• Non ci sono risultati.

2. La tragedia seicentesca e Jean Racine

2.2 Jean Racine: vita e opere

2.2 JEAN RACINE: VITA E OPERE

Jean Racine nacque nel dicembre del 1639 da una famiglia agiata, ma rimase presto orfano: nel 1641 la madre morì a seguito del parto della sorella Marie e due anni dopo anche il padre venne a mancare. Egli venne quindi affidato ai nonni paterni che lo introdussero al monastero di Port-Royal con il quale la famiglia aveva mantenuto forti legami e nel quale venne iniziato “aux choses de l’esprit”59

. Questo monastero, benché esistesse già da tempo, diventò celebre a partire dal XVII secolo, quando abbracciò completamente la dottrina giansenista del teologo Cornelius Jansen (1585-1638). Questi rimproverava ad altre correnti cristiane, come i gesuiti, di essere troppo moderni e di conformarsi agli ideali della società contemporanea, mentre il giansenismo voleva essere un movimento più chiuso e rigoroso, impermeabile ai cambiamenti sociali. L’aspetto fondamentale di questa teologia risiede nel ritenere l’uomo essenzialmente corrotto dal peccato originale e succube delle sue passioni, quindi naturalmente incline al male: “la grâce de Dieu est tout, […] et la liberté humaine est impuissante â faire le bien”.

Tuttavia, fu il principio di predestinazione a fomentare le accuse di eresia da parte della chiesa cattolica in quanto questo principio, annullando completamente il libero arbitrio dell’uomo, rendeva ogni ricerca e ogni speranza di salvezza vane; secondo questa dottrina, infatti, “un petit nombre d’hommes seulement est sauvé, et il ne l’est qu’en vertu d’une prédestination divine”60. Per questo, negli anni cinquanta i giansenisti subirono persecuzioni che provocarono una sorta di diaspora dei loro seguaci; in questo periodo Racine, giunto a Parigi, si avvicinò alla pratica teatrale abbandonando la formazione ecclesiastica.

58

J. Racine, Œuvres complètes, Gallimard, Paris, 1950, p. 306.

59

G. Forestier, Jean Racine, Gallimard, Paris, 2006, p. 37.

31

Tuttavia l’educazione a Port-Royal era stata molto importante per la carriera dell’autore: è lui stesso a sottolineare l’importanza di questa esperienza giovanile nell’opera l’Abrégé de l’histoire de Port-Royal. Fu in questo monastero, infatti, che Racine venne iniziato allo studio della letteratura e dei classici greci verso i quali mostrò fin da subito grande interesse. Inoltre, non poté evitare di essere influenzato dal giansenismo sia per quanto riguarda la visione tragica dell’esistenza – “Racine écrivant des tragédies ne pouvait qu’avoir une vision tragique de l’homme”61

– che in relazione alla teoria della predestinazione, rintracciabile nei suoi drammi come un destino al quale non è possibile sottrarsi. Di grande influenza fu anche la modalità d’insegnamento di Port-Royal, che si fondava sull’uso della lingua francese e non di quella latina come veicolo educativo. Gilles Declercq, autore di La

formation rhétorique de Jean Racine, scrive:

Il n’est pas interdit de penser que la «modernité» de la langue de Racine (par opposition traditionnelle à la syntaxe dite «latinisante» de Corneille) trouve pour partie son fondement dans cette innovation pédagogique de Port-Royal62.

Questa innovazione non escludeva lo studio di greco e latino, ma queste lingue venivano insegnate sempre a partire dal francese. Per di più, l’istruzione a Port-Royal, basandosi su precetti rigorosi, permetteva di apprendere la politesse de la Cour e l’erudizione mondana di cui Racine beneficiò, come testimonia la facilità con cui venne ammesso alla corte di Luigi XIV. In ultimo, anche gli studi successivi di retorica e di giurisprudenza all’abbazia di Saint-Quentin de Beauvais e poi nuovamente a Port-Royal gli permisero di acquisire delle conoscenze che lo renderanno “le plus admirable metteur en scène des dialogues de confrontation”.63

Mettere in scena opere teatrali convincenti era l’opportunità più rapida per farsi un nome nella Parigi del XVII secolo e Racine, che aveva assistito al successo di Corneille – “perfaite illustration de la gloire universelle que le théâtre était en mesure d’offrir”64

– volle intraprendere la stessa strada.

Egli esordì tra i letterati con la pubblicazione dell’ode La Nymphe de la Seine à la

Reine, composta in occasione del matrimonio di Luigi XIV. Quest’ode piacque

61 G. Forestier, op. cit., p. 47.

62

Ibid., p. 65.

63

Ibid., p. 101.

32

particolarmente a Jean Chapelain, influente erudito del tempo e membro dell’Académie française, il cui appoggio si rivelò determinante. Dopo un lungo soggiorno a Uzès dallo zio, tornato a Parigi e memore del successo della precedente composizione, Racine scrisse nel 1663 l’Ode sur la convalescence du Roi a seguito di una malattia che aveva colpito Luigi XIV e messo in pericolo la sua vita. L’intento di Racine era quello di soddisfare le aspettative di Jean Chapelain e farsi riconoscere come autore; da questo punto di vista l’ode fu un trionfo che gli portò un riconoscimento immediato e gli permise di venire accolto come poeta di corte. Già amico di La Fontaine (1621-1695), si legò presto anche a Molière e a Boileau. Questi quattro letterati possono essere definiti come “les quatre génies classiques, qui illustrèrent le plus brillamment le siècle de Louis XIV”65.

Tuttavia Racine deve il suo maggior successo alle tragedie che corrispondevano pienamente al contemporaneo gusto classicista. Fedele al dogma dell’imitazione degli antichi, Racine destinò la maggior parte delle sue opere a argomenti appartenenti alla storia o al mito. Come nota Jacques Scherer, “la vraisemblance et l’histoire sont pour les tragiques classiques deux puissants dieux, et ils cherchent à se mettre en règle avec l’un et avec l’autre”66

.

La sua prima tragedia, La Thébaïde, venne messa in scena nel 1664 dalla compagnia di Molière, detta “Troupe de Monsieur” al Palais-Royal. Il soggetto de La Thébaïde viene descritto da Racine nella prefazione come “le plus tragique de l’Antiquité”. Riprendendo in parte i drammi greci di Sofocle ed Euripide, Racine ripropone la celebre storia di Tebe incentrata sulla guerra fratricida tra Etéocle e Polynice ai quali il padre Œdipe lasciò il regno, stabilendo che questi si alternassero al governo della città. Etéocle, però, scoperto il gusto del potere, non volle abbandonare la sua posizione, forte dell’appoggio del popolo. Allo stesso modo Polynice non era disposto a rinunciare alla possibilità di governare, avanzando pretese sulla legittimità dinastica: così ebbe inizio il conflitto. Ad intervenire nella vicenda sono la madre Jocaste, il fratello di quest’ultima, Créon, con i figli Ménécée e Hémon schierati rispettivamente dalla parte di Etéocle e di Polynice. La particolarità della tragedia risiede nella morte finale di tutti i personaggi principali: Ménécée si sacrifica inutilmente per la pace, mentre Etéocle, Polynice e Hémon rimangono uccisi nella battaglia che vede affrontarsi i due fratelli. A seguito della morte dei suoi due figli, Jocaste si toglie la vita e lo stesso fa Antigone per non cadere nelle mani di Créon che perirà al termine del V atto, vedendo il fallimento dei

65

Ibid., p. 191.

33

suoi propositi. Mentre Antigone incarna il ruolo dell’innocente perseguitata, Créon risulta un personaggio quasi diabolico – il “mal moral”67 – che, dopo aver assistito alla morte di entrambi i figli, afferma cinicamente: “j’étais père et sujet, je suis amant et roi” (V, IV) rivelando definitivamente le sue aspirazioni. Per l’autore questo finale caratterizzato da spargimento di sangue, lacrime e sentimenti di odio tra familiari, è un elemento fondamentale che viene evidenziato anche da Aristotele nella Poetica dove si legge che il migliore soggetto tragico si basa sul “principe du surgissement des violences au sein des alliances”68

.

Tuttavia, sebbene contenga taluni elementi caratteristici del teatro raciniano come la predilezione per la cultura greca, il tono lirico e il “conflit irréductible”69, questo è un dramma di un Racine ancora in erba. Come commenta Marcel Gutwirth “Racine n’est pas encore Racine dans La Thebaïde”70. L’opera, accolta timidamente dal pubblico, ebbe un successo mediocre; fu difficile rendere apprezzabile un soggetto tanto terribile. Le esigenze del pubblico vennero, invece, soddisfatte con la sua seconda tragedia, Alexandre le Grand (1665), attraverso la quale l’autore si affermò come drammaturgo di successo.

Il soggetto della tragedia venne ispirato dall’attualità, come spiegato di seguito. Georges Forestier fa notare che il personaggio di Alexandre è sempre stato l’emblema di un grande monarca – coraggioso, magnanimo e di eccezionali virtù – e alla sua immagine veniva spesso accostata quella di Luigi XIV. L’opera voleva, quindi, essere un’occasione per celebrare un re visto come il più grande al mondo. Tant’è che la tragedia viene spesso pubblicata insieme alla dedica di Racine indirizzata proprio a Luigi XIV nella quale l’autore afferma

Je ne me contente pas d’avoir mis à la tête de mon ouvrage le nom d’Alexandre, j’y ajoute encore celui de votre majesté c’est-à-dire que j’assemble tout ce que le siècle présent et les siècles passés nous peuvent fournir de plus grand71.

La vicenda tratta della figura di Alessandro Magno come uomo che “sait être malheureux avec courage”72

. In particolare essa si concentra sulla guerra di Alexandre in Oriente

67

M. Gutwirth, Jean Racine: un itineraire poétique, Les Presses de l’Université, Montréal, 1970, p. 20.

68

G. Forestier, op. cit., p. 202.

69 Alain Viala, op. cit., p. 211.

70

M. Gutwirth, op. cit., p. 11.

71

J. Racine, Œuvres complètes, cit., p. 175.

34

finalizzata alla conquista dei regni di Porus e Taxile così come al ricongiungimento con la principessa Cléofile, sorella di Taxile. Mentre quest’ultimo, spinto e convinto dalla sorella, risponde in modo piuttosto accondiscendente alle pretese di Alessandro, Porus non è disposto a cedere e ritiene la guerra inevitabile. Inoltre i due re dell’India si trovano a contendersi l’attenzione amorosa di Axiane, regina ostinata ed irremovibile, che si schiera a favore del coraggioso Porus impegnato nella difesa del suo regno. Texile, quindi, si ritrova tra due fuochi: da una parte la volontà della sorella che lo spinge a schierarsi al fianco di Alexandre, e dall’altra Axiane, che lo vorrebbe deciso a fronteggiare il nemico. Texile, incapace di dar prova del suo valore, pagherà con la vita.

Racine ricevette diverse critiche che lo accusavano di aver rappresentato Alessandro troppo mite e di aver fatto “Porus plus grand qu’Alexandre”73 all’interno di una intreccio che mette l’accento non sul conquistatore, ma sulla vicenda politico-amorosa tra Texile e Porus. Racine si difese da queste accuse nella prefazione considerando che, da ultimo, colui che esce vincitore dalla tragedia è comunque Alessandro. Ciò non toglie, però, che questa – come la successiva Mithridate – siano drammi dove l’amore indebolisce l’eroe74. Tuttavia, sia il pubblico che il re si manifestarono a favore dell’opera che si mostrava “perfaitement conforme au goût du jour”75

.

Affermarsi come drammaturgo di successo implicava, però, voltare le spalle alla propria formazione giansenista e al monastero di Port-Royal, che interpretava l’arte come una forma di seduzione e di finzione quasi diabolica. Si aprì, infatti, un dibattito a questo proposito, che vide opporsi Racine in difesa della tragedia e Nicole, esponente di Port-Royal e autore delle lettere su l’Hérésie imaginaire, che paragonava la figura del drammaturgo ad un “empoisonneur public”76

. Questa polemica si risolse con il distacco di Racine da Port-Royal, al quale preferì la gloria mondana e teatrale, che cominciava a garantirgli una certa sicurezza finanziaria.

Per quanto riguarda la sfera amorosa, Racine sembra si fosse invaghito (come altri drammaturghi prima di lui) dell’attrice Marquise-Thérèse de Gorle la quale, dopo il matrimonio con René Berthelot, detto Du Parc, assunse questo stesso appellativo dal marito. L’amico Boileau dichiarò: “M. Racine était amoureux de la Du Parc, qui était grande, bien

73 Ibid., p. 178.

74

M. Gutwirth, op. cit., p. 33.

75

Ibid., p. 29.

35

faite, et qui n’était pas bonne actrice”77

. Sembra che l’opera Andromaque, messa in scena due anni dopo l’Alexandre, fosse destinata proprio a lei. Secondo Boileau, Racine “fit Andromaque pour elle”78.

Tuttavia la stesura dell’opera dipese anche dalla volontà dell’autore di confutare le critiche di alcuni membri di Port-Royal che lo accusarono di “n’avoir pas le goût de l’Antiquité”. In quest’opera Racine fonda, infatti, l’intreccio su “les trois personnages les plus célèbres des légendes, des épopées et des tragédies antiques, associé dans une sanglante histoire d’amour”79

ed inizia a delineare più precisamente le caratteristiche della sua tragedia incentrata su drammi poveri d’azione nei quali, attraverso i dialoghi, vengono indagati i moti più profondi dell’animo umano. Perciò la recitazione degli attori aveva molta importanza e sollevò diversi dibattiti tra Molière, i cui attori tendevano ad una recitazione quasi in prosa che danneggiava la musicalità della produzione in versi, e Racine che, invece, desiderava una messa in scena statica e declamatoria80.

Andromaque (1667) rappresenta Troia dopo la guerra e può essere definita la tragedia

delle passioni amorose che determinano la costituzione del mondo tragico e che condurranno i protagonisti ad un destino funesto. La vicenda si svolge nell’Epiro dove Oreste si reca allo scopo di prelevare Astyanax, figlio di Andromaque ed Hector, e di convincere Hermione, promessa sposa di Pyrrhus, ad abbandonare il futuro marito e a seguirlo. Invece Pyrrhus, innamorato di Andromaque, tenta di sfruttare il volere dei greci per convincerla a convolare a nozze con lui e garantire, così, la salvezza dal figlio. Come si desume, le azioni di ciascun personaggio dipendono da quelle del rispettivo innamorato, in un intreccio che può essere così riassunto:

Oreste aime Hermione qui ne l’aime pas; Hermione aime Pyrrhus qui ne l’aime pas; Pyrrhus aime Andromaque qui ne l’aime pas; Andromaque aime Hector qui est mort81

.

La particolarità della tragedia risiede nella sensazione che tutto riesca a risolversi, mentre nel quinto atto si assiste allo sconvolgimento definitivo: Oreste uccide Pyrrhus spinto da Hermione, la quale, dopo averlo accusato di un delitto non desiderato, si toglie la vita. In

77 Ibid., p. 287. 78 Ibid., p. 285. 79 Ibid., pp. 290-291. 80

A. Viala, op. cit., p. 210.

36

quest’opera Racine, come già annuncia nella prima prefazione, risponde pienamente alle direttive aristoteliche riguardanti i personaggi: nessuno di loro è “tout à fait bon, ni tout à fait méchant”, ma ognuno ha “une bonté médiocre, c’est-à-dire une vertu capable de faiblesse”82.

Il successo di Andromaque venne paragonato a quello del Cid di Corneille, in quanto entrambe le opere, oltre a toccare profondamente l’animo degli spettatori, avevano “permis à leurs auteurs de se hisser au-dessus de tous les autres dramaturges de leur temps”83. Questa tragedia permise, quindi, a Racine di essere innalzato al pari di colui che, fino a quel momento, era stato considerato il miglior drammaturgo del suo tempo, grazie all’introduzione del tema della vendetta – tanto caro a Corneille – pur non rinunciando al soggetto amoroso.

Andromaque può essere considerata la prima vera tragedia raciniana, in quanto quella

d’esordio poneva l’amore in secondo piano e nell’Alexandre la trama sentimentale indeboliva l’effetto catartico. Eppure, neanche questa mancò di suscitare qualche polemica da parte di coloro che la ritenevano “toute pathétique”84

per l’assoggettamento di tutti gli interessi dei personaggi alla passione amorosa, specialmente riguardo a Pyrrhus, innamorato della sua prigioniera. Secondo Georges Forestier la tragedia seguente, Britannicus, fu proprio il risultato di una riflessione su queste critiche85.

Prima di dedicarsi alla messa in scena di questa tragedia, però, Racine si dedicò alla stesura di una commedia, entrando, così, nel campo di Molière. Questa parentesi non mancò di confermarlo un vero drammaturgo: Les Plaideurs (1668), infatti, non aveva nessuno strascico tragico come accadeva, invece, per le commedie di Corneille. Dopo la messa in scena di questa sua unica commedia, Racine tornò alla sua vocazione tragica.

Nel 1669 mise in scena Britannicus, tragedia alla quale lavorò molto, come insiste lui stesso nella seconda prefazione “voici celle de mes tragédies que je puis dire que j’ai le plus travaillée”86

. Dopo aver rappresentato tre tragedie provenienti dal mondo greco, a Racine restava di occuparsi della storia romana, che gli permise di dimostrare la sua abilità nel “bâtir une intrigue autour de personnages historiquement caractérisés”87. Britannicus tratta di un Néron ancora “monstre naissant”88 all’interno del suo contesto familiare, più che come uomo

82 Ibid., p. 242.

83

G. Forestier, op. cit., p. 296.

84

J. Racine, Britannicus, Gallimard, Paris 2000, p. 8.

85 Ivi.

86

J. Racine, Britannicus, cit., p. 389.

87

G. Forestier, op. cit., p. 351.

37

politico: come spiega l’autore “Néron est ici dans son particulier et dans sa famille”89

. Gli interessi politici vengono, quindi, agiti all’interno delle relazioni familiari. Néron si scontra con la madre Agrippine che, rivangando l’uccisione di Claudius per concedere al figlio il ruolo di imperatore, vorrebbe che lui accontentasse le sue volontà. Finché i profitti erano comuni, Agrippine era riuscita a manipolare il figlio, mentre una volta scissi gli interessi, i due non riescono più a trovare un punto d’incontro, benché venga ribadita più volte la loro relazione madre-figlio. Anche con il fratellastro Britannicus il rapporto è conflittuale: Néron ha rapito la sua amata, Junie, contro il suo volere. All’interno di questo intreccio familiare, si assiste all’impossibilità di fidarsi e di dare credibilità all’altro, in quanto i personaggi si prendono gioco gli uni degli altri per arrivare al raggiungimento dei propri obbiettivi; “si l’on met à part Britannicus et Junie, couple passif de victimes dédignées, il n’y a pas un seul personnage pur dans la pièce”90

. Emblema di questo comportamento disonesto è Narcisse, il traditore. Nonostante sia confidente di Britannicus, egli parteggia in modo machiavellico per Néron e finirà per consegnare nelle mani del protagonista il veleno che ne causerà la morte. Vittime della situazione sono quindi Britannicus, Junie, costretta all’infelicità, ma anche Agrippine in quanto, dopo tutti i tentativi per riuscire a giungere al comando di Roma, vede le sue aspettative negate e infrante. Racine, infatti, afferma nella seconda prefazione che la “tragédie n’est pas moins la disgrâce d’Agrippine que la mort de Britannicus”.

Mettendo in scena la morte di un fratello per mano di un altro fratello, l’intreccio risponde appieno alla tematica tragica. Eppure Néron viene rappresentato meno sicuro di quanto lo fu storicamente: è un Néron ancora giovane che appare allo spettatore in balia di una sorta di crisi morale, all’interno della quale sembra avere la possibilità di scegliere di non diventare Néron, “il semble que Néron ait le pouvoir de se retenir d’être Néron”91. Eppure la storia ha sempre ragione e il Néron della tragedia, scegliendo di uccidere il fratello, diventa e si re-identifica con quello storico: “Néron est né”92.

Con Britannicus Racine mostra come, a differenza di Andromaque, gli effetti distruttori delle passioni sono rintracciabili anche in sfere diverse da quella puramente amorosa, come la lotta per il potere. Questa pièce inizialmente fu un mezzo fallimento, ma

89 Ibid., p. 35

90

Jean Racine, Œuvres complètes, cit., p. 373.

91

Ibid., p. 378.

38

l’autore, con la sua prefazione del 1670 nella quale difende l’opera – ‘si j’ai fait quelque chose de solide […] c’est ce même Britannicus’ –, riuscì a farne riconoscere i meriti.

Il successo di Racine non mancò di suscitare polemiche da parte di Corneille e dei suoi sostenitori. Il confronto diretto tra i due drammaturghi si ebbe con la simultanea composizione di due tragedie sullo stesso tema: la storia d’amore tra l’imperatore romano Titus e la regina giudea Bérénice, tema che sembra derivare da eventi contemporanei che riguardavano le relazioni sentimentali di Luigi XIV. La ‘sfida’ vide trionfare Racine anche se, in realtà, gli episodi trattati non coincidevano: mentre Corneille si concentrò sulla reazione di Titus, già abbandonato da Bérénice, Racine mise in scena il confronto tra i due amanti che si conclude con la partenza della regina ebrea. Nella tragedia raciniana, il sentimento pietoso prevale su quello terribile esaltando la tristesse majestueuse annunciata nella prefazione.

Seguendo il modello virgiliano della separazione tra Didone ed Enea, la storia ruota attorno ai due amanti “qui se séparent en s’aimant” in favore della ragion di stato: la legge di