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4. Azione e inazione nelle drammaturgie di Racine e di Beckett

4.3 Inazione

4.3.2 Inazione e spazio scenico

La mancanza d’azione nella tragedia classica dipende dal principio di unità d’azione così come dal limite dell’unità di spazio che costringe la rappresentazione in un unico luogo; l’immutabilità dello spazio scenico coinvolge ed influenza l’immobilità dell’azione al suo interno, costringendo i personaggi in scena a descrivere ciò che avviene all’esterno.

Barthes, nella sua opera Sur Racine, indaga l’organizzazione dello spazio scenico all’interno delle tragedie raciniane, individuando tre luoghi tragici: la chambre, definita come il luogo invisibile e minaccioso “où la Puissance est tapie”182

e che intimidisce i personaggi in quanto luogo del potere; l’Anti-chambre, lo spazio scenico che diventa eterno in quanto luogo dell’attesa dei personaggi, il “milieu de transmission”183

che mette in comunicazione lo spazio del potere (la chambre) e quello esterno dell’azione e nel quale l’uomo tragico “parle ses raisons”184

. Il terzo spazio, invece, è quello esterno – chiamato Extérieur dall’autore – temibile quanto la chambre poiché luogo dell’azione. L’Extérieur , infatti, contiene a sua volta tre spazi: “celui de la morte, celui de la fuite, celui de l’Evénement”.185

La morte fisica, in particolare, non può essere rappresentata all’interno dello spazio scenico, in quanto, “elle ne relève plus de l’ordre du langage, qui est le seul ordre tragique: dans la tragédie, on ne meurt jamais, parce qu’on parle toujours”186

. Lo spazio esterno individua il luogo nel quale “vont et viennent ce peuple de confidents, de domestiques, de messagers, de matrones et de gardes, chargé de nourrir la tragédie en événements”187, è il luogo dal quale provengono le notizie e i racconti che permettono all’intreccio di procedere e di svilupparsi.

181A. Cascetta, Il tragico e l’umorismo: studio sulla drammaturgia di Samuel Beckett, Le lettere, Firenze, 2000, p. 18.

182

R. Barthes, Sur Racine, Editions du Seuil, Paris, 1963, p. 15.

183 Ibid., p. 16. 184 Ivi. 185 Ibid., p. 17. 186 Ibid., p. 18. 187 Ibid., p. 19.

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Applicando questa distinzione a Britannicus è possibile riconoscere la stanza di Néron come la chambre dalla quale sono esclusi gli altri personaggi come la madre Agrippine che, non potendo entrare, attende il figlio nell’antichambre; il palcoscenico nel quale vengono mostrati i dialoghi dei personaggi e l’Extérieur, lo spazio esterno dove avviene, ad esempio, il rapimento di Junie. Pertanto si può notare come i personaggi siano al sicuro solamente all’interno dello spazio dell’antichambre e come, invece, siano esposti ai pericoli e alle insidie della realtà una volta usciti da questo luogo: “sortir de la scène, […] c’est mourir”188. All’esterno i personaggi non sono, cioè, più protetti dallo spazio tragico dell’antichambre, nel quale nulla succede che esuli dall’attesa. Barthes, infatti, definisce l’eroe tragico proprio in questi termini, riferendosi a lui come ad un uomo che è “enfermé, celui qui ne peut sortir sans mourir: sa limite est son privilège, la captivité sa distinction”.189

Ed è esattamente per questo motivo che, come sostenevano i romantici, sembra che nulla succeda: perché gli spettatori sono esclusi dai grandi eventi.

Nonostante Barthes si riferisca specificatamente a Racine, la definizione di eroe tragico, così come l’analisi della contrapposizione tra spazio interno ed esterno, può essere applicata anche alle tragicommedie di Beckett. L’esempio più evidente è quello di Fin de

partie, dove si ravvisa una netta separazione tra lo spazio della casa-bunker di Hamm e quello

esterno dove, al contrario dei drammi raciniani, non solo non avviene nulla, ma sembra non esistere più niente e nessuno: l’esterno, quindi, è il luogo di morte e desolazione:

Hamm: […] Tout est…tout est…tout est quoi? (Avec violence.) Tout est quoi?

Clov: Ce que tout est? En un mot? C’est ça que tu veux savoir? Une seconde. (Il braque

la lunette sur le dehors, regarde, baisse la lunette, se tourne vers Hamm.) Mortibus.

Quando Clov sembra scorgere un ragazzo all’esterno, la reazione di Hamm è piuttosto chiara: “s’il existe il viendra ici ou il mourra là”. Quindi anche se non è più luogo d’Evénement, rimane luogo di mort e di fuite.

Inoltre in quest’opera è presente anche lo spazio della Chambre che si può identificare come la cucina, alla quale solo Clov può accedere e che rimane un luogo oscuro per Hamm, che ne viene escluso. Come Néron è colui al quale è permesso muoversi liberamente tra

antichambre e chambre, così, sebbene Hamm pensi di essere lui a detenere il potere, è Clov

quello libero di muoversi e di entrare nella chambre, nonché il personaggio che meno dipende

188

Ivi.

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dagli altri. Anche la definizione di eroe tragico come di colui che è “intrappolato” e al sicuro nello spazio scenico, in quanto l’evasione di questo spazio significherebbe morire, sembra individuare la posizione di Clov per il quale, come hanno sostenuto e notato diversi critici, l’uscita di scena e dall’abitazione coinciderebbe con un suicidio; egli, infatti, non potrebbe continuare ad esistere al di fuori. Quest’esterno vuoto, desolato, deserto, peraltro, è riscontrabile anche in Andromaque, che “se déroule dans une ville déjà morte, une ville fantôme”.190

Il confine tra spazio interno ed esterno, diventa liminalità tra “noto e ignoto, vita

e morte”191

.

Biet et Triau considerano l’antichambre e la chambre come un unico luogo che definiscono “espace dramatique” e che include lo spazio proprio della finzione, cioè la scena nella quale si trovano i personaggi, e il fuori scena, considerata un’ “extention non visible” del primo.192 Mentre anche per questi autori lo spazio esterno rimane un luogo pieno di interesse, si può osservare come questo sia il luogo proprio della tragedia in contrapposizione con il luogo-scena del racconto della stessa; essi definiscono l’Extérieur come segue:

Le hors-scène, du point de vue de la fiction et de l’illusion sera donc ce qui est relaté par le discours et qui prend son origine dans la bouche, dans le corps des acteurs, dans la voix des comédiens transformés en personnages, qui crée un imaginaire en continuité avec la fiction représentée et avec l’illusion193

.

L’antichambre è un luogo statico, ma, in quanto luogo dello spettacolo offerto al pubblico, deve ospitare sempre qualche attore e non rimanere mai vuoto, se non al termine di un atto per indicarne la conclusione; D’Aubignac dichiara che “davantage le Theatre ne devroit jamais estre vide ni jamais les Acteurs ne devroient disparoistre”.194

Mentre Racine rispetta appieno questa regola, si può dire che Beckett la metta in pratica solo in parte: pur non lasciando mai la scena completamente vuota, sfida questa ammonizione facendo “sparire” l’attore. In

Dernière Bande, sfruttando un gioco di luci per il quale vi è solo un punto veramente

illuminato sulla scena, a Krapp è permesso uscire dalla zona illuminata del palcoscenico, per “nascondersi” nella zona in ombra. Benché rimanga all’interno dello spazio dell’antichambre, Krapp non è più visibile dal pubblico; c’è e non c’è allo stesso tempo, tanto che, benché non

190

M. Gutwirth, op. cit., p. 49.

191 A. Cascetta, Il tragico e l’umorismo, cit., p. 22.

192

C. Biet, C. Triau, op. cit., p. 78.

193

Ibid., p. 207.

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lo si veda, si avverte la presenza attraverso i rumori che si odono come il tintinnio di bicchieri e bottiglie. Ancora una volta, Beckett sovverte le direttive del teatro classico, portandole al limite dell’accettabile.

Un’altra ammonizione importante di D’Aubignac è che i personaggi “ne doivent point venir sur le lieu de la Scène sans raison”, a maggior ragione, quindi, viene da chiedersi quale sia il senso dei personaggi di Beckett, visto che sembra che il sipario si sia aperto su uno scorcio sbagliato, o meglio, non è chiaro il perché i personaggi di Beckett effettivamente occupino il proscenio; tant’è che nell’evoluzione drammatica dell’autore, il personaggio si fa sempre meno rilevante fino a ridursi ad una semplice Bocca in Pas moi. Eppure non si può affermare che nei drammi beckettiani manchi completamente uno scopo, una giustificazione alla rappresentazione e, di conseguenza, una ragione che motivi la presenza dei personaggi sul palcoscenico: le sue opere sono, infatti, finalizzata alla riproduzione dell’esistenza come attesa della fine, e quindi proprio nel non-sviluppo dell’azione risiede – e da lì emerge – lo scopo della rappresentazione.

L’inazione, quindi, risulta legata all’organizzazione dello spazio scenico nella misura in cui si instaura una netta contrapposizione tra lo spazio esterno e lo spazio interno, dove lo spazio interno è in qualche modo un luogo sicuro, dove i personaggi non possono morire né perire, mentre lo spazio esterno è il luogo dell’ignoto, dell’avvenimento anche come morte del protagonista. Questo è particolarmente evidente in Beckett, in quanto rappresenta tutti i suoi personaggi nella fase finale della loro vita e, quindi, costretti a perire inevitabilmente una volta usciti all’extérieur.

Tuttavia l’inazione in Beckett è legata allo spazio scenico anche in relazione ad un altro fattore fondamentale che riguarda il come i protagonisti occupano e possono muoversi all’interno della scena. L’infermità nella quale si trova la maggior parte dei personaggi beckettiani, infatti, riduce sensibilmente il loro potersi muovere: Hamm è cieco e costretto alla sedia a rotelle, se non ci fosse Clov sarebbe condannato all’immobilità totale. Anche Clov ha difficoltà motorie che non gli consentono, ad esempio, di compiere un’azione elementare come quella di sedersi e Nagg e Nell sono costretti in bidoni. Ma sarà soprattutto Winnie – come si vedrà nel prossimo capitolo – a diventare emblema della non-azione causata dall’infermità fisica. Tutti i personaggi hanno qualche disturbo, si pensi a Vladimir e Estragon che, seppur appaiono senza mancanze evidenti, una volta caduti, non riescono più a rialzarsi: “Vladimir: Après tout, je finirai bien par me lever tout seul. (il essaie de se lever, retombe) tôt

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ou tard.” Per questo Oliva descrive il mondo di Beckett come un ridicolo museo degli orrori in cui “la morte quotidianamente agisce minando il fisico dell’individuo e sgretolandone la personalità195”.