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Le società costituite conformemente alla legislazione di un dato Stato membro possono cercare di assoggettarsi alla normativa di un altro Stato membro senza dover subire il processo di liquidazione nella loro giurisdizione originale. Questo processo è tipicamente chiamato “reincorporazione”. Questa transazione, se autorizzata, normalmente richiede alle società di trasferire la loro

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“sede statutaria” (o la “sede legale” in giurisdizioni che si rifanno alla sede societaria come indicato nello Statuto) e di essere registrate nel nuovo Paese quale una società governata dalla normativa di questa giurisdizione. Le norme nazionali divergono non poco in materia e i prerequisiti di reincorporazione variano ampiamente all’interno degli Stati membri. Inoltre, molti Stati membri hanno tradizionalmente limitato o proibito tali transazioni eccessivamente difficili. In parte, le difficoltà possono essere spiegate in termini politici, poiché i legislatori degli Stati membri spesso considerano il diritto societario come una strategia per proteggere un’ampia gamma di costituzioni societarie piuttosto che semplicemente dedicarsi alla relazione azionista-dirigente. Il nuovo diritto societario applicabile può essere meno protettivo per i creditori, per altri azionisti o per i soci di minoranza rispetto alla legislazione del Paese d’origine – o, almeno il Paese d’origine può considerare che sia questo il caso. Di conseguenza, una reincorporazione potrebbe essere lesiva per tali “soggetti deboli”, a meno che ci siano altri meccanismi legali nel luogo per tutelarli. Inoltre, quando le norme che proteggono tali soggetti differiscono, ciò può creare la possibilità per le società di sfruttare opportunisticamente tali differenze, persino dove il livello assoluto di protezione è simile negli Stati membri interessati.

Nell’Unione Europea, comunque, le società che vogliono cambiare la legge a cui sono sottoposte, sono previsti espedienti ulteriori rispetto alle re-incorporazioni. In primo luogo, molte società costituite nello Stato membro UE possono fare uso di fusioni transnazionali con l’intento di raggiungere effetti equivalenti a una re-incoporazione. Tali re-incorporazioni de facto sono tipicamente rese effettive incorporando una nuova società

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“fittizia” (normalmente un’affiliata) in un altro Stato membro e poi fondendo la società holding in una società estera appena formata. Le fusioni transfrontaliere di questo tipo ora possono essere attuate sotto un comune assetto procedurale, che conduce a una significativa semplificazione di queste transazioni. Comunque, le fusioni transnazionali possono tuttavia essere onerose e dispendiose a causa della legislazione degli Stati membri coinvolti e dell’assenza di una procedura rapida laddove si voglia realizzare l’unico obiettivo di trasferire la sede sociale della società, senza rendere effettiva una reale integrazione tra differenti società. La seconda opzione di cui un’impresa può servirsi per ottenere un cambiamento del diritto societario applicabile senza liquidazione è usare l’espediente di una società europea (SE). A questo proposito, vale la pena ricordare che la norma SE fornisce solo un generale regolamento ombrello, e che le SE sono principalmente governate dall’assetto legale per le società pubbliche nello Stato membro dove è situata la sede sociale. Le SE possono trasferire le loro sedi legali da uno Stato membro all’altro, che quindi provoca un cambiamento nelle disposizioni nazionali applicabili. Ad esse, però, è richiesto di conservare la sede principale nello stesso Stato membro di quello della sede sociale218. Inoltre, le SE possono essere costituite solo

da società pubbliche preesistenti in specifiche circostanze, che sono specificate nel Regolamento SE219 e il cui comune

denominatore è l’esistenza di un collegamento “transnazionale”.

218 Ricordiamo che la SE è disciplinata ai sensi dell’art. 9 del regolamento, oltre che dallo stesso e dalle disposizioni dello Statuto della SE, anche « dalle disposizioni di legge degli Stati membri, che si applicherebbero ad una società per azioni costituita in conformità della legge dello Stato membro in cui la SE ha la sede sociale ».

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La questione principale delle reincorporazioni transfrontaliere attraverso il trasferimento della sede sociale in tutta l’UE, quindi rimane irrisolta. In particolare, ciò che era poco chiaro, e in parte ancora lo è, è se la libertà di stabilimento richiede allo Stato membro di permettere alle società nazionali di re-incorporarsi all’estero (nell’UE) e alle società estere costituite in un altro Stato membro di incorporarsi nello Stato in questione, come società nazionali, senza la necessità di liquidazione. Negli anni recenti la Corte di Giustizia ha gradualmente chiarito la sua giurisprudenza con lo scopo di favorire la mobilità, sebbene la presente situazione è ancora parzialmente ambigua. La posizione originale della Corte di Giustizia, almeno in base all’opinione ampiamente condivisa, ha permesso agli Stati membri di porre limiti alla delocalizzazione all’estero di una direzione centrale della società e quindi delle “re-incorporazioni in uscita”: basti pensare alla decisione Daily Mail. La Corte ha basato la sua opinione su un presupposto generale riguardante la relazione tra una società e il suo stato di costituzione, che sembra andare ben al di là del diritto tributario. In base all’opinione diffusa, tenendo conto della decisione Daily Mail, gli Stati membri possono porre qualsiasi limite durante qualunque trasferimento di una società nazionale. La Daily Mail, comunque, ha rivelato anche molte ambiguità. Questa decisione, infatti, ha solo indirizzato le restrizioni poste da uno Stato membro contro la rilocalizzazione all’estero di una società per soli fini fiscali, mentre non è stata collegata alle re- incorporazioni estere in generale (che sono, come vedremo in seguito, impossibili dal punto di vista della legislazione inglese). La Corte di Giustizia ha chiarito in parte questi argomenti nelle decisioni più recenti presentate nei casi Cartesio e Vale. In

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di definire […]il criterio di collegamento richiesto’ per assistere all’incorporazione di una nuova società secondo la sua legislazione. Sono dunque gli Stati membri che definiscono il criterio di collegamento che consente alle società estere di poter essere localizzate in esso: in questo riprende Daily Mail. A seguire la Corte spiega che il potere di questo Stato membro non include il potere di impedire una “conversione” in una società disciplinata dalla legislazione di un nuovo Stato membro. Piuttosto, afferma che alla luce della libertà di stabilimento, la società ha un vero e proprio diritto nei confronti dello Stato membro di origine, di reincorporare una società all’estero. Le re-incorporazioni transnazionali, quindi, rientrano nel campo di applicazione della libertà di stabilimento e qualunque restrizione deve essere valutata in base al test Gebhard. In tale prospettiva, provocare lo scioglimento di una qualsiasi società che trasferisce all’estero la sua sede legale con l’intento di re-incorporazione all’estero è, secondo la Corte di giustizia, una reazione né necessaria né proporzionata. Il caso Cartesio, quindi, non sembra fornire risposte conclusive alla questione se gli Stati membri devono permettere alle società nazionali di reincorporarsi all’estero, a maggior ragione per il fatto che non è chiaro se quanto affermato è interamente vincolante o un mero obiter dictum. Ma la CGE ha anche dichiarato che un divieto di re-incorporazioni transfrontaliere è una violazione della libertà di stabilimento, a meno che non sia giustificata da ragioni imperative di interesse pubblico220. Infine, nella decisione presentata nel caso Vale, la

220 A questo proposito, è necessario sottolineare che la Corte polacca ha recentemente sottoposto una richiesta alla Corte di Giustizia per una pronuncia pregiudiziale che miri a chiarire se la legislazione polacca, che effettua costituzioni all’estero, praticamente impossibile senza liquidazione,

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Corte di Giustizia ha affermato che qualsiasi restrizioni alle re- incorporazioni transfrontaliere devono essere giustificate da ragioni imperative di interesse pubblico e dovrebbero essere proporzionate agli obiettivi che gli Stati membri mirano a raggiungere (Test Gebhard221). Di conseguenza, un divieto

assoluto di re-incorporazioni va ben oltre ciò è necessario per la tutela di tali interessi. Gli Stati membri quindi devono attenersi ai principi di “Equivalenza ed efficacia”. La decisione Vale, quindi, ha chiarito che le restrizioni alle re-incorporazioni necessitano di essere giustificate nei confronti del test Gebhard e che un divieto assoluto non è una reazione né necessaria né proporzionata, poiché i soci di minoranza, creditori, e lavoratori potrebbero essere tutelati dall’applicazione della normativa in materia di trasformazioni nazionali. Ciò nonostante, è ancora esistente un elevato numero di ostacoli, e le re-incorporazioni transfrontaliere attraverso il trasferimento della sede legale sembra essere usato raramente nella pratica (sebbene i dati a tale proposito sono scarsi e poco comprensibili), a meno che sia il Paese d’origine sia il Paese di arrivo forniscano regolamenti chiari di queste transazioni e concordano sui prerequisiti. Pertanto, sorge la necessità di introdurre una direttiva di armonizzazione (originariamente intesa come quattordicesima direttiva sul

(come sarà sintetizzato in seguito), è compatibile con la libertà di stabilimento.

221 Pur qualora venga fornita tale prova dovrà poi ulteriormente dimostrarsi: a) che la misura della quale si pretende l’applicazione non dà luogo ad una discriminazione sulla base della nazionalità ed è dunque applicabile anche alle società nazionali; b) che essa sia idonea a perseguire l’interesse meritevole di tutela che si vuole proteggere; c) che non è possibile individuare misure meno restrittive che siano altrettanto efficaci per la protezione di quell’interesse e d) che la lesione alla libertà comunitaria è proporzionale rispetto all’interesse dello Stato di stabilimento ad imporre

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diritto societario) che consenta e regoli le re-incorporazioni transfrontaliere all’interno dell’Unione Europea. La prima proposta dettagliata per una direttiva, che alla fine non è stata approvata, fu presentata nel 1997. Nel 2002 un gruppo di specialisti del diritto d’impresa, a cui è stato affidato dall’Unione Europea il compito di sviluppare proposte di riforma per il diritto societario europeo (il “gruppo di alto livello”), ha suggerito la liberalizzazione delle incorporazioni, come una strategia per incrementare sia un efficiente collocazione di risorse sia la qualità delle legislazioni nazionali. Su questa linea, il Piano di Azione pubblicato nel 2003 dalla Commissione, ha mirato alla modernizzazione del diritto societario e ha affermato che la quattordicesima direttiva era una priorità per l’UE. Questo obiettivo è stato confermato da una consultazione avviata nel 2004, l’ampia maggioranza degli intervistati hanno sostenuto l’idea che “il trasferimento della sede legale non comporterebbe alla società di essere liquidata nel territorio dello Stato membro”. Una vera e propria analisi politica condotta pochi anni fa, comunque, ha rivelato uno scenario ancora più complesso. Questa valutazione d’impatto, infatti, ha concluso che un’armonizzazione mediante la regolamentazione renderebbe troppo rigido un meccanismo e non sarebbe proporzionato agli obiettivi pianificati. Perciò, in base a questa analisi le uniche opzioni lasciate sul tavolo erano o un’armonizzazione attraverso le direttive o lasciare inalterata la situazione attuale. A tale proposito, la valutazione ha anche affermato che l’armonizzazione attraverso la direttiva potrebbe essere troppo onerosa e non proporzionata “considerando che l’effetto concreto della normativa vigente in materia di mobilità transfrontaliera (per esempio la direttiva relativa alla fusione transnazionale) non

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è ancora noto e che l’approccio comunitario al tema del trasferimento della sede legale potrebbe essere chiarito dalla Corte di Giustizia in un futuro prossimo ’’, con la conseguenza che “potrebbe essere consigliabile attendere fino a che l’impatto di questi sviluppi possa essere pienamente valutato e la necessità e l’obiettivo dell’azione dell’UE siano meglio definiti”. Pertanto, il progetto di armonizzazione dei regimi degli Stati membri riguardo il trasferimento transfrontaliero della sede legale era stato accantonato. Dal punto di vista dello Stato di costituzione (di seguito quindi lo Stato d’origine) di una società che cerca di rincorporare sotto la legislazione di un’altra nazione, la tematica più importante è se le norme del diritto internazionale privato consentano alle società di cambiare il diritto societario applicabile (lex societatis) senza una precedente liquidazione. Se questa questione generale ha una risposta positiva, dovremmo chiederci quali norme sostanziali e quale procedura dovrebbe seguire una società per rincorporarsi conformemente alla legislazione di un’altra nazione. Normalmente, come vedremo, le re-incorporazioni richiedono una decisione da parte degli azionisti di trasferire all’estero la sede legale o la sede statutaria della società. Nonostante ciò, non possiamo escludere che alle società potrebbe essere consentito di trasferire la loro ‘sede statutaria’ (modificando la clausola corrispondente nello statuto) senza trasferire la loro registrazione nello Stato dove è situata la nuova sede statutaria. Il fatto che una società potrebbe modificare la clausola del suo statuto che indica la sua ‘sede statutaria’ senza innescare un trasferimento di registrazione è una possibilità che gli esperti di legge hanno considerato; in aggiunta, l’analisi comparativa rivela che ci sono casi dove questa dissociazione è possibile. Dal punto di vista politico, la questione sul se e in quali

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condizioni una giurisdizione consenta le re-incorporazioni transfrontaliere volontarie è abbastanza complesso. Una strategia diffusa per la tutela dei creditori è basata sulle norme in materia di formazione e salvaguardia del capitale, e sui requisiti del capitale minimo nelle società pubbliche, ma l’intensità della tutela del creditore varia negli Stati membri. Inoltre, in diverse giurisdizioni il livello di tutela del creditore è più elevato nelle società pubbliche rispetto a quello private. Per di più, certi Stati membri includono nella lex societatis norme in materia di obbligazioni non garantite e potere degli obbligazionisti. Infine, in alcuni Stati membri i lavoratori hanno il diritto di nominare un certo numero di dirigenti o membri del consiglio di sorveglianza. In tali circostanze, una re-incorporazione assoggettata alla legislazione di un’altra giurisdizione danneggerebbe creditori o lavoratori qualora la nuova giurisdizione fosse meno protettiva rispetto al paese d’origine, a meno che il Paese d’origine consideri quindi queste norme come norme di applicazione necessaria da applicare a società pseudo-transfrontaliere. L’impatto dell’incorporazione sui creditori e altri azionisti quindi dipende dall’ambito di applicazione del diritto societario nel paese d’origine. Nel casi in cui le norme che tutelano i creditori e altri azionisti sono incluse nell’ambito di applicazione del diritto societario, le re-incorporazioni potrebbero danneggiare questi azionisti, qualora il Paese d’arrivo non è “protettivo” quanto il paese d’origine. Al contrario, se il Paese d’origine tutela creditori e altri azionisti mediante norme che appartengono al diritto ‘non’ societario, per esempio diritto in materia d’insolvenza o di illeciti civili, una re-incorporazione è probabilmente meno dannosa per gli azionisti preesistenti, i quali possono continuare a fare affidamento sull’applicazione della legge d’insolvenza o di illeciti

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civili del Paese d’origine. Riguardo la tutela dei creditori, le cose si complicano a causa delle significative differenze tra la regolamentazione di società pubbliche e private che esistono in diversi paesi. Le norme sulla tutela dei creditori delle società pubbliche sono parzialmente armonizzate a livello europeo, mentre di fatto nessuna armonizzazione si è verificata in relazione alle società private. In aggiunta, negli anni recenti è emersa una tendenza all’interno dell’UE alla riduzione e abolizione dei requisiti del capitale minimo e probabilmente in modo più generale, dei meccanismi di tutela dei creditori basate su norme del diritto societario, almeno per quanto riguarda le società per azioni. Di conseguenza, in alcuni Stati membri sono emerse significative differenze nel livello di protezione permesso a creditori di società pubbliche e private, rispettivamente. Gli effetti di un’incorporazione potrebbe quindi dipendere non solo dai paesi, ma anche dal tipo di società nazionale coinvolta. Se osserviamo i regimi degli Stati membri come sono realmente, possiamo vedere che, nonostante lo sviluppo più recente della giurisprudenza della Corte di Giustizia nelle decisioni Cartesio e

Vale, diverse giurisdizioni ancora vietano o rendono impossibile

le re-incorporazioni transfrontaliere. Questi Paesi sono: Croazia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Polonia, Romania e Regno Unito. In effetti, le società costituite in questi Paesi non possono delocalizzare la loro sede statutaria o sede legale all’estero e reincorporare in base alla legislazione di uno Stato membro differente senza previa liquidazione. In molte giurisdizioni, l’impatto di Cartesio e Vale è stato appena discusso o riconosciuto, e solo in Polonia gli esperti di legge sembrano aver argomentato

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questa tematica222. Cinque Stati membri, come il Belgio, Francia,

Grecia, Lussemburgo e Portogallo, permettono alle società di “reincorporare” all’estero conformemente alla legge, nonostante l’ordinamento giuridico nazionale non disciplini perfettamente i dettagli procedurali di questa transazione. Molti di questi Paesi seguono la “teoria della sede reale”, con la sola eccezione della Francia, che è classificata come sistema misto. Per reincorporare all’estero, le società costituite in giurisdizioni ispirate alla teoria della sede reale (Belgio, Lussemburgo, Portogallo e Grecia relativamente alle società pubbliche) dovrebbero trasferire sia la sede amministrativa sia la loro sede statutaria. Comunque, nonostante le norme statutarie, queste giurisdizioni consentano esplicitamente alle società nazionali di cambiare la lex societatis senza la necessità di liquidare, la procedura per la realizzazione di re-incorporazioni transfrontaliere non è regolamentata, aumentando il rischio che le società siano cancellate dal registro della giurisdizione di origine prima della loro registrazione nel registro di commercio della nuova giurisdizione223. Un altro

222 nel 2014 una decisione della Corte d’appello rumena di Brasov ha rifiutato una richiesta di re-incorporazione al Regno Unito sulla base di due argomenti: (a) che la giurisprudenza della Corte di Giustizia, (in particolare Cartesio) non fornisce alcuna linea guida chiara riguardante il procedimento per eseguire le re-incorporazioni, e nessuna norma specifica è stata emessa in Romania; (b) la società specifica che ha cercato di ricostituirsi nel Regno Unito non fornisce la prova che tutte le formalità siano state effettivamente adempite nel Paese d’arrivo.

223 Francia, Grecia, Lussemburgo e Portogallo disciplinano i procedimenti decisionali interni e il meccanismo di tutela degli azionisti, mentre non è previsto nessun meccanismo di misure straordinarie di protezione dai creditori. In base alla Legge sulle Società portoghese, l’assemblea generale degli azionisti dovrebbe approvare un trasferimento della “sede reale” all’estero con una maggioranza abbastanza alta (75% del capitale azionario); inoltre, gli azionisti dissenzienti o assenti possono ritirarsi dalla società (ma

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gruppo di Stati, al contrario, consentono e disciplinano esplicitamente le re-incorporazioni mediante norme societarie dettagliate e norme procedurali. Questi paesi sono: Cipro, la Repubblica Ceca, Danimarca, Malta e Spagna. In tutti questi Paesi, le re-incorporazioni richiedono una decisione degli azionisti di trasferire all’estero la sede legale o la sede statutaria. Molti di questi regimi forniscono meccanismi mirati alla tutela dei creditori e regolamentano esplicitamente la procedura per la realizzazione di reincorporazioni transfrontaliere e per la cancellazione di una società domestica dal registro locale al fine di evitare che la società venga cancellata prima di essere registrata nella nuova giurisdizione.

Molti Stati membri non menzionano e disciplinano in modo esplicito le re-incorporazioni (Austria, Bulgaria, Estonia, Finlandia, Germania, Italia, Lettonia, Olanda, Slovenia e Svezia). In questi Paesi, le re-incorporazioni transnazionali attraverso il trasferimento all’estero della sede statutaria di una società sono state solitamente proibite. Ciò nonostante, la letteratura austriaca, tedesca e danese ammette che, alla luce del caso

Cartesio e Vale, le re-incorporazioni transnazionali devono essere

consentite come in virtù della legislazione UE, anche se i tecnicismi sono ancora incerti. La questione sul fatto se il diritto internazionale privato consenta le re-incorporazioni transfrontaliere, non rispecchia la divisione tra ‘teoria della sede reale’ e ‘teoria dell’incorporazione’. Infatti, molti paesi ispirati alla teoria della sede reale proibiscono le re-incorporazioni,

non c’è nessun provvedimento per la tutela dei creditori). Le società della Francia e del Lussemburgo, al contrario, possono cambiare ‘nazionalità’ (vale adire reincorporare in un’altra giurisdizione) solo mediante una decisione unanime, che rende queste transazioni quasi impossibili almeno per gran parte delle società ampiamente detenute.

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mentre altre giurisdizioni conformi a tale teoria consentono queste transazioni (Belgio, Lussemburgo e Portogallo). Al contrario, alcuni paesi ispirati alla ‘teoria dell’incorporazione’, come Irlanda e Regno Unito, vietano esplicitamente re- incorporazioni transfrontaliere. Stranamente, Cipro e Malta, nonostante si basino sul modello del Regno Unito, consentono e disciplinano le re-incorporazioni. In generale, dunque, la possibilità di reincorporare all’estero è indipendente dalla