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3. Le Nouveau théâtre del Novecento e Samuel Beckett

3.1 Il teatro dell’assurdo

Il Novecento fu segnato da due principali idee di teatro: il teatro dell’assurdo interessato a tematiche di tipo esistenziale e il teatro di Brecht che identifica una drammaturgia epica e interessata alla realtà socio-politica del suo tempo109. Arthur Adamov, che iniziò la sua carriera come esponente del teatro dell’assurdo con La Parodie, per poi convertirsi ad un teatro più reale e simile a quello brechtiano, riassume queste due tendenze come segue:

The theatre must show, simultaneously but well-differentiated, both the curable and the incurable aspect of things. The incurable aspect, we all know, is that of the inevitability of death. The curable aspect is the social one.110

In effetti, l’elemento principale di distinzione tra le due correnti risiede proprio nell’interesse del nouveau théâtre a temi relativi alla condizione umana, in quanto la riflessione esistenziale che ne scaturisce induce gli autori a indagare i limiti dell’uomo nel suo agire, nel suo comunicare e in relazione alle sue possibilità di conoscenza. In realtà Bertolt Brecht iniziò la sua attività drammaturgica mettendo in scena rappresentazioni che si avvicinavano al teatro dell’assurdo illustrando difficoltà comunicative e riflettendo sulla natura e l’instabilità dell’identità umana; in Mann ist Mann, ad esempio, uno dei personaggi trasforma la sua identità nel corso dell’opera. Tuttavia, come fa notare Martin Esslin in The theatre of Absurd, egli rinnegò successivamente queste opere iniziali per dedicarsi ad un teatro impegnato politicamente, senza abbandonare completamente l’atmosfera negativa ed inverosimile tipica della drammaturgia novecentesca.111

Benché il teatro dell’assurdo sia difficile da definire come corrente uniforme, è possibile rintracciare peculiarità comuni, come la tendenza a rappresentare una realtà enigmatica e non unitaria, alla ricerca di nuove convenzioni drammatiche. La scena teatrale abbandona i suoi limiti e permette ad autori come Samuel Beckett (1906-1989), Arthur Adamov (1908-1970), Eugène Ionesco (1909-1994), Jean Genet (1910-1986) o Harold Pinter (1930-2008) di rappresentare il mondo in modo del tutto diverso da come lo si conosce: la scena diviene una sorta di specchio deformante nel quale si riflettono alcuni elementi familiari

109

P. Bertinetti, prefazione a S. Beckett, Teatro, Einaudi, Torino, 2014, p. viii.

110

M. Esslin, The Theatre of Absurd, Penguin Books, London, 1988, p. 122.

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come ansie, preoccupazioni, attese, incorniciati da una realtà non riconoscibile, fatta di discorsi inconcludenti, di azioni insensate, di ripetuti silenzi. È una drammaturgia che abbandona l’uomo eroico, per toccare l’uomo comune nei suoi limiti e nella sua finitezza.

Da questa breve descrizione è facile comprendere come vengano a mancare le basi per quelle categorizzazioni tanto care al teatro classico: la mimesis, così come la ricerca di verosimiglianza, vengono respinte a favore di un effetto di straniamento finalizzato alla riflessione. Anzi, alcuni dialoghi metateatrali ricordano allo spettatore la finzione di ciò a cui sta assistendo; Paolo Bertinetti nota che in En attendant Godot, ad esempio, “Beckett costringe lo spettatore a riconoscere di trovarsi in un teatro, dove gli attori devono parlare a giustificazione della propria e altrui presenza”112

, osservando che Vladimir, dopo aver fatto alcune riflessioni sulla parabola dei due ladroni, ricorda a Estragon la necessità che lui ribatta

Vladimir: Voyons, Gogo, il faut me renvoyer la balle de temps en temps. Estragon: J’écoute.

Anche il riferimento alle tre unità aristoteliche diventa inadeguato poiché, sebbene ad

un primo sguardo sembri possibile individuare un’unica azione che si sviluppa in un periodo di tempo limitato e in un unico luogo, la natura di queste pièces è ben diversa: i concetti stessi di azione, luogo e tempo che riconosciamo nel teatro tradizionale, vengono a mancare. Se si considera, ad esempio, En attendant Godot, sembrerebbe lecito parlare di un’unica azione (l’attesa di Godot), un unico luogo (quello del presunto appuntamento) e un tempo limitato, ma è davvero possibile parlare di azione in assenza di una trama? Di luogo quando quello in questione sembra essere un nowhere desolato e isolato dal resto del mondo? Ed è lecito riferirsi ad una categoria temporale quando gli stessi personaggi faticano a riconoscere e determinare il trascorrere del tempo? Hamm afferma: “Hier! Qu’est-ce que ça veut dire? Hier!”. Sarebbe più opportuno parlare di una non-azione all’interno di un non-luogo nella completa indeterminazione temporale, tanto che queste opere vennero spesso definite anti-teatrali per la loro lontananza dal teatro tradizionale.

L’irrealtà che caratterizza l’opera non consente allo spettatore di identificarsi con i personaggi, costringendolo ad interrogarsi sul significato di ciò che vede. Quando lo spettatore si riconosce nel personaggio, ne accetta il punto di vista e ne condivide empaticamente emozioni e sensazioni, senza preoccuparsi di mantenere uno sguardo critico

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rispetto a ciò che accade in scena. Nel teatro dell’assurdo, invece, lo spettatore è indotto a confrontarsi con personaggi dei quali non condivide il punto di vista, perché agiscono in maniera incomprensibile e, di conseguenza, egli osserva dal di fuori ciò che viene rappresentato, non provando nessun sentimento di imbarazzo, né pietà nei confronti dei comportamenti insensati e sconcertanti dei personaggi. Questo straniamento agevola un processo catartico simile a quello che si ritrova nel teatro classico. Secondo Martin Esslin, infatti, lo stimolo che nasce dal tentativo di trovare un senso in ciò che apparentemente sembra non averne, unito all’intuizione che il mondo e la realtà nella quale si vive abbiano perso la loro ragion d’essere e il loro scopo, produce una riflessione dall’effetto terapeutico.113

L’esposizione alle ansie e alle insicurezze che vengono formulate (sebbene implicitamente) sulla scena, insieme al confronto-scontro con l’illogicità dell’esistenza umana, permettono allo spettatore di rivedere l’esistenza in tutta la sua angoscia, liberandosi dai propri timori attraverso l’esposizione a quelli altrui. Tuttavia, mentre nel teatro classico le sensazioni nascevano dallo stato d’animo dei personaggi, nel nuovo teatro le ansie e le valutazioni sono quelle dei drammaturghi.

Il modo in cui viene rappresentata l’azione è un altro aspetto peculiare del teatro dell’assurdo, sia per quanto riguarda la trama (sempre che esista), sia in relazione ai movimenti e ai comportamenti dei personaggi in scena che rievocano generi precedenti, come il teatro mimico-clownesco che viene immerso, però, in un’atmosfera surreale. Si pensi a La

cantatrice chauve di Ionesco dove la signora Smith deve ricordare al marito che essi hanno

dei figli, che abitano nelle vicinanze di Londra, e che i loro nomi sono signora e signor Smith. Questo elemento rimanda ad un teatro folle, tipico degli spettacoli circensi e ricco di atteggiamenti sconcertanti.

La volontà è quella di rappresentare – al pari dei surrealisti e dei dadaisti – il reale senza imitarlo, “to destroy a world so as to put another in its place in which nothing more exists”114

.

L

’oggetto della rappresentazione diventa l’essenza e non l’apparenza, come esemplificò Apollineaire (1880-1918) rievocando l’invenzione della ruota:

When man wanted to imitate the action of walking, he created the wheel, which doesn’t resemble to a leg. He has thus used Surrealism without knowing it.115

113

M. Esslin, op. cit., p. 414.

114

G. Ribemont-Dessaignes inMartin Esslin, op. cit., p. 366.

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Il mondo che troviamo nel teatro dell’assurdo è effettivamente un mondo altro da quello nel quale viviamo, è un mondo dove niente esiste e, se esiste, sembra necessario annullarlo come emerge in Fin de partie dalla scoperta della presenza prima del topo e della pulce e poi del ragazzo. Tutti sono destinati a perire, nessuna esistenza è più possibile e attorno ai personaggi si spalanca un mondo desolato che richiama la composizione poetica di T.S. Elliot The

Hollow Man, nella quale l’uomo “impagliato” in una landa desolata ed incapace di agire,

viene descritto come “shape without form, shade without color, paralysed force, gesture without motion; […] Behaving as the wind behaves” (vv 11,12-35). Poiché la verità non è contenuta all’interno della sfera razionale, risulta necessario andare aldilà delle cose; per dirla utilizzando la terminologia kantiana, è necessario cercare il noumeno che si nasconde dietro il fenomeno. L’irreale si materializza sul palcoscenico anche attraverso l’effetto caricaturale e iconico che assumono i personaggi. I protagonisti e i loro comportamenti a-logici si fanno elemento dominante del gioco simbolico dell’intera pièce, che sta allo spettatore codificare. All’interno di questa irrealtà tutto è possibile come la rappresentazione di genitori mutilati, costretti a vivere all’interno di bidoni per la spazzatura, curati da Clov, incapace di sedersi in

Fin de partie.

Oltre all’azione, altra peculiarità drammaturgica del nuovo teatro è l’uso del linguaggio che richiama ancora una volta gli spettacoli mimici e circensi, nei quali i personaggi appaiono ottusi, tardi, incapaci di comprendere le relazioni logiche elementari – un aspetto che li rende ridicoli e soggetti allo scherno. Il nuovo teatro prende le distanze da quel linguaggio utilizzato come veicolo di informazione e di comunicazione retorica tipico del teatro classico, il linguaggio diventa astratto, incomprensibile; si dubita della possibilità stessa di comunicare. Per questo spesso i dialoghi dell’assurdo vengono riferiti all’arguzia tipica della letteratura del

nonsense. Freud definiva il piacere del nonsenso riferendolo al sentimento di libertà che si

prova nel momento in cui si abbandonano le restrizioni della logica116. Le parole creano degli effetti quasi ritmici ma perdono il loro significato originale. Un esempio di dialogo non solo nonsense ma attraverso il quale Beckett richiama esplicitamente l’atmosfera clownesca e metateatrale dell’episodio è il seguente scambio repentino di battute tra Vladimir, Estragon e Pozzo:

POZZO: Qu’est-ce que j’ai fait de ma pipe?

49 VLADIMIR: Charmante soirée.

ESTRAGON: Inoubliable. VLADIMIR: Et ce n’est pas fini. ESTRAGON: On dira que non.

VLADIMIR: Ça ne fait que commencer. ESTRAGON: C’est terrible.

VLADIMIR: On se croirait au spectacle. ESTRAGON: Au cirque.

VLADIMIR: Au music-hall. ESTRAGON: Au cirque.

POZZO: Mais qu’ai-je donc fait de ma bruyère!

La letteratura del nonsense esprime più di una semplice volontà giocosa: oltrepassando i limiti della logica e del linguaggio razionale, penetra la sfera della condizione umana, trascendendo i confini dell’universo materiale e razionale, facendo risuonare la voce dell’inconscio. Martin Esslin definisce, infatti, il teatro dell’assurdo come

the use of mythical, allegorical and dreamlike modes of thought – the projection into concrete terms of psychological realities.117

Il linguaggio viene gradualmente privato della sua importanza e della sua utilità per essere caricato di un immaginario simbolico che rimanda a considerazioni sull’esistenza umana, sulla vita, sulla morte, sul passare del tempo. Inoltre il discorso diviene spesso portatore del pensiero di quel monologo interiore inaugurato da James Joyce all’interno dell’Ulysses. Non è un caso che, dopo le rappresentazioni teatrali di Beckett e Ionesco che inaugurarono un nuovo modo di fare teatro, molti furono i tentativi di mettere in scena quest’opera. Come Joyce e il già citato drammaturgo Alfred de Jarry, anche Kafka influenzò il teatro dell’assurdo con le sue opere dall’atmosfera onirica angosciante ed oppressiva. Il teatro dell’assurdo prende dalle opere kafkiane ansie ed ossessioni così come la sensazione della mancanza di una linea guida per l’uomo, l’arbitrarietà e l’irrazionalità del mondo.

Riassumendo, questo nuovo teatro intende andare oltre le categorie tradizionali di azione, narrazione, realtà, attraverso una rappresentazione che può essere definita allo stesso tempo tragica per le tematiche esistenziali che lascia emergere, e comica per la modalità con cui vengono esposte, i nonsense, gli atteggiamenti clowneschi. Se si pensa al capolavoro beckettiano En attendant Godot, la messa in scena non ricalca veri e propri accadimenti,

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quanto piuttosto l’intuizione dell’autore che niente accada realmente. Nell’attesa, l’unica cosa che rimane da fare è agire – ma non si riesce - oppure comunicare, ma anche la comunicazione risulta impossibile.

A causa di questa compenetrazione di elementi comici all’interno di rappresentazioni seriose, si parla di questi drammi come di tragicommedie. La distinzione che identificava la tragedia come rappresentazione della sfortuna dei grandi dalla conclusione funesta e la commedia come ritratto della vita di uomini comuni con un finale gioioso118, è negata e gli elementi dei due generi si intrecciano. Il termine, già utilizzato nell’antichità, “désignait chez les Latins une comédie où les dieux et les rois se trouvaient mêlés à une aventure comique’119

. Nel corso dei secoli il significato è mutato, continuando, però, a designare un mélange di serioso e clownesco non sempre a lieto fine, ma ricco di “forces obscures qui pèsent sur la condition humaine”120

e che esprimono il senso tragico.

D’altronde, dopo le guerre mondiali, il mondo ha perso ogni possibilità di spiegazione, la sua ragion d’essere ed il suo significato, per questo risulterebbe anacronistico creare forme d’arte derivanti da standard e codici che hanno perso la loro validità; è impossibile conoscere le leggi che governano il mondo, così come resta ignoto lo scopo dell’esistenza umana. Come accennato, questo teatro vuole essere un tentativo di rendere l’uomo consapevole della sua condizione esistenziale, sconvolgerlo dimostrandogli che la sua vita è banale, scontata, meccanica e il sentimento che deriva dalla delusione smisurata dell’uomo quando è costretto ad affrontare ciò che è realmente è, esso stesso, assurdo.