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Un altro degli aspetti che ha generato più controversie e perplessità nel dibattito parlamentare e che ha immediatamente suscitato critiche in dottrina è la possibilità che l'intervento corporale sia effettuato anche su soggetti non imputati o indagati.

La norma è infatti costruita attorno alla figura della «persona da sottoporre all'esame del perito», senza che abbia alcun rilievo chi sia questa persona, cosa abbia fatto, a quale titolo sia coinvolta nel procedimento.

L'art. 224 bis c.p.p. non limita dunque lo svolgimento della perizia in questione solo alla persona indagata o imputata di un reato che rientri

372 Osservazioni di C. CONTI, Scienza e processo penale. Nuove frontiere e vecchi

tra quelli indicati, bensì ne consente l'esecuzione coattiva su chiunque.373 Il fatto che la norma indichi accanto all'imputato,

l'«interessato», evidenzia chiaramente come il prelievo possa riguardare anche soggetti terzi che non hanno la veste di indagati o imputati374.

Tra i c.d. terzi si devono considerare sia la persona offesa che può essere ben motivata a collaborare con gli organismi di polizia, sia coloro i quali desiderino collaborare al fine di far emergere la loro estraneità dal crimine375.

Perfino i minorenni sembrano rientrare tra i soggetti passivi del prelievo coattivo, stante la generica e vaga espressione di «persone viventi» di cui all'art. 224 bis comma 1 c.p.p. L'art. 72 bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale richiama esplicitamente al comma 3 «le disposizioni di cui agli articoli 224 bis e 359 bis c.p.p.» estendendo di fatto la pratica del prelievo coattivo di campioni biologici o degli accertamenti medici coattivi, anche ai minori, agli incapaci o agli interdetti per infermità di mente.

Come evidenzia la dottrina, però, pur al cospetto di una categoria di soggetti, i minori, che richiede l'adozione di particolari cautele e sensibilità, nel dettato normativo non vi è traccia di apposite modalità esecutive da utilizzare in considerazione della peculiarità del minore

373 Critiche riguardo a questa omologazione, che tratta in modo identico il sospettato e il terzo, erano già state mosse dal giudice remittente nella causa che ha poi portato alla pronuncia n. 238 del 1996 della Corte costituzionale, il quale denunciava l'allora vigente art. 224 c.p.p. per violazione «del principio di parità di trattamento, per il carattere indiscriminato ed indistinto dell'assoggettamento al prelievo coattivo di qualsiasi indagato ed anche di persone estranee ai fatti». Purtroppo, su questo aspetto la Corte decise poi di non prendere diretta posizione, ritenendo che la questione fosse assorbita dalle (diverse) ragioni di accoglimento della questione di costituzionalità (Cfr. cap. 2, par. 2.4).

374 A. SANTOSUOSSO, G. GENNARI, Il prelievo coattivo di campioni biologici e

i terzi, cit., pp. 305 e ss.

375 Così P. FELICIONI, L'Italia aderisce al trattato di Prüm: disciplinata

rispetto a quelle dell'adulto; inoltre, il criterio della «reclusione superiore nel massimo ai tre anni» (di cui all'art. 224 bis comma 1 c.p.p.) per procedere al prelievo coattivo o all'accertamento medico coattivo è comune sia all'adulto che al minore, non essendo previste distinzioni o specificazioni in ragione dell'età376.

Alla luce del coinvolgimento di persone estranee alla vicenda processuale, le cui esigenze di tutela, per alcune, sono particolarmente sentite (si pensi agli incapaci e ai minori di età) e della conseguente lesione della privacy del terzo, il tema merita un'attenta riflessione. In primis occorre chiedersi quando sia necessario ottenere il contributo biologico o effettuare un accertamento medico su un terzo non indagato o imputato.

Il pensiero corre prevalentemente alla persona offesa che, peraltro, dovrebbe essere disposta a collaborare e al terzo il quale potrebbe comunque avere tutto l'interesse a fornire un campione biologico o ad essere sottoposto ad un accertamento medico al fine di escludere il prima possibile ogni suo coinvolgimento nel reato (magari perché risulta non essere mai stato sul luogo del crimine).

Riguardo al coinvolgimento di terzi estranei alle indagini, giova osservare che l'art. 224 bis c.p.p.377, consentendo i prelievi coattivi sui

suddetti, sembrerebbe ammettere la pratica dello screening genetico di massa378, che consente di sfruttare le familiarità genetiche379 per

circoscrivere il campo delle indagini o per indirizzarle.

L'unica condizione posta dal legislatore per effettuare prelievi è che il

376 C. GABRIELLI, Interventi sui minori senza modalità specifiche, in Guida dir., 2009, n. 30, pp. 75 e ss.

377 Occorre sottolineare che, anche nei paesi che da maggior tempo sfruttano l'indagine genetica, quali i paesi di Common law come Regno Unito e Stati Uniti, il prelievo di campioni a terzi, presuppone il consenso esplicito del donante. 378 Tale pratica consiste nella profilazione di tutti gli appartenenti ad un determinato

gruppo sociale o territoriale, al fine di individuare il possibile autore di un reato. 379 G. GENNARI, Identità genetica e diritti della persona, cit., pp. 626 e ss.

prelievo o l'accertamento coattivo sia «assolutamente indispensabile per la prova dei fatti».

E' stato già precedentemente precisato che l'espressione «assolutamente indispensabile» per provare il fatto porta a delineare il prelievo forzoso come legittimo solo quando non esistono a disposizione dell'autorità giudiziaria alternative modalità di acquisizione del materiale biologico, purché non contrastanti con i diritti fondamentali dell'individuo.

Risulterebbe forse assolutamente indispensabile per provare il fatto, quando si vacilla nel buio più totale delle indagini, sottoporre al test del DNA gli abitanti della zona in cui è avvenuto un determinato delitto o i frequentatori di un certo locale380: i profili di DNA tipizzati,

infatti, potrebbero mettere in luce affinità genetiche con i reperti raccolti dagli inquirenti e quindi offrire un utile strumento di indagine. Questo risulta possibile perché il DNA, non solo consente di individuare un profilo appartenente ad un unico individuo, ma anche di mettere in luce le affinità genetiche con altri profili di cui si abbia la disponibilità.

Ricerche cosiddette casuali, cioè tra un numero più o meno ampio di

380 Si può citare a questo proposito lo screening genetico di massa effettuato nell'ambito delle indagini per l'omicidio di Yara Gambirasio, avvenuto nel Novembre 2010, e che ha visto il coinvolgimento di quasi 18.000 persone. Il punto di partenza era costituito dalle tracce biologiche repertate sugli indumenti della vittima che avevano individuato il profilo genetico del potenziale assassino, ribattezzato «ignoto 1». Gli oltre 18.000 campioni genetici prelevati e un lavoro paziente di analisi e di incroci, ha permesso alle indagini di concentrarsi su una precisa cerchia familiare e di giungere a Giuseppe Guerinoni, autista di Gorno, morto nel 1999: da un francobollo venne estratto il suo DNA, che risultò compatibile al 99,99999927% con quello dell'uomo ricercato per l'omicidio. E' quello che è accaduto anche nell'omicidio Fronthaler, avvenuto in una frazione di Dobbiaco nel 2002, dove il DNA rinvenuto sulla vittima è stato comparato con il DNA ottenuto dagli abitanti di sesso maschile del luogo, con il consenso degli stessi. L'autore dell'omicidio, che non si era sottoposto al prelievo, è stato identificato tramite il DNA del padre, proprio grazie alle affinità genetiche (La descrizione di quest'ultimo caso è trattata da G. GENNARI, Identità genetica e

individui, possono infatti portare all'identificazione dell'autore di un delitto qualora si riescano a trovare delle corrispondenze, anche solo parziali, tra il DNA presente sulla scena del crimine e quello di uno dei soggetti esaminati. Sembra quanto mai ovvio che, più campioni si raccolgono, più alta è la probabilità di esito positivo del match.

In questo modo risulta possibile individuare a chi appartenga un determinato profilo genetico, anche non comparando quello del diretto interessato, ma di un parente.

Gli screening genetici di massa o DNA dragnets sono una tecnica di indagine ampiamente nota e da tempo praticata in numerosi Paesi, seppur con margini di successo non sempre particolarmente elevati381.

Non si può nascondere, però, che mediante la tecnica degli screening di massa, si sfrutterebbe una caratteristica dell'indagine genetica che anche una pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo382 ha

ritenuto fondamentale per stabilire l'interferenza della detenzione dei profili genetici con la tutela del diritto alla vita privata.

Peraltro, il concetto di indispensabilità per la prova dei fatti, che si è visto essere la condizione posta dal legislatore italiano383 perché il 381 In Inghilterra, dal 1995 al 2005, il Forensic Science Service ha condotto ben 292

screening di massa, esaminando complessivamente 80.000 campioni biologici.

Solo in 61 casi (e cioè circa il 20%) lo screening ha fornito risultati utili per le indagini. Negli Stati Uniti il più vasto mass screening è stato condotto a Miami nel 1994 ed ha coinvolto 2.300 persone. I risultati americani, tuttavia, sono ancora meno esaltanti. Su 18 indagini pubblicizzate, solo un caso è stato risolto grazie ad esso e riguardava solamente 25 impiegati di una nursing home (Time

magazine n. 2, anno 2005).

382 Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 4 dicembre 2008, S. e Marper c. Regno

Unito. Tale sentenza sarà oggetto di autonoma trattazione nel prosieguo per le

ripercussioni che inevitabilmente provoca sulla disciplina introdotta dalla l. 85/2009, soprattutto con riferimento al trattamento dei dati genetici (cfr. cap. 5 par. 5.3).

383 A differenza dell'apertura mostrata dall'ordinamento italiano sul punto, la legislazione inglese, nella sua successiva stratificazione realizzatasi con il

Criminal Justice and Public Order Act del 1994 (CJPOA), Criminal Justice & Police Act del 2001 (CJPA) e il Criminal Justice Act del 2003 (CJA), pur

allargando costantemente i presupposti per il prelievo coattivo di materiale biologico “non intimo” (tale è considerato il tampone salivare), ha sempre

prelievo coattivo possa essere indirizzato verso una persona non indagata, non è un limite capace di assicurare un uso corretto, e tendenzialmente restrittivo, dello strumento.

Permangono dunque ancora dubbi sulla ammissibilità della pratica dello screening genetico di massa. La tecnica può essere efficace, ma è evidente che comporta programmaticamente il coinvolgimento di un elevatissimo numero di persone estranee al reato, e la raccolta di innumerevoli informazioni genetiche non pertinenti.

Altro problema cui si deve fare almeno un cenno è dato dalla pratica della c.d. familiar searching, cioè dell'indagine genetica condotta a carico di un individuo valendosi di materiale biologico proveniente dai suoi più stretti congiunti384.

I terzi possono infatti essere coinvolti nelle c.d. “indagini indirette”, caratterizzate dal fatto che non si dispone, a fronte di una traccia biologica di origine ignota, di un individuo sospetto del quale si abbia il profilo genetico: in tali situazioni è utile acquisire il materiale organico proveniente dai suoi parenti rispetto ai quali il legame biologico è certo.

Data la condivisione del dato genetico all'interno di un medesimo gruppo familiare o biologico, si pone un problema di utilizzo dei dati di un familiare che però, di fatto, non si è mai volontariamente sottolineato la necessità della sussistenza di elementi per sospettare il coinvolgimento della persona in un reato. Dal 2001, il Parlamento inglese ha disciplinato espressamente i diritti del cittadino in caso di ricerche di massa, imponendo agli investigatori di acquisire in forma scritta ed informata il consenso della persona alla quale si chiede di fornire un suo reperto biologico utile per le investigazioni.

384 Una variante già sperimentata in Inghilterra, consiste nel perlustrare le banche dati con un numero ristretto di marcatori, in modo da aumentare le possibilità di riscontro positivo. Se anche il profilo dell’individuo ricercato non è presente, può essere individuato un suo parente, il che, con l’ausilio di mezzi diversi di indagine, può comunque condurre ad una rapida identificazione. Il problema è che risulta del tutto inutile selezionare gli inserimenti in base a criteri di pertinenza e pericolosità quando poi l’inserimento di un individuo finisce per determinare la presenza “virtuale” di tutti i suoi congiunti.

sottoposto al prelievo del DNA. Il terzo non estraneo viene così, inconsapevolmente coinvolto nelle indagini sfruttando l'informazione genetica offerta da un suo familiare che ne condivide il corredo genetico.

In un'epoca successiva alla sentenza n. 238 del 1996, ed antecedente alla legge n. 85 del 2009, suscitava forte perplessità la contraddizione insita nel riconoscere all’indagato il diritto a rifiutare il prelievo, e però la possibilità che il materiale genetico fosse rilasciato da un parente. Tuttavia anche il parente non poteva essere costretto al prelievo, e dunque vi era qualche assimilazione del contesto in esame a quello dell’esame diretto di reperti abbandonati dall’imputato.

In epoca nella quale il prelievo coattivo è consentito, i termini della questione sono mutati. In assenza dell’indagato (ad esempio per latitanza), l’inquirente può essere indotto ad un atto di forza nei confronti di un parente dell’interessato. Difatti, anche se il consanguineo potrebbe avere tutto l'interesse a collaborare, non è comunque esclusa l'eventualità, seppur remota, della mancanza di consenso385.

Ma è tollerabile una disciplina che costringa ad un atteggiamento informativo il prossimo congiunto, sebbene a questi sia riconosciuto il diritto di astenersi dal fornire dichiarazioni o testimonianza nei confronti dell’indagato (artt. 351, 362, 199 c.p.p.)?

Prevale in dottrina una conclusione negativa386, censurando la 385 A. D'AMATO, La banca dati nazionale del DNA e le modifiche al codice di

procedura in tema di prelievi coattivi di materiale biologico a fini di prova, in Critica pen., 2009, p. 221 evidenzia come il consanguineo potrebbe non voler

fornire il materiale biologico per timore di essere individuato come responsabile di un reato in seguito ad una comparazione tra il suo profilo genetico e quello tratto da reperti: sarebbe stato opportuno, secondo l'autore, prevedere espressamente l'esclusione di un tale confronto.

386 V. SELLAROLI, Analisi del DNA e processo: in quale senso è una novità?, in M.CHIAVARIO (a cura di) Nuove tecnologie e processo penale. Giustizia e

possibilità di pervenire in tal modo ad un vero e proprio screening di massa, coinvolgendo cioè un numero elevatissimo di individui. In senso contrario potrebbe osservarsi che la stessa limitazione del privilegio contro l’autoincriminazione si riproduce per lo stesso imputato, al quale si riconosce la libertà morale di mentire o di tacere a proposito della propria responsabilità, ma non quella di sottrarsi all’uso del suo stesso corpo per la ricerca delle prove a suo carico.

Tra l'altro, una parte della dottrina387 obietta che, in un'ottica di

raffronto tra i contrapposti interessi in gioco, il sacrificio così imposto agli interessati, peraltro di entità assai ridotta388, risulta ampiamente

controbilanciato dai risultati potenzialmente ricavabili facendo ricorso a detto prelievo389.

L'utilità di tale tipo di indagine è evidente: basti pensare al caso concreto di un sospetto che sia latitante, ovvero alla necessità di identificare una persona rapita qualora in un determinato luogo siano state repertate tracce che potrebbero appartenere alla vittima della quale non si ha, ovviamente, il profilo genetico. Ancora, si può pensare alla necessità di identificare un soggetto irreperibile (e dal profilo genetico sconosciuto) al quale abbia senso ricondurre una traccia biologica lasciata durante un crimine, ricorrendo alla tipizzazione del DNA del fratello390.

perplessità in ordine allo screening di massa, qualora effettuato in assenza di consenso da parte degli interessati.

387 Cfr. P. RIVELLO, La perizia in P. FERRUA, E. MARZADURI, G. SPANGHER (a cura di), La prova penale, Torino, 2013, p. 453.

388 Così evidenzia G. GENNARI, La istituzione della banca dati del DNA ad uso

forense: dalla privacy alla sicurezza in A. SCARCELLA (a cura di), Prelievo del DNA e banca dati nazionale, cit. p. 47, secondo cui: «il prelievo di materiale

biologico avviene routinariamente con un tampone salivare la cui capacità intrusiva è veramente minima».

389 Così ritiene P. FELICIONI, L'acquisizione di materiale biologico a fini

identificativi o di ricostruzione del fatto, cit. p. 221.

390 Esemplare la vicenda sulla cattura del boss Bernardo Provenzano nella quale si inserisce l'esame del DNA su alcuni campioni di tessuto appartenenti ad un certo Gaspare Troia operato alla prostata nel 2002 in un ospedale di Marsiglia. In

Peraltro, in considerazione del minimo sacrificio della libertà personale in cui si concretizza il prelievo di peli o capelli391, a prescindere dalla

qualifica di chi lo subisce, e l'interesse che il terzo o la persona offesa possano avere a collaborare, una parte della dottrina392 ha rilevato che

non sembrerebbe necessario prevedere requisiti più rigorosi e distinti rispetto al prelievo dall'imputato. Inoltre, si ricorda che, sul piano sistematico, non sono previsti presupposti differenziati con riferimento al soggetto passivo, indagato o terzo, sottoponibile a ispezione o perquisizione. Peraltro giova sottolineare che nella prassi, la maggior parte dei terzi, volendo contribuire alla scoperta del colpevole, consente di buon grado al prelievo393.

Sembrerebbe rimanere problematico, invece, il caso del terzo legato da vincoli di parentela con il responsabile del reato non ancora identificato. Si profilerebbe, infatti, una similitudine tra la posizione processuale di tale soggetto (c.d. testimone genetico) e il testimone che offre un contributo conoscitivo tramite dichiarazioni394.

Alcuni autori395 ritengono che l'obbligo di collaborare, riconducibile al

dovere di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost., sussista in entrambi i

realtà si trattava di Provenzano che fu smascherato confrontando il DNA estratto dal reperto e quello tipizzato dal sangue del fratello del boss, conservato all'ospedale di Palermo dove l'uomo aveva subito un intervento chirurgico. Cfr. sul punto P. FELICIONI, L'acquisizione di materiale biologico a fini

identificativi o di ricostruzione del fatto, cit. pp. 221 e ss.

391 Così P. FELICIONI, L'Italia aderisce al Trattato di Prüm: disciplinata

l'acquisizione e l'utilizzazione probatoria dei profili genetici, cit., p. 18.

392 P. FELICIONI, Acquisizione di materiale biologico a fini identificativi o di

ricostruzione del fatto, in A. SCARCELLA, Prelievo del DNA e banca dati nazionale. Il processo penale tra accertamento del fatto e cooperazione internazionale (legge 30 giugno 2009 n. 85) cit., pp. 222 – 223.

393 V. nota n. 381 con riferimento al caso di Dobbiaco dove si ebbe la collaborazione degli abitanti maschi che offrirono spontaneamente campioni di saliva per facilitare le indagini.

394 Così A. SANTUOSSO, G. GENNARI, Il prelievo coattivo di campioni biologici

e i terzi, cit., p. 399.

395 Cfr. P. FELICIONI, L'acquisizione di materiale biologico a fini identificativi o di

casi. Secondo questa impostazione occorrerebbe semmai stabilire il rilievo del sentimento di solidarietà familiare derivante dal legame parentale, nel caso del testimone genetico, dato che esso trova espressa tutela nell'art. 199 c.p.p. Secondo parte della dottrina, il prelievo dal terzo consanguineo dovrebbe essere eseguito solo su consenso396.

Come garanzia per i minori e per gli incapaci o interdetti, il legislatore ha previsto l'integrazione della volontà attraverso il consenso prestato dal genitore o dal tutore ovvero da un curatore speciale in caso di mancanza, irreperibilità di tali soggetti o conflitto di interessi con il periziando. Quale ulteriore garanzia è prevista la facoltà di tali persone di assistere alle operazioni.

I rilievi critici che sono stati mossi riguardano la disciplina della coazione sul minorenne sono relativi al contrasto con la linea di tendenza del codice di rito minorile che, in materia di arresto, fermo e custodia cautelare, riduce in ragione dell'età l'ambito applicativo dei relativi istituti disciplinati dal codice di procedura penale e all'assenza di specifiche modalità per l'esecuzione delle operazioni397.