• Non ci sono risultati.

5. La parola nel linguaggio drammatico di Racine e di Beckett

5.1 La parola come atto performativo

Nella sua analisi degli atti performativi, Austin getta le basi di una teoria che verrà ripresa ed ampliata da Searle, relativa agli atti del linguaggio (o speech acts). L’analisi di Austin ha inizio con la constatazione dell’esistenza nel linguaggio di atti performativi, cioè atti che compiono l’azione espressa dalla parola nel momento stesso della elocuzione; ad esempio l’atto di promettere o di dichiarare. Sviluppando questa intuizione, Searle determina che l’atto linguistico può assumere tre valori differenti: locutorio, illocutorio e perlocutorio. L’atto locutorio si riferisce all’atto del dire qualcosa; il valore illocutorio di un atto è effettuato nel dire qualcosa come un’interrogazione o un ordine ed è necessario per produrre un determinato effetto e modificare la situazione dell’interlocuzione dei parlanti; esso è, quindi, “la composante de l’énoncé qui lui donne sa valeur d’acte”221

. Il valore perlocutorio,

220

Ibid., p. 313.

100

invece, è l’atto effettuato attraverso ciò che viene detto222

, evidenzia il fine più nascosto dell’enunciato, l’effetto che la parola può avere sulla situazione non discorsiva; un esempio può essere l’effetto della promessa sul destinatario.

Ampliando queste definizioni e applicandole al discorso teatrale in generale, è possibile notare come la parola nei drammi raciniani acquisisca un forte valore illocutorio e perlocutorio in quanto agisce tanto sulla conversazione di per sé, che viene orientata in una determinata direzione secondo i ruoli di potere e il grado di persuasione dei personaggi, quanto sull’azione, poiché i personaggi attraverso i loro ordini, le loro promesse e l’influenza che gli uni hanno sugli altri, la sviluppano e la indirizzano: il Logos, cioè, prende il posto della Praxis223. Anche Michael Hawcroft definisce l’azione verbale in termini di attività persuasiva, riferendosi proprio a come i personaggi influenzino i comportamenti altrui e cerchino di modificare la situazione attraverso il linguaggio, anche se, come ammette Zimmermann, questa influenza non è che temporanea, in quanto i personaggi si fanno influenzare solo marginalmente per poi compiere il loro destino o adempiere alle loro decisioni. Si veda, ad esempio, il personaggio di Agamemnon in Iphigénie, il quale, sentendosi responsabile tanto per il sacrificio della figlia, quanto per le sorti del suo regno, si lascia condizionare dai vari interlocutori prima di giungere alla decisione finale di salvare Iphigénie.

Questa funzione del linguaggio è evidente in tutte le opere di Racine, ma il dialogo nel quale questo valore performativo dell’atto linguistico è maggiormente evidente è quello che avviene tra Oreste e Hermione in Andromaque nel quale l’amata, attraverso stratagemmi retorici, ordina e convince Oreste ad uccidere Pyrrhus mentre egli, benché inizialmente molto titubante, termina con la promessa di compiere il malaugurato atto (Appendice 1).

Nel dialogo, da una parte si trova l’atto persuasivo di Hermione di ordinare, dall’altra la promessa e l’impegno di Oreste nel portare a termine l’uccisione di Pyrrhus. Searle ammette infatti che

si l’on considère la notion d’acte illocutionnaire, il faut aussi considérer les conséquences, les effets que de tels actes ont sur les actions, les pensées ou les croyances, etc. des auditeurs. Par exemple, si je soutiens un argument je peux persuader, ou convaincre mon interlocuteur.224

222

Ibid., p. 22.

223

R. Barthes, op. cit., p. 66.

101

Nel caso in cui si persuada o si convinca l’interlocutore, l’atto linguistico assume non solo valore illocutorio, ma anche perlocutorio, in quanto ciò che viene detto agisce sulla situazione e non solo sul discorso. In questo caso ci si può riferire all’uccisione di Pyrrhus, ma anche alle conseguenze che questo omicidio innesca: la morte di Hermione, la disillusione di Oreste riguardo ai sentimenti per l’amata che evidentemente non verranno mai ricambiati, il mancato matrimonio tra Pyrrhus e Andromaque che, quindi, non potrà assicurare la salvezza del figlio. L’incontro tra Hermione e Oreste avviene in presenza della confidente, Cleone, la quale, non solo non interviene, ma diventa un testimone invisibile la cui presenza può essere trascurata. La scena svela il silenzio di cui ha paura Cleone e che riguarda la vendetta di Hermione su Pyrrhus. Il dialogo inizia con un’interruzione di Hermione alle domande di Oreste che è in cerca di conferme; l’amata, infatti, reagisce in modo brusco e va al punto: “Je veux savoir, Seigneur, si vous m’aimez”, implicando fin da subito una certa decisione e sicurezza rispetto alle sue volontà. Il suo secondo intervento dopo la risposta affermativa di Oreste, “vengez-moi, je crois tout”, evidenzia la determinazione in una replica che divide a metà l’alessandrino, segnalando una crescita di tensione nel dialogo. Una tensione che cresce ulteriormente quando Hermione rende esplicito il suo volere e il verso si suddivide in tre parti. Quando Oreste, però, si rivela dubbioso di poter compiere un tale atto (“vengeons-nous, j’y consens, mais par d’autres chemins. / Soyons ses ennemis, et non ses assassins”), Hermione risponde, facendo uso di una retorica, tutta atta a sedurre le volontà dell’amante. Ella inizia con domande retoriche il cui effetto è aumentato dall’uso dell’anafora di “Ne vous suffit-il pas […]?” e dalla presenza di un vocabolario che sottolinea il suo stato di vittima: “gloire offensée”, “victime”, “tyran”. La domanda retorica, infatti, “force le destinataire à reconnaître […] ce que le locuteur tient pour vrai”, in questo caso la risposta di Oreste non può essere che positiva. Il discorso di Hermione è un atto illocutorio che direziona la conversazione verso una determinata conclusione. Come sostiene Ducrot in Dire et pas dire, inoltre, questa forza illocutoria è contenuta anche nei presupposti che il destinatario è costretto ad accettare; nel caso di queste due domande i sottointesi sono che Pyrrhus ha offeso la “gloire” di Hermione e che lei lo ha già condannato, richiamando quelle che erano le volontà di Oreste.

La protagonista cerca, poi, di fare leva su un eventuale odio invidioso che Oreste potrebbe provare nei confronti di Pyrrhus, amato da Hermione, concludendo il suo intervento con “S’il ne meurt aujourd’hui, je puis l’aimer demain”, che suona come una minaccia (e altro esempio di atto illocutorio). Così si giunge alla prima promessa di Oreste “Cette nuit je vous

102

sers, cette nuit je l’attaque”, che, però non è sufficiente per Hermione, la quale vuole anticipare l’assassinio per evitare l’imminente matrimonio tra Pyrrhus e Andromaque. Pertanto ella prosegue attraverso altri atti illocutori e perlocutori con i quali attenua il senso di ordine e comando, ma continua nel suo tentativo di persuadere l’interlocutore, ricorrendo ad un climax ascendente sia verbale che pronominale “il me trahit, vous trompe, et nous méprise tous” e promettendo a sua volta la ricompensa tanto sperata da Oreste “Revenez tout couvert du sang de l’infidèle; / Allez: en cet état soyez sûr de mon coeur”. Egli, ancora una volta, sembra titubare, ma Hermione non gli concede il tempo di dare adito ai suoi dubbi e lo interrompe per procedere con una serie di affermazioni che la configurano come vittima, nel caso di un eventuale rifiuto di Oreste: “J’ai voulu vous donner les moyens de me plaire / Rendre Oreste content; mais enfin je vois bien / Qu’il veut toujours se plaindre, et mériter rien”.

A conclusione del suo intervento, inoltre, Hermione pronuncia una frase che ha la forza illocutoria di spingere la conversazione definitivamente dalla sua parte e convincere l’amante a acconsentire ai suoi desideri attraverso l’uso di un comparativo di maggioranza: “il me sera plus doux / De mourir avec lui, que de vivre avec vous”. La successiva replica di Oreste giunge come promessa definitiva a concludere quest’interazione dialogale: “Madame: il ne mourra que de la main d’Oreste”.

Catherine Kerbrat-Orecchioni, nella sua analisi Les actes de langage dans le discours propone proprio l’esempio della promessa, come enunciato dal valore illocutorio e ne delinea le condizioni necessarie. Facendo riferimento all’analisi dell’autrice, è possibile notare come tutte le condizioni da lei evidenziate, vengano rispettate nello scambio verbale tra Oreste ed Hermione. Innanzitutto la condizione preliminare, condizione di pertinenza, di parlare à

propos e la condizione di sincerità che prevede che l’interlocutore sia effettivamente

intenzionato ad agire secondo ciò che ha promesso. In secondo luogo la condizione detta

essentielle, secondo cui il parlante si impegna a compiere l’atto promesso, preferendo

“l’accomplissement” rispetto al “non-accomplissement”, convincendosi, cioè, della giustezza dell’atto, che è sempre relativo ad un’azione futura (condition de contenu propositionnel). Inoltre la certezza dell’intenzione sincera di Oreste di compiere l’atto è evidenziata, prima ancora che dalla conferma ad atto avvenuto, dal dialogo tra Cleone ed Hermione durante il quale la confidente le conferma che Oreste la adora e che quindi “il poursuit seulement ses

103

amoureux projets”. L’analisi di Ducrot conferisce all’atto della promessa un valore giuridico in quanto presuppone l’obbligo di adempierla:

La définition juridique de l’acte de présupposer permet de même de comprendre que la présupposition joue un rôle de premier plan dans la stratégie des rapports linguistiques, c’est-à-dire, en termes austiniens, que l’acte illocutoire de présupposition soit utilisé à de multiples fins perlocutoires.225

L’impegno che il parlante assume è evidenziato, secondo Ducrot, anche dalla formulazione stessa – sebbene implicita in questo caso – della promessa – je promets – che prevede l’utilizzo della prima persona singolare e del tempo al presente, in quanto “certains énoncés à la première personne du présent ont le pouvoir de servir à accomplir certaines actions”226; sono quelle proprietà che Benveniste definisce “sui-référentielles”.

Interessante a questo proposito è anche la tirade di Ulysse nel primo atto di Iphigénie, attraverso la quale Ulysse cerca di convincere Agamemnon a sacrificare la figlia con un discorso di grande forza illocutoria che si presenta come una successione di domande retoriche e che termina con i seguenti versi (momentaneamente) decisivi per Agamemnon:

Vous seul, nous arrachant à de nouvelles flammes, Nous avez fait laisser nos enfants et nos femmes. Et quand, de toutes parts assemblés en ces lieux, L’honneur de vous venger brille seul à nos yeux […]

Le seul Agamemnon, refusant la victoire, N’ose d’un peu de sang acheter tant de gloire? Et dès le premier pas se laissant effrayer, Ne commande les Grecs que pour les renvoyer?

Ulysse sposta il senso di colpa che Agamemnon prova nei confronti dell’eventuale sacrificio della figlia verso il sacrificio di tanti uomini pronti a combattere per lui e per il suo onore, sminuendo l’uccisione di Iphigénie ai suoi occhi attraverso l’eufemismo “un peu de sang”. Inoltre, esattamente come Roxane, anche Ulysse utilizza delle “domande orientate”, ovvero che richiedono una determinata risposta.227

Eludendo il dibattito riguardante i criteri tassonomici degli atti illocutori in quanto non del tutto pertinenti alla dissertazione, è importante, però, notare quella che viene considerata

225

O. Ducrot, Dire et ne pas dire, Hermann, Paris, 1980, p. 95.

226

Ibid., p. 74.

104

come la condizione di riuscita dell’atto illocutorio (felicity) che riguarda “les conditions qui doivent être réunies pour que sa valeur illocutoire ait quelques chances d’aboutir perlocutoirement”228. Queste condizioni dipendono dall’ état de choses, cioè la verità della condizione iniziale; dal locutore, che deve rispettare la condizione di sincerità rispetto alla volontà che l’atto si compia e deve occupare una posizione che gli/le permetta di dare ordini; e dal destinatario che deve avere le capacità materiale e la disposizione psicologica adeguate per compiere l’atto. In Racine, queste condizioni vengono rispettate, l’unica obiezione potrebbe riguardare la condizione di sincerità rispetto al volere di Hermione, che nell’atto successivo prende ogni distanza dall’azione di Oreste, scaricando su di lui ogni colpa e responsabilità. Eppure, in questo caso la condizione è rispettata in quanto, nel momento in cui Hermione ordina ad Oreste l’uccisione di Pyrrhus, il suo atto linguistico è onesto e veritiero.

Se è vero che, come afferma Iser, il linguaggio drammatico può assumere le funzioni di “influence”229

, nel teatro beckettiano il discorso perde queste funzioni e i personaggi parlano tra loro senza comunicare in quanto “the experience has become incommunicable”230

. Mettendo a confronto l’uso dell’atto linguistico tra Racine e Beckett è interessante notare, infatti, come nella drammaturgia di quest’ultimo il valore perlocutorio e talvolta anche quello illocutorio del discorso vengano a mancare. In particolare, se si fa riferimento alla sopracitata

felicity, le condizioni che non permettono la realizzazione dell’atto sono principalmente due:

la condition institutionnelle, in quanto non sempre il parlante detiene un ruolo credibile e di supremazia rispetto all’interlocutore, e la condizione relativa al destinatario, poiché ciò che viene meno sono proprio la capacità e la disposizione psicologica dei personaggi rispetto all’ordine o all’intenzione. Se nel teatro di Racine, la forza illocutoria e perlocutoria dell’atto linguistico permette lo sviluppo dell’intreccio, si può notare come sia proprio la mancanza di questi valori degli enunciati a impedire l’azione, benché minima, dei personaggi beckettiani. Si veda, ad esempio, l’episodio in cui per riuscire a sedersi, Pozzo, necessita un ordine e richiede l’intervento di Estragon:

Estragon: Allons-y. Rasseyez-vous, monsieur, je vous en prie.

Pozzo: Non non, ce n’est pas la peine. (Un temps. A voix basse) Insistez un peu.

228

Ibid., p.29.

229

W. Iser, op. cit., p. 251.

105

Un altro episodio in cui questa mancanza di volontà e di azione rispetto ad un ordine risulta più evidente è l’incontro tra i due clochards e il ragazzo, portavoce di Godot. Vladimir ordina al ragazzo di avanzare, ma “le garçon ne bouge pas”, come se Vladimir non detenesse nell’interazione un ruolo consono a dare ordini. Allo stesso modo il finale dell’opera sembra evidenziare l’impossibilità dei protagonisti di far assumere un valore perlocutorio all’enunciato:

Vladimir: Alors, on y va? Estragon: Allons-y.

(ils ne bougent pas)

“La parola, che prevale nettamente rispetto alle azioni, brevi microazioni ordinarie, meccaniche è fatta di inutili decisioni bloccate nell’impotenza”231. Questo fa si che nei drammi di Beckett, e in En attendant Godot in particolare, si assista ad una mancata corrispondenza tra parola e gesto che sottolinea l’impossibilità di agire. Come afferma Annamaria Cascetta

i gesti in cui l’azione si risolve, minuziosamente indicati nelle didascalie, si scollano dalla parola, non danno seguito alle prescrizioni di questa, la contraddicono, si svagano, si ripetono come tic, automatismi, clichés, si impantanano o si bloccano nella rinuncia.232

La parola è aleatoria, perde di significato ed è proprio “the inner incapability of action that hinders all the locutionary acts from have the strength of illocutions and perlocutions”233

. Memorabile è il momento in cui Vladimir ed Estragon vengono chiamati all’azione di aiutare Pozzo a rialzarsi. Vladimir prende la parola incitando il compagno ad agire “faisons quelque chose, pendant que l’occasion se présente! Ce n’est pas tous les jours qu’on a besoin de nous”, ma invece di aiutare Pozzo, continua a parlare prolungando il suo intervento verbale senza passare all’azione. D’altra parte, “la modernità di un Adamov, di un Beckett, deriva dalla straordinaria, efficace minuziosità con la quale essi smontano questi meccanismi”234

. Eppure vi è un dialogo in En attendant Godot nel quale la parola assume un forte valore perlocutorio e performativo:

231

A. Cascetta, Il tragico e l’umorismo, cit., p. 96.

232 Ibid., p. 21.

233

L. Sikorska, “The Language of Entropy: a Pragma-Dramatic analysis of Samuel Beckett’s Endgame, in Studia

Anglica Posnaniesia, vol. 28, 1994, p. 200.

106 Vladimir: Dis, Je suis content.

Estragon: Je suis content. Vladimir: Moi aussi. Estragon: Moi aussi.

Vladimir: Nous sommes contents.

Tuttavia la contestualizzazione del dialogo lo rende inverosimile e smentisce immediatamente ciò che viene asserito; come si vedrà meglio nella sezione seguente, infatti, i dialoghi perdono di credibilità e così si svilisce la performatività della parola.

In ultima analisi è necessario citare anche lo studio di Ubersfeld che, facendo riferimento a quella che Kerbrat definisce communication dissymétrique tra autore e pubblico, nota come questa comunicazione contenga tanto il valore illocutorio, quanto perlocutorio. Infatti, egli afferma che in questa interpretazione del linguaggio teatrale la forza illocutoria consista nel fatto che “X (autore) ordina a Y (attore) di dire che (enunciato)”235; mentre l’atto perlocutorio si riferisce alla produzione di un effetto sullo spettatore che, se nel teatro classico è di pietà e terrore, in quello dell’assurdo è di smarrimento e riflessione.