioni costituzionali ad efficacia diretta, come gli artt. 2 e 32 Cost. Per quanto riguarda la garanzia di una riserva di legge

94 Così Corte cost., sent. n. 54 del 1986, cit., p. 388.

95 Quando le norme costituzionali sono sufficientemente complete, esse sono idonee a regolare fattispecie concrete, in quanto fonte diretta di posizioni giuridiche soggettive; in virtù di ciò debbono essere applicate da tutti i soggetti dell’ordinamento: in tal senso G. ZAGREBELSKY, Il sistema della fonti, Torino, 1987, p. 105. Accanto a questa tesi vi è anche una diversa posizione secondo cui le norme costituzionali, in materia di diritti fondamentali, non contengono regole processuali immediatamente precettive, ma regole che possono essere solo parametri di legittimità della normativa processuale: C. MAINARDIS.,

L’inutilizzabilità processuale delle prove incostituzionali, in Quaderni cost., n. 2,

assoluta (secondo profilo di illegittimità costituzionale punto B), quale condizione formale richiesta dall’art. 13 comma 2 Cost. per le limitazioni della libertà personale, la Corte rigettava la questione con argomentazioni che generarono molte perplessità in dottrina96.

I giudici costituzionali, sebbene riconoscessero nel prelievo ematico coattivo una misura restrittiva della libertà personale, citando a sostegno delle loro argomentazioni la sentenza n. 30 del 1962, ritenevano rispettato il dettato dell’art. 13 comma 2 Cost.

La previsione dell'art. 13 Cost. comporta che qualsiasi restrizione della libertà personale (in questo caso il prelievo coattivo) sia ammessa solo in presenza di una disposizione che individui i casi ed i modi in cui questa possa avvenire, senza arrecare pregiudizio al periziando. Inoltre è necessario che tale restrizione sia disposta con un ordine motivato, che la giustifichi in quanto necessaria a garantire la realizzazione di esigenze prevalenti rispetto al diritto di libertà personale.

La Consulta ha ritenuto che l’art. 146 c.p.p (1930), relativo ai poteri coercitivi del magistrato, non fosse in contrasto con l’art.13 Cost. poiché, nel momento in cui il giudice obbliga l’imputato ad effettuare le indagini genetiche, egli non commette una violenza illecita sull’individuo, qualora rispetti i suddetti criteri97.

In particolare la Corte osservava che: «le ragioni relative alla giustizia 96 A. FERRARO, Il prelievo ematico coatto e la violenza “lecita”, in Cass. pen., 1986, pp. 870 e ss; P. PERLINGERI, Sulla coercibilità della perizia ematologica.

In margine alla sent. Corte cost. n. 54 del 1986 in Leg. e giust., 1988, pp. 388 e

ss; N. MAZZACUVA, G. PAPPALARDO, Prelievo ematico coattivo e

accertamento della verità: spunti problematici, cit., pp. 717 e ss; F.

MASTROPAOLO, Prelievi del sangue e scopo probatorio e poteri del giudice, cit., pp. 1110 e ss. G. FRIGO, La Consulta «salva» la libertà personale: il

legislatore intervenga subito senza ambiguità, in Guida dir., 1996, p. 66. Contra

invece, G.P. DOLSO, Libertà personale e prelievi ematici coattivi, cit., p. 3225; P. ZANGANI, Diritti della persona e prelievi biologici: aspetti medico-legali, cit., p. 543. F. TERRUSI, L’esame ematologico sul soggetto dissenziente tra esigenze

di giustizia e diritti di libertà, in Giur. di merito, 1993, pp. 852 e ss.

97 D. VIGONI, Corte Costituzionale, prelievo ematico coattivo e test del DNA, cit., p. 1029.

penale e all’accertamento della verità che la concerne, rientrano sicuramente tra i casi previsti dalla legge; e la perizia medico-legale è altrettanto certamente uno dei modi legittimi mediante i quali è lecito al giudice, previa congrua motivazione, attuare una qualsiasi restrizione della libertà personale», anche se «nei limiti ovviamente accennati98». Le perplessità della dottrina su questa motivazione erano

determinate dall’esigenza di determinatezza e certezza che deve, invece, caratterizzare le fattispecie limitative della libertà personale ex art. 13 Cost. Le argomentazioni della Corte non sembravano per nulla soddisfare questi requisiti di tecnica normativa, ammettendo con particolare larghezza la coercizione fisica nell’espletamento della prova. Esse offrivano, cioè, una tutela “debole” della libertà personale «definendo un’area vastissima di possibili compromissioni99»,

consegnate alla discrezionalità del giudice, di cui venivano fissati solo dei limiti negativi (limiti offerti dai principi di rango costituzionale). Non è certo possibile rimettere al giudice il bilanciamento degli interessi in gioco, ma è compito del legislatore provvedervi e al giudice spetterà adeguare l’applicazione della norma al caso concreto, valutando se sia ravvisabile un pericolo per la salute o l’integrità psichica del periziando. Venendo al prelievo ematico coattivo (punto C), la Corte sottolineava come questa attività fosse «ormai di ordinaria amministrazione nella pratica medica, talchè può essere persino effettuata da infermiere professionale», e come essa «non leda la dignità o la psiche […] né metta in pericolo la vita, l’incolumità o la salute della persona, salvo casi patologici eccezionali che il perito medico-legale sarebbe in grado di rilevare». Per questo motivo, il sospetto di incostituzionalità del prelievo ematico, in base al parametro 98 Secondo la Consulta sarebbe dunque rispettato il principio della riserva di legge. 99 Così G. FRIGO, La Consulta «salva» la libertà personale: il legislatore

indicato dal giudice a quo nel comma 4 dell’art. 13 Cost, era stato rigettato dalla Corte: «le violenze a cui allude il comma 4 sono quelle illecite […] e non le minime prestazioni personali imposte all’imputato o a terzi, da un normale e legittimo mezzo istruttorio».

Ne conseguiva che se gli accertamenti emogenetici non comportavano pregiudizio di sorta per l’esaminando, potevano essere disposti anche contro la volontà del periziando100.

In tale caso dunque, il prelievo coattivo rientrava tra i poteri legittimi del magistrato, essendo qualificabile come una «violenza lecita101»

consentita dal comma 4 dell’ art. 13 Cost.

In ordine a questa conclusione la medicina-legale aveva avanzato forti dubbi. Il prelievo ematico, come già evidenziato, è comunque una operazione lesiva dell’integrità fisica dell’individuo. Da un punto di vista strettamente giuridico, la Corte, confinando la lesività del prelievo ematico a dei casi patologici eccezionali che il perito medico- legale sarebbe stato in grado di segnalare facilmente al giudice, dimenticava il significato proprio dell’art. 32 comma 2 Cost. Il carattere pregnante di questa disposizione si risolve nel nesso essenziale che intercorre fra la soggettività individuale ed il concetto di salute102, un nesso scaturente dalla volontarietà a cui il Costituente ha 100Successivamente anche la giurisprudenza fece proprio questo modo di intendere la liceità di particolari accertamenti invasivi, cfr. con riferimento alla perizia radiologica coattiva, Cass., sez. I, 30 marzo 1989, Salvan, in Foro it., 1989, II, p. 665. La Corte di Cassazione, sulla base della sentenza n. 54 del 1986 della Corte costituzionale, riconobbe la legittimità dei poteri coattivi del magistrato solo nel caso in cui essi fossero esercitati senza pregiudizio per la vita delle persone sottoposte. La S.C. affermò che la perizia radiologica, effettuata contro la volontà dell’imputato, era comunque ammissibile poiché il rischio delle radiazioni era limitato in quanto effettuato da personale dotato delle necessarie cognizioni mediche e con l’ausilio di corrette tecnologie. Ne deriva che, se non sussiste pericolo alla salute del periziando per effetto della contaminazione con materiale radioattivo, tanto meno si può sostenere che il prelievo di una piccola quantità di sangue, indispensabile per effettuare le analisi genetiche, determini un pregiudizio in capo alla persona che lo subisce.

101Così Corte cost., sent. n. 54 del 1986, cit., p. 369.

subordinato ogni intervento medico.

Tuttavia la Consulta acconsentiva al fatto che l’imputato potesse essere costretto dall’autorità giudiziaria (sempre nei limiti dell’art. 13 Cost.) a sottoporsi agli accertamenti ematici solo qualora tali strumenti fossero stati indispensabili allo svolgimento delle indagini, quindi solo nel caso in cui non si fossero potuti raggiungere gli stessi risultati con l’ausilio di altri mezzi di prova, non coinvolgenti la libertà dell’individuo103.

Alla luce delle conclusioni a cui erano giunti i giudici costituzionali nella sentenza n. 54 del 1986, si può evidenziare come gli stessi abbiano risparmiato dalla censura di incostituzionalità alcune norme dell’allora vigente codice di procedura penale in tema di perizia. Nella pronuncia veniva considerata rispettata la duplice garanzia della riserva di legge e di giurisdizione. Erano stati considerati legittimi i prelievi coattivi disposti anche al di fuori dei casi previsti ex lege, purché fossero risultati indispensabili all’accertamento della verità e non avessero compromesso in alcun modo la salute del periziando. Una lettura più attenta dell’effettivo contenuto della libertà personale avrebbe forse indotto la Consulta a non risolvere in maniera così frettolosa la questione sottopostole. La Corte probabilmente non avrebbe considerato le “ragioni relative alla giustizia penale” come dei “casi” di restrizione della libertà personale sufficientemente determinati e avrebbe dichiarato l’incostituzionalità del prelievo ematico coattivo anche per la mancata indicazione delle precise modalità d’esecuzione dello stesso, visti i valori costituzionali in gioco. Come si evince dalla pronuncia in esame, rispetto alla precedente

penale. Profili problematici del diritto all'autodeterminazione, Padova, 2000, pp.

23 - 24.

103D. VIGONI, Corte Costituzionale, prelievo ematico coattivo e test del DNA, cit., p. 1028.

decisione del 1962, il prelievo ematico non veniva annoverato tra gli atti limitativi della libertà, ma anzi, veniva considerato come perizia medico-legale di ordinaria amministrazione, da effettuarsi anche nel caso in cui l'imputato fosse stato dissenziente.

Considerando il prelievo ematico come atto di ordinaria amministrazione, non lesivo della salute né della libertà della persona, i giudici costituzionali avevano dimenticano l'invasività intrinseca del prelievo ematico.

La pronuncia n. 54 del 1986 risultava dunque nettamente diversa rispetto alla precedente sentenza (n. 30/1962), che invece avrebbe ben considerato anche il prelievo ematico come accertamento lesivo della libertà, in quanto invasivo.

I giudici costituzionali avevano adottato una soluzione ispirata al favor

veritatis più che al favor libertatis, laddove avevano ritenuto che ad

integrare la garanzia della riserva di legge e di giurisdizione, fossero sufficienti, rispettivamente, le esigenze dell'istruttoria e la funzione di garante dell'organo giurisdizionale104.

In definitiva, la Corte aveva sancito la superiorità delle esigenze processuali rispetto alla libertà del soggetto, che poteva essere coercibile nel momento in cui si fosse dovuta accertare la verità.

Sembra opportuno sottolineare come la giurisprudenza, anche dopo la riforma del codice di procedura penale (1989), abbia accolto con favore le statuizioni della sentenza n. 54 del 1986 della Corte costituzionale. Ad esempio, il Tribunale di Piacenza105, nel 1991, aveva

riconosciuto il potere del giudice di ordinare l’accompagnamento coattivo dell’imputato per eseguire una ricognizione di persona (artt. 213 e ss. c.p.p.), nonché il potere di abbassare, attraverso l’uso della 104V. MARCHESE, D. RODRIGUEZ, L. CAENAZZO, Banche dati forensi.

Riflessioni etico – giuridiche alla luce della legge 85/2009, cit., p. 29.

forza, le mani del periziando, impedendogli di coprirsi il viso e di rendere impossibile l’accertamento, in quanto una siffatta situazione non determinava una violazione del diritto alla libertà personale. La tutela della stessa era comunque garantita, poiché l’esercizio di questo potere avveniva nell’osservanza dei requisiti sanciti dalla pronuncia della Corte costituzionale. Dello stesso avviso era stato, nel 1992, anche il Tribunale di Trapani106, il quale, partendo dal presupposto che

obbligo generale dei cittadini è quello di collaborare con la giustizia nell’accertamento della verità oggettiva e che l’ordinamento giudiziario è legittimato a ricorrere ad ogni strumento utile (ad esempio il test del DNA) per perseguire quest’ultima, sempre nei limiti e nel rispetto dei valori fondamentali garantiti dalla Costituzione, aveva ritenuto che questi potessero subire delle restrizioni nei casi e nei modi stabiliti dalla legge ed al solo fine di realizzare interessi prevalenti.

Nel 1991 la Corte di Cassazione aveva approfondito ulteriormente il problema del prelievo coattivo e, a differenza dell’orientamento fino ad allora emerso, nonostante i requisiti della riserva di legge e di giurisdizione, della incolumità per la vita e la salute del periziando, aveva negato il ricorso a tale metodo ritenendolo, nella fattispecie, privo di significato e utilità, adducendo motivazioni che si rifacevano a contingenti esigenze di tutela di un minore107.

106Trib. Trapani, 17 novembre 1992, in Arch. nuova proc. pen., 1993, p. 108. 107 Cass., sez. III, 4 marzo 1991, in Cass. pen., 1993, p. 1783. La Cassazione era

stata chiamata a decidere se fosse legittimo costringere un bambino, frutto di una violenza sessuale subita dalla madre e in seguito adottato, a sottoporsi agli esami ematologici contro la volontà dei genitori adottivi per ricostruire il suo naturale vincolo genetico. La situazione, nella fattispecie, era particolarmente complessa visto che erano in gioco valori umani e personali molto delicati. Infatti nonostante i requisiti della riserva di legge e di giurisdizione, e pur in assenza di pericolo per la vita e la salute del periziando, la Cassazione preferì non riconoscere il potere del giudice di ordinare il prelievo coattivo, per il fatto che esso, in questo caso, era privo di significato e di utilità, avendo il minore acquisito un nome, una vita ed una nuova famiglia, senza che fosse opportuno e

Questo seppur iniziale mutamento di orientamento ha dato lo spunto per rilevare come la sentenza n. 54 del 1986 presentasse alcuni punti di debolezza: questi furono individuati, in particolare, nel riferimento operato ai limiti costituzionali impliciti ricavabili dagli artt. 2 e 32 Cost.108; in considerazione di tali punti è stato spiegato il mutato

orientamento della Corte costituzionale in tema di prelievi biologici coattivi, avvenuto dopo dieci anni, con la sentenza n. 238 del 1996, con la quale la Corte ha puntualizzato e per certi versi forse addirittura ribaltato la sua posizione, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 224 comma 2 c.p.p.

2.4 La portata della sentenza costituzionale n. 238 del