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3. Le Nouveau théâtre del Novecento e Samuel Beckett

3.2 Samuel Beckett: vita e opere

Nel corso dei secoli il significato è mutato, continuando, però, a designare un mélange di serioso e clownesco non sempre a lieto fine, ma ricco di “forces obscures qui pèsent sur la condition humaine”120

e che esprimono il senso tragico.

D’altronde, dopo le guerre mondiali, il mondo ha perso ogni possibilità di spiegazione, la sua ragion d’essere ed il suo significato, per questo risulterebbe anacronistico creare forme d’arte derivanti da standard e codici che hanno perso la loro validità; è impossibile conoscere le leggi che governano il mondo, così come resta ignoto lo scopo dell’esistenza umana. Come accennato, questo teatro vuole essere un tentativo di rendere l’uomo consapevole della sua condizione esistenziale, sconvolgerlo dimostrandogli che la sua vita è banale, scontata, meccanica e il sentimento che deriva dalla delusione smisurata dell’uomo quando è costretto ad affrontare ciò che è realmente è, esso stesso, assurdo.

3.2 SAMUEL BECKETT: VITA E OPERE

Nato – secondo il certificato di nascita ufficiale – nel maggio del 1906121, Samuel Beckett iniziò i suoi studi frequentando prima la Earlsfort School, dove venne iniziato allo studio della lingua francese, e poi la Portora School, considerata una delle migliori scuole

118 M. Hubert, op. cit., p. 91.

119

A. Adam, op. cit., p. 164.

120

M. Hubert, op.cit., p. 33.

121 Samuel Beckett afferma di essere nato in Aprile. In effetti la sua dichiarazione risulta plausibile: a

quell’epoca si usava denunciare la data di nascita un mese dopo la venuta al mondo del bambino e lo scrittore ammette che i genitori aspettarono – per sicurezza – due mesi. Per questo la data riportata sul certificato di nascita è quella del 13 maggio 1906. Per maggiori informazioni si rimanda alla biografia di Deirdre Bair.

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irlandesi. Anche se più per le sue abilità sportive che per i meriti scolastici, Beckett venne poi accettato nel 1923 al Trinity College di Dublino.

Durante questi ultimi anni di studio, Beckett manifestò un particolare interesse per le lingue moderne, principalmente per il francese e l’italiano e per le loro rispettive letterature. Ammirava in particolare Pirandello e tutta quella drammaturgia che all’epoca entusiasmava il pubblico europeo per il suo sperimentalismo. Questo interesse lo portò a diventare assiduo frequentatore di teatri di diverso genere che spaziavano da produzioni irlandesi di carattere tradizionale (all’Abbey Theatre), al teatro avanguardistico europeo (il Gate); dal melodramma (Queens Theatre), ai vaudeville (Theatre Royal) e che gli permisero di approfondire le sue conoscenze in campo teatrale e di entrare in contatto con svariate tipologie drammaturgiche. Anche il cinema lo appassionava, in particolare apprezzava attori come Charlie Chaplin, Stan Laurel o Oliver Hardy, portavoce di una comicità che sarà facilmente rintracciabile nelle successive opere teatrali, basti pensare al momento in cui in En attendant Godot Vladimir e Estragon ritrovano la bombetta di Lucky.

Tuttavia la cultura che più amava era quella francese e, poiché aveva dimostrato distinte abilità nell’apprendimento della lingua, il suo professore lo convinse a trascorrere qualche mese in Francia per approfondire le sue conoscenze, così Beckett partì per Tours nel 1926. Questo soggiorno fu fondamentale per la vita di Beckett che, da quel momento, iniziò a nutrire sempre più ammirazione per questo paese e per la sua cultura. L’anno successivo si laureò in lettere moderne con il massimo dei voti e venne nominato lettore al Campbell College di Belfast dove, però, dimostrò scarso impegno e tenne un comportamento sconveniente nei confronti della professione che esercitava; pertanto venne licenziato. Abbandonata la posizione d’insegnante, Beckett si recò in Germania a casa della zia dove, per la prima volta, visse a stretto contatto con persone che preferivano la vita intellettuale al benessere materiale e venne affascinato da questo stile di vita, così diverso da quello irlandese.

Rientrato dalla Germania, Beckett accettò di riprendere la professione di insegnante per la durata di un biennio (1928-1930) all’École Normale Supérieure di Parigi, impiego che gli permise di frequentare ambienti intellettuali e salotti nei quali conobbe, tra gli altri, James Joyce, col quale strinse una forte amicizia e per il quale nutrì sempre grande ammirazione. Essi collaborarono all’opera di Joyce Our Examinations Round His Factification for

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Incamination of Work in Progress per la quale Beckett scrisse il saggio Dante…Bruno. Vico…Joyce nel quale traspaiono tutte le sue conoscenze e i suoi interessi in campo letterario.

Stimolato dall’amicizia con lo scrittore irlandese e dal collega Thomas McGreevy, Beckett decise di dedicarsi non solo alla scrittura critica, ma anche alla stesura di poesie e prosa, riuscendo a pubblicare il suo racconto satirico Che Sciagura all’interno della rivista del Trinity College.

Beckett era talmente influenzato dal pensiero e dalla persona di Joyce da venirne gradualmente sottomesso, eppure questa amicizia gli permise di partecipare alle ricerche del romanziere sulla creazione di nuovi linguaggi, nuovi significati, nuove combinazioni, tanto che è possibile ritrovare nelle parole di Beckett riferite alla scrittura joyciana, un plausibile commento alle sue opere successive:

“Here form is content, content is form. […] (this literature) is not to be read, or rather it is not only to be read. It is to be looked at and listened to. His writing is not about

something: it is that something itself”122

I rapporti tra i due scrittori si incrinarono qualche anno dopo a causa della figlia di Joyce: Lucia si era, infatti, invaghita di Beckett – che così assiduamente si recava a casa del padre per intrattenersi in piacevoli disquisizioni e riflessivi silenzi123 –, ma quando capì che egli non ricambiava le sue simpatie, cadde in depressione e Joyce fu costretto ad allontanare l’amico, la cui presenza non era più gradita.

McGreevy, per riscattarlo dalla tristezza di questa separazione, lo convinse ad iscriversi ad un concorso di poesia, al quale Beckett si presentò con Whorescope, un componimento di novantotto versi che tratta della vita di Cartesio e dell’esistenza come un aspetto del tempo, attraverso un linguaggio quasi ermetico e una successioni di versi oscuri, non immediatamente intellegibili. Nonostante la poesia gli fosse valsa la vittoria del concorso, non venne ben accolta dal pubblico: tanto le case editrici quanto i suoi familiari la respinsero, considerandola incomprensibile. Senza abbandonare mai del tutto la composizione in versi, Beckett si dedicò allora alla critica letteraria e redasse Proust, una monografia sull’omonimo autore che venne pubblicata nel 1931. Questo studio fu rilevante per la futura carriera

122 D. Bair, Samuel Beckett. A Biography, Summit, New York, 1990, p. 94.

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Dreide Bair fa notare all’interno della biografia quanto i due scrittori trovassero piacevole rimanere in silenzio nella contemplazione dei loro pensieri e quanto Beckett avesse imparato l’abilità del silenzio anche per sottrarsi a situazioni scomode della sua vita.

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autoriale di Beckett in quanto lo avvicinò alla tematica del tempo indagata da Proust in La

recherche du temps perdu (1913).

Terminato il biennio di insegnamento all’École Normale, Beckett tornò ad insegnare al Trinity College come titolare di cattedra, interessandosi in particolare a Jules Renard (1864-1910), autore francese del quale lesse con attenzione il suo Journal, nel quale si trova il seguente passaggio:

Last night I wanted to get up. Dead Weight. A leg hangs outside. Then a trickle runs down my leg. I allow it to reach my heel before I make up my mind. It will dry in the sheets.124

Questa indagine su se stesso indica un’attenzione peculiare nel descrivere le proprie azioni, simile a quella di Malon in Malon Meurt. Inoltre si ritrova l’espressione di una volontà che non ha, però, seguito nell’agire, simile all’inazione dei suoi personaggi teatrali.

In quanto professore di francese, gli venne assegnato il compito di occuparsi della rappresentazione teatrale dalla Modern Language Society, per la quale Beckett scrisse Le Kid (1930), una parodia del Cid di Corneille. L’opera venne composta seguendo i precetti del teatro classico relativi all’unità di tempo, di luogo e di azione, ma la modalità di esecuzione fu completamente diversa: la scena fu allestita con una grossa sveglia dalle lancette mobili sullo sfondo e, durante il monologo di Don Diègue, padre del protagonista, le lancette avrebbero girato con ritmo sempre crescente, seguite dall’accelerazione della declamazione di Don Diègue che – accortosi dello scorrere repentino del tempo – concludeva il suo discorso pronunciando freneticamente sillabe e frasi disconnesse in modo sempre più incoerente. Lo spettacolo, che anticipa in parte i lunghi monologhi ai quali si assiste nelle sue opere successive da En attendant Godot a Pas moi, non fu particolarmente apprezzato.

Oltre ai mancati successi delle sue produzioni, in Irlanda Beckett soffriva di una crescente depressione dovuta alla sua insofferenza nei confronti della madrepatria: dopo il suo soggiorno nella capitale francese egli non accettava più la realtà della sua città natale, non ne condivideva lo stile di vita, il nazionalismo esasperato, i discorsi ripetitivi e il provincialismo. Questo malessere si sfogò in diversi disturbi psicofisici, che costrinsero l’autore a cercare rifugio a Parigi, che a quel tempo era una meta internazionale, una sorta di calamita che

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D. Bair, op. cit., p. 118. Nella traduzione italiana: Volevo alzarmi questa notte. Mi sentivo pesante. Una gamba pendeva fuori. Poi un rivolo umido scorre lungo la mia gamba. Occorre che arrivi al tallone perché mi decida. Si asciugherà nelle lenzuola.

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attirava artisti in cerca di libertà espressiva e vita anticonformista. Nella capitale francese Beckett ritrovava l’ispirazione e allontanava il tedio depressivo; per questo si licenziò dalla carica di professore al Trinity College e nel 1931 si stabilì definitivamente in Francia, speranzoso di ricucire i rapporti con Joyce e di instaurare con le case editrici dei rapporti che gli permettessero di guadagnarsi da vivere scrivendo. In effetti riuscì a trovare qualche impiego, ma più come traduttore e critico che come scrittore vero e proprio. Si riavvicinò anche a Joyce grazie alla composizione dell’acrostico di dieci versi basato sulle lettere del nome James Joyce, che lo scrittore apprezzò molto e che consentì a Beckett di reinserirsi nella cerchia di intellettuali che si riunivano attorno alla figura di questo autore.

Nel 1932 cominciò la stesura di un’opera dal titolo Dream of Fair Middling Women in cui il protagonista e alter ego di Beckett, Belacqua, rivive tutta la vita dello scrittore fino al suo ritorno al Trinity College dopo l’esperienza parigina, in accordo con il precetto di Joyce secondo il quale uno scrittore deve occuparsi di ciò che conosce meglio. Inoltre, il nome ricorda il Purgatorio di Dante, dove un ignavo di nome Belacqua è rappresentato come una figura passiva, un “uomo lasso” rannicchiato su sé stesso e simbolo di inazione125

. Molti sono gli elementi interessanti dell’opera ma Serpieri fa notare che l’affermazione più significativa è la seguente: “l’esperienza del mio lettore sarà tra una frase e l’altra, nel silenzio comunicato dagli intervalli, e non nei termini enunciati”126; Beckett ha già intrapreso la “poetica del togliere”, tipica del suo teatro.

Dream non fu ben accolta né da famigliari e conoscenti, offesi dai riferimenti espliciti

a loro nel testo, né dalla critica francese, e Beckett, squattrinato e sprovvisto di un permesso di soggiorno valido, fu costretto a tornare a Dublino dove visse in uno stato di perenne malinconia e disillusione, occupando il tempo ad arrangiare alcune parti di Dream in brevi racconti nella speranza di una loro pubblicazione; solo uno riuscì effettivamente ad apparire su una rivista: Dante and the Lobster.

All’amarezza per il mancato successo dei suoi racconti si aggiunse, nel 1933, la morte del padre, al quale era molto affezionato e che sconvolse la sua vita aumentando le sue responsabilità e allontanando la speranza di una pronta ripartenza verso la Francia. Costretto a trattenersi in Irlanda, trovò conforto e comprensione nell’amicizia col dottor Geoffrey Thompson, amico con cui lo scrittore si intratteneva in conversazioni spesso di argomento

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A. Serpieri, “Oltre il moderno: Samuel Beckett” in Storia della civiltà letteraria inglese, UTET, Torino, 1996, p. 733

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medico, in quanto Beckett era particolarmente interessato e affascinato dallo stato di malattia e dalle deformità fisiche che osservava nell’ospedale dove il dottor Thompson lavorava. Pare che durante una di queste conversazioni, Beckett parlò della vita come di una malattia mortale perché

man, to him, was the prime example of the mortally hill, for man began as a helpless infant, unable to attend to himself, and most of the time ended in the same manner. In man’s beginning and end there was immobility, and each man was thus at the mercy of all others. 127

Tale considerazione ricorda le relazioni di dipendenza che si instaurano tra i protagonisti Beckettiani Hamm-Clov, Vladimir-Estragon, Lucky-Pozzo.

Dopo essersi sottoposto a sedute psicoanalitiche per riscattarsi dallo stato depressivo nel quale era ricaduto durante la sua permanenza in Irlanda, pubblicò i racconti scritti fino a quel momento nella raccolta Nouvelles, che ricevette recensioni favorevoli, ma le sue opere non riuscivano ad accontentare pienamente il gusto della critica. Beckett dovette ripiegare, ancora una volta, sul lavoro di critico letterario per poter guadagnare a sufficienza e rimanere in Francia, ma decise comunque di pubblicare un’enciclopedia delle sue poesie dal titolo

Echo’s Bones nel 1935 sperando in un riconoscimento, se non della critica francese, almeno

di quella londinese, forse più predisposta alla letteratura d’avanguardia.

Si recò allora in Inghilterra e visse per qualche anno tra Londra – dove riusciva a trovare qualche lavoretto, ma nella quale si sentiva un outsider per la sua provenienza irlandese – e Cooldrinagh, la casa natale dove tornava principalmente per trovare la madre. Frustrato per l’insuccesso delle sue raccolte di racconti e di poesie, Beckett si dedicò alla stesura di un romanzo che iniziò già nel 1935 ma che abbandonò più volte prima di completarlo definitivamente e di riuscire a farlo pubblicare nel 1937 col titolo Murphy, scelto in quanto rappresentava il cognome più comune in Irlanda e faceva del protagonista l’uomo qualunque.

Il romanzo tratta dell’esperienza di Murphy, il protagonista, come infermiere in un manicomio, luogo nel quale scopre un mondo a lui più congeniale rispetto a quello esterno. Come successivamente in Fin de partie, a scandire lo svolgimento dell’azione è una partita a

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D. Bair, op. cit., p. 170. Nella versione italiana: L’essere umano iniziava la sua vita come creatura impotente, e la concludeva il più delle volte allo stesso modo. All’inizio e alla fine della vita, l’uomo era ridotto in uno stato di immobilità, e quindi alla mercé degli altri.

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scacchi giocata tra Murphy e il signor Endon – uno dei suoi pazienti –, durante la quale la forza sembra essere l’immobilità più che il movimento delle pedine sulla scacchiera; fin dalla prima mossa, d’altronde, la sconfitta è inevitabile (valutazione evidentemente applicabile all’esistenza umana). Interessante è notare come molti passaggi abbiano luogo all’interno della mente del protagonista che viene a contatto con pazienti che si sono ritirati “dal mondo per rifugiarsi nella follia della loro mente”. In questo romanzo viene introdotto, attraverso le partite a scacchi, il tema dell’incapacità di comunicare. Il signor Endon ignora Murphy, negando la sua presenza e giocando la partita come se questi non esistesse. Il fallimento di Murphy non sta solo nella perdita della partita a scacchi, ma nell’impossibilità, essendo sano di mente e non volendo abbandonare la sua razionalità, di raggiungere lo stato mentale del paziente. Questo primo romanzo, benché accenni a tematiche che l’autore svilupperà nelle opere successive, rimane ancorato ad uno schema temporale e ad una narrazione ancora non spogliata della sua struttura convenzionale. Tuttavia, anche questo romanzo fu un fiasco e Beckett, di cui lo stato psicofisico cominciava gradualmente a peggiorare, prese la repentina decisione di trasferirsi nuovamente a Parigi nel 1937.

Fu durante il primo anno di questo nuovo soggiorno a Parigi, che lo scrittore irlandese fu vittima di un episodio che i critici hanno da sempre ritenuto rilevante per il suo sviluppo letterario. Egli venne accoltellato da un protettore di nome Prudent, per non aver acconsentito alla sua richiesta di elemosina. Durante il processo per il riconoscimento dell’aggressore, Beckett, trovandosi a dover conversare con lui, quando gli chiese cosa l’avesse spinto ad un tale gesto, si sentì rispondere: «non lo so». Per i critici questo episodio è alla base di quel senso di futilità, insensatezza e anche assurdità che si ritrova nelle opere teatrali.

Superata questa infelice vicenda, a Parigi Beckett riuscì finalmente a vedere pubblicato il suo romanzo Murphy che, sebbene non ebbe un successo immediato, ricevette commenti positivi – forse la critica era pronta ad accogliere la sua letteratura d’avanguardia.

Successivamente, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, l’autore fu costretto ad interrompere la sua attività di scrittore: nel 1939 Beckett, che in quel momento si trovava in Irlanda dalla madre, decise di tornare in Francia e, nonostante l’atmosfera di tensione che lo circondava, iniziò a dedicarsi alla traduzione in francese di Murphy. Quando vide Parigi presa d’assedio, però, tentò la fuga prima verso Vichy, dove dimoravano i Joyce e dove sembrava dovesse nascere il nuovo governo francese, e poi verso il Portogallo, ma entrambi i tentativi furono fallimentari e Beckett decise allora di tornare a Parigi.

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Mentre in un primo momento assunse un atteggiamento neutrale nei confronti della guerra, assistere allo sconvolgimento della vita di molti suoi amici ebrei e non, lo spinse nel 1940 ad entrare a far parte della Resistenza francese, che si stava organizzando per respingere l’invasore e diffondere documenti di propaganda antitedesca. Si allontanò da Parigi solo quando la cellula alla quale apparteneva venne scoperta dalle forze tedesche, rifugiandosi a Roussillon, nel sud della Francia, insieme a Suzanne – donna con la quale aveva iniziato una relazione e che condivise con lui l’esperienza della resistenza.

Essi vissero per qualche mese in una casa disabitata ai confini del villaggio, dove l’autore trovò la tranquillità giusta per dedicarsi alla stesura del suo secondo romanzo: Watt, l’ultimo scritto in inglese. Deirdre Bair, autrice della sua biografia completa, fa notare che Beckett scrisse quest’opera con l’intenzione di scongiurare il collasso mentale al quale lo aveva portato non solo l’esperienza della guerra, ma anche la monotona vita a Roussillon, della quale si sentiva prigioniero. Watt ebbe quindi una funzione terapeutica, permettendogli di dar sfogo alle sue frustrazioni; inoltre è un romanzo che rivela l’allontanamento graduale di Beckett dall’influenza che Joyce aveva sempre esercitato su di lui.

Watt è un uomo alle dipendenze del signor Knott, a casa del quale lavora per un certo periodo per poi giungere alla sua destinazione finale: la clinica per malattie mentali dove incontrerà Sam. Il romanzo costituisce un passo decisivo verso la distruzione della trama tradizionale: la storia di Watt è narrata da Sam, al quale evidentemente Watt ha raccontato la sua vita, senza seguire la cronologia fattuale e attraverso un linguaggio stravolto e carico di implicazioni. Oltre ad introdurre un uso della parola tipicamente beckettiano, in Watt è possibile rintracciare la presenza di altri elementi rilevanti come la descrizione minuziosa dei movimenti, il rapporto servo-padrone, i passaggi comici. Watt è stata giudicata un’opera oscura, occulta, organizzata e narrata in maniera non convenzionale e nella quale l’autore cerca di smentire ogni possibile significato, come si nota già dall’assonanza del titolo con la parola inglese What (cosa?) che sembra indicare lo smarrimento del lettore nell’approccio al testo128. Watt, però, è anche un romanzo nel quale è possibile ritrovare nei ricordi del protagonista, avvenimenti della vita di Beckett: ad esempio la casa caotica del signor Knott ricorda i tumulti della seconda guerra mondiale e la clinica per malattie mentali dove la salute mentale del protagonista peggiora, può essere associata a Roussillon, dove l’autore si sentiva recluso.

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Terminata la guerra, Beckett era desideroso di tornare in Irlanda dalla madre e dal fratello, dove fu costretto a rimanere per un lungo periodo in quanto la Francia, che versava in