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Il diritto positivo evidenzia anche che l'istituto della sede della società commerciale può svolgere funzioni diverse, con scelte non sempre coincidenti tra i vari ordinamenti quanto alla nozione di sede, da essi a tali fini utilizzata. Tradizionalmente, come abbiamo già evidenziato, i sistemi di diritto internazionale privato hanno fatto ricorso alla sede come criterio di collegamento. La sede sociale, però, può valere anche come criterio di giurisdizione, e cioè come elemento della fattispecie che consente che sulla stessa si eserciti la potestà giurisdizionale dello Stato, verosimilmente sulla base di una implicita equipollenza con la medesima funzione che in molti ordinamenti moderni, domicilio o residenza svolgono per le persone fisiche. È così, ad esempio, per il regolamento "Brussels I" (Regolamento 1215/2012 che, dal 10 gennaio 2015,ha sostituito il precedente regolamento 44/2001). Da un lato, il foro generale del domicilio del convenuto posto dall'art. 4, par. 1, trova specificazione nell'art. 63, par. 1 e 2, ai sensi del quale, nell'applicazione della disciplina uniforme regolamentare, le società vanno considerate domiciliate nel luogo, appunto, in cui si trova o la sede statutaria, o l'amministrazione centrale o il suo centro di attività principale, con la precisazione che per quanto riguarda il Regno Unito e l'Irlanda per sede statutaria deve intendersi il "registered office" ovvero, qualora questo non esista, il "place of incorporation" (inteso come luogo di acquisizione

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della personalità giuridica), ovvero, se nemmeno siffatto luogo esiste, il luogo in conformità della cui legge è avvenuta la "formation" (ove il riferimento è più correttamente da intendersi allo Stato della lex societatis, in quanto i luoghi... non emanano leggi127). Sulla base di una tale ricostruzione, parte della

dottrina128 ha, giustamente, sottolineato come la scelta così fatta

dal legislatore europeo non abbia affatto migliorato l'armonizzazione tra i diritti degli Stati membri rispetto alla previgente disciplina di cui all'art. 53, primo comma, della Convenzione di Bruxelles del 1968, e ciò per varie ragioni. Ai sensi dell'art. 63 la domiciliazione delle società ha certo luogo in base ad una nozione autonoma di diritto europeo, ma questa per operare postula necessariamente il rinvio alla lex societatis regolatrice dell'ente volta a volta in rilievo, in quanto sarà solo tale legge a poter dire se l'ente è venuto validamente a esistenza e non si sia estinto (presupposto logico perché lo stesso possa essere parte di un procedimento), se esso debba o meno avere una sede statutaria, un registered office o una sede amministrativa "formale" e dove queste vadano localizzate, quali siano gli atti o i comportamenti legittimamente imputabili all'ente per stabilire dove questo venga di fatto amministrato (ai fini della localizzazione della sua "sede reale") ovvero dove questo intrattenga i principali rapporti con i terzi (ai fini della localizzazione del suo "centro d'attività principale"), in quale luogo l'ente abbia acquistato la propria personalità giuridica. Il fatto poi che tale lex societatis debba essere individuata in modo

127 V. Benedettelli, Sul trasferimento della sede sociale all'estero, Riv. soc., fasc.6, 2010, pag. 1251.

128 M.V. Benedettelli, Criteri di giurisdizione in materia societaria e diritto comunitario, in Riv. Di Dir. Int. Priv e Proc, 2002, 879 ss.

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uniforme in tutto lo spazio giuridico europeo sulla base dei principi di coordinamento tra gli ordinamenti degli Stati membri posti dalla Corte di giustizia con la "dottrina Centros" ovviamente non esclude che l'applicazione dell'art. 63 possa condurre a risultati diversi quanto alla domiciliazione di ciascuna società, in ragione appunto del diritto societario da cui questa è retta e dei contatti che, per quanto consentito da tale diritto, questa ha stabilito col territorio dei vari Stati membri. Ciò vuole anche dire che nell'ipotesi, assolutamente possibile in base a vari diritti societari, che una società veda localizzati in diversi Stati membri due o più dei vari criteri di giurisdizione posti dal combinato disposto degli art. 4 e 63 Regolamento Brussels I bis, l'attore avrebbe in teoria la possibilità di praticare un più o meno ampio forum shopping, in contrasto con la ratio sottesa al foro generale del domicilio che è notoriamente quella di favorire la parte che subisce l'iniziativa processuale facendo sì che le cause siano promosse in un ordinamento ad essa "vicino" e, soprattutto, da essa prevedibile. In realtà, è proprio per far salva tale ratio e la logica complessiva di funzionamento del sistema Brussels I si ritiene che debba essere data una interpretazione restrittiva, nel particolare senso che spetterà alla lex societatis che regge un determinato ente stabilire se questo possa o meno avere una domiciliazione multipla, ovvero se le azioni nei suoi confronti debbano essere promosse esclusivamente in una delle diverse "sedi" contemplate dall'art. 63, o se occorra adottare soluzioni intermedie.

Invece, nel fissare un foro esclusivo per le controversie in materia di validità, nullità o scioglimento delle persone giuridiche o di validità delle decisioni dei rispettivi organi, il regolamento, “Brussels I” bis all'art. 24, n.2 dà rilievo alla "sede" tout court

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dell'ente, lasciando che sia il giudice del foro a determinarla in applicazione delle proprie norme di diritto internazionale privato. Negli Stati che interpretano la nozione di “sede” quale “sede statutaria” della società, il tribunale interno avrà competenza a decidere sulle questioni elencate nell’art. 24 della nuova versione del regolamento Brussels I, solo laddove la società sia costituita nel foro medesimo. Al contrario, quando gli Stati membri intendono la sede reale quale fattore determinante la giurisdizione, le corti interne saranno competenti a decidere in tali materie solo nel caso in cui la società convenuta abbia un collegamento reale con lo Stato in questione o comunque svolga la propria attività economica principalmente sul territorio di tale Stato. I criteri di giurisdizione divergono profondamente tra i vari Stati membri dell’UE e possono sorgere per questo non pochi conflitti di giurisdizione positivi e negativi. Sorprendentemente, le corti nazionali di diversi Stati membri dell’UE non hanno mai avuto la necessità di interpretare il concetto di sede menzionato dal regolamento Brussels I: è questo il caso della Danimarca, Francia, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Polonia e Portogallo. In altri Stati membri, la nozione di sede di cui all’art. 24 è stata interpretata nel senso di sede reale o luogo in cui la società detiene gli uffici amministrativi e direttivi, con la conseguenza che le corti di tali Stati sono competenti a decidere laddove il convenuto sia una società che, pur non essendo costituita nello Stato in questione, abbia ivi il centro degli affari. È questo il caso del Belgio, della Francia, dell’Italia, Polonia e Spagna. Con riferimento all’Italia, si è fatto richiamo alla sede intesa come luogo dove la società svolge la propria attività economica. In Bulgaria, Croazia, Danimarca, Irlanda, Romania, Slovacchia, il concetto di sede viene interpretato alla stregua di registered

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office con la conseguenza che le corti domestiche sono competenti anche laddove la società convenuta abbia la propria sede reale all’estero. È interessante il caso della Germania e Austria che interpretano il concetto di sede a seconda che la società convenuta sia o meno una società europea: per le società europee, infatti, si intende richiamare il luogo della sede reale della società, mentre per le società non europee il foro esclusivo in materia di costituzione e nullità delle società spetta alla Corte dello Stato in cui tale società ha la propria amministrazione centrale. Tale soluzione mira chiaramente ad evitare conflitti di giurisdizione negativi e positivi in UE. Invece il Regno Unito e il Belgio adottano un duplice criterio di interpretazione: una società può essere infatti convenuta in giudizio di fronte alle corti domestiche non solo nel caso in cui sia stata costituita nello Stato in questione ma anche nel caso in cui essa svolga la propria attività economica in esso. Una così ampia competenza delle corti domestiche genera spesso conflitti positivi di giurisdizione, soprattutto in relazione a quelle società straniere il cui Paese di costituzione segue l’interpretazione della sede statutaria. Dall’analisi comparativa emerge che l’interpretazione del concetto di sede di cui all’art. 24 del reg. Brussels I rispecchia certamente i problemi in materia di determinazione di legge applicabile alle società. Dal momento che anche il regolamento suddetto lascia agli Stati l’interpretazione della nozione di sede sulla base del proprio diritto internazionale privato, rileviamo una perfetta simmetria tra i criteri di giurisdizione e i più importanti fattori di connessione per la determinazione della legge applicabile. Infatti, in molti Stati che chiaramente seguono la teoria dell’incorporazione, la nozione di sede (art. 24) viene attualmente interpretata nel senso di registered office e allo

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stesso modo molti degli Stati che prevedono il criterio di collegamento della sede reale ai fini della determinazione della legge applicabile alla società fanno richiamo alla sede reale della società anche per definire la competenza giurisdizionale delle corti interne. L’Italia assume una particolare posizione: nonostante che venga qui seguita la teoria dell’incorporazione, il concetto di sede sembra per lo più essere stato interpretato nel senso di sede reale: dunque è incerta l’operatività di tale criterio. Nel caso in cui venga adottato, come è auspicato, un regolamento volto a disciplinare la materia internazional-privatistica della legge applicabile, il fattore di connessione che verrà scelto potrà incidere indirettamente anche sull’ interpretazione da dare all’art. 24 punto 2, anche se per ragioni di certezza del diritto, sembra opportuno sostituire esplicitamente il criterio di giurisdizione in materia di diritto societario di cui all'articolo 24, paragrafo 2 del regolamento Brussels I bis con un criterio uniforme, e preferibilmente, con il criterio della "sede legale" (o «sede statutaria»), intendendo per esso il Paese in cui è incorporata la società o il Paese secondo le cui leggi è stata costituita una nuova società. Questa nuova formulazione sarebbe coerente con l’approccio generale di diritto internazionale privato in materia di società ed eviterebbe inevitabili conflitti positivi e negativi di competenza. Inoltre, sembra opportuno ampliare l'ambito dei problemi generali di diritto societario al di là degli stretti limiti imposti dall'articolo 24, paragrafo 2, del regolamento Bruselles I bis, al fine di includere almeno le azioni derivative nonché qualsiasi altra azione relativa alla responsabilità degli amministratori e degli altri organi sociali e qualsiasi procedura che gli azionisti interni, gli amministratori o gli organi di vigilanza possano invocare davanti a un tribunale per far rispettare

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obblighi in materia di diritto societario. Dal momento, poi, che l’art 24 (2) mira a garantire il rispetto di discipline imperative poste dalla lex societatis e di evitare la pronuncia di sentenze contraddittorie concentrando di fronte ad un unico giudice i procedimenti sulle relative liti e facendo coincidere forum e ius si auspica un’interpretazione teleologica della disposizione che porta in questo caso a localizzare la "sede" della società nello Stato ai sensi della cui legge questa è stata costituita, indipendentemente dal fatto che poi in tale Stato si trovino (come spesso accade) anche la sede statutaria, il registered office, l'amministrazione centrale, il centro d'attività principale.

La sede della società, intesa quale "centro degli interessi principali del debitore", vale poi come criterio di giurisdizione nella disciplina comunitaria delle insolvenze transfrontaliere per individuare lo Stato membro competente ad aprire, condurre e chiudere procedure "principali", mentre per le insolvenze che non ricadono nell'ambito di applicazione di tale disciplina, in quanto il COMI129 del debitore è situato fuori del territorio della UE, tale

criterio andrà individuato nella "sede principale della impresa" ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, comma 2, l. 218/1995 e 9, primo comma l. fall.

Nel particolare contesto della integrazione europea, la sede sociale è infine spesso utilizzata come criterio di applicabilità, vale a dire come elemento della fattispecie che lega la stessa agli

129 Il "Reg. 1346/2000", ed oggi il nuovo regolamento n.848 del 2015 sulle insolvenze transfrontaliere utilizza a diversi fini tale nozione ma senza darne una precisa definizione, limitandosi a porre una presunzione relativa di coincidenza con la sede statutaria dei debitori-persone giuridiche (art. 3, par. 1) e ad affermare che esso dovrebbe essere individuato nel "luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi" (considerando n. 13).

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obbiettivi perseguiti dal diritto europeo e ne giustifica la valutazione da parte di un ordinamento funzionale e con limitate competenze d'attribuzione qual è quello dell’ Unione Europea: questione, questa, diversa e preliminare rispetto a quella di natura conflittuale che si pone quando, accertata la volontà di applicazione del diritto europeo, questo possa cedere di fronte al diritto di uno Stato terzo, o subire comunque da questo condizionamenti, in virtù dei contatti che la fattispecie presenti con tale Stato. È questa la vera funzione dell'art. 54 TFUE che, talora erroneamente considerato espressione di una norma di conflitto, si limita in realtà ad attribuire i benefici delle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi a società commerciali che presentino il duplice requisito di essere venute validamente ad esistenza in base alle autonome valutazioni dell'ordinamento di uno Stato membro e di essere collegate al territorio comunitario per avervi localizzati "la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro d'attività principale". È questa anche la funzione delle disposizioni contenute in varie Direttive di armonizzazione che definiscono, appunto, i limiti di applicazione dello strumento comunitario dando rilievo al fatto che le società oggetto di disciplina abbiano la propria sede sociale in uno Stato membro, lì ove è evidente che la formula debba meglio intendersi come riferita alla circostanza che si tratti di società costituite ai sensi della lex societatis di uno dei partners del processo integrativo.

Anche il diritto tributario spesso richiede un criterio di connessione territoriale quale presupposto per la determinazione dei soggetti che sono sottoposti al pagamento delle imposte. Il concetto di “residenza fiscale” varia nello specifico in ciascuna giurisdizione e solitamente questo è previsto in modo autonomo

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rispetto ai criteri per la determinazione del diritto societario applicabile, cosicché molte giurisdizioni richiedono ai fini dell’attribuzione della residenza fiscale una relazione qualificata con il territorio dello Stato e la sua vita economica. Alcuni Stati membri tra cui l’Italia, applicano delle tax exit alle imprese che decidono di trasferirsi all’estero ovvero anticipano l'assoggettamento a imposizione delle plusvalenze rispetto al momento ordinariamente previsto se non vi fosse stato trasferimento della residenza. Altri Stati, come, per esempio il Regno Unito ma anche la Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Polonia e Spagna assolutamente non prevedono alcuna tassazione in uscita e questo regime non protezionistico risulta in linea con l’orientamento della Corte emerso nella sentenza National Griud Indus130. In questa decisione, la Corte è

intervenuta per circoscrivere la portata delle exit tax: questa conclude abbastanza velocemente (sia la sentenza sia le conclusioni danno invece ampio spazio al tema delle giustificazioni e a quello della proporzionalità) che la disposizione (impositiva della exit taxation) oggetto di interpretazione alla luce dell’art. 49 del TFUE, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento alla luce del fatto che il trasferimento della sede amministrativa all'interno del territorio europeo non è soggetto a tassazione131. Dopo tale constatazione, il

giudice procede secondo lo schema classico132: una restrizione

130 Corte di Giustizia, Grande sezione, 29 novembre 2011, C-371-2010, Nationa Grid Indus BV c. Inspecteur van de Belastingdienst Rotterdam, tra l’altro in Rass. Trib.2012, 1337, con nota di C.De Pietro, Exit tax societaria e garanzia di proporzionalità: una questione rimessa agli Stati membri.

131 Punto 36 della suddetta sentenza.

132 Punto 42 della sentenza. “Risulta da una giurisprudenza costante che una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se giustificata

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alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se giustificata da motivi di interesse generale, però la sua applicazione deve esser idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo. Nei punti 42 e seguenti la Corte affronta quindi la questione, se la restrizione alla libertà di stabilimento è giustificata dallo scopo di mantenere una equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri. Il mantenimento della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri viene giudicato un obiettivo legittimo, in quanto gli Stati membri, in mancanza di un'armonizzazione a livello dell'Unione europea, rimangono competenti a definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri di ripartizione del loro potere impositivo. L'Avvocato Generale sottolinea che "a tale proposito non è irragionevole per gli Stati membri ispirarsi alla prassi internazionale e in particolare ai modelli di convenzione elaborati dall'Ocse"133. Infatti, secondo la Corte il principio di territorialità

nel caso della exit taxation ha bisogno di una delimitazione temporale, nel senso che il potere impositivo dello Stato di partenza si deve fermare temporalmente al momento dell'uscita dal territorio dello Stato, cioè alle plusvalenze formatesi sulla base dell'attività svolta fino al momento del trasferimento della sede all'estero. Le variazioni di valore intervenute nel patrimonio della società trasferita dopo l'uscita sono di competenza esclusiva dello Stato di arrivo. A queste condizioni la Corte sostiene l'idoneità dell'exit taxation a garantire un'equilibrata ripartizione

da motivi imperativi di interesse generale. Anche in tale ipotesi, però, la sua applicazione dovrebbe essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo in tal modo perseguito e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo”. 133 Punto 19 delle conclusioni.

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del potere impositivo tra gli Stati membri. Alla luce di tale sentenza l’Italia ma anche la Danimarca, l’Austria, l’Irlanda e la Francia, continua a prevedere la tassazione sulle plusvalenze latenti maturate dall’impresa solo fino al momento del trasferimento134. La Corte legittimando la competizione tra

ordinamenti societari, implicitamente ammette anche una competizione tra regimi fiscali. Un esempio a noi vicino di ciò è il trasferimento della sede legale e fiscale della FCA del gennaio del 2014 rispettivamente in Olanda (il cui diritto societario è meno rigido) e in Gran Bretagna (la cui tax corporate è del 20% annuo rispetto al 31% annuo richiesto nel 2014 dallo Stato italiano alle imprese). Una delle ragioni che fanno della Gran Bretagna oggi il Paese più attraente dove collocare un’impresa internazionale è proprio il regime fiscale previsto per le società, profondamente modificato con una riforma del 2010. Al fine di favorire la libertà di stabilimento, il Regno Unito ha sottoscritto trattati con oltre cento Paesi per evitare o limitare la doppia imposizione e adotta una politica volta a limitare le ritenute alla fonte sul pagamenti degli interessi. In tema di spostamento della sede fiscale verso ordinamenti più favorevoli, appare interessante una proposta della Commissione europea denominata “clausola generale anti abuso” che nelle intenzione dell’organo europeo avrà la funzione di impedire alle grandi società di scegliere le loro sede al solo scopo di non pagare le tasse nel luogo in cui esse svolgono la loro attività prevalente, ecco dunque che in questi casi può essere utile tornare ad un criterio reale e fattuale.

134 Per un approfondimento: Crazzolara, National Grid Indus: divieto di tassazione immediata nel caso del trasferimento della sede all'estero, nota a sentenza, Riv. dir. trib., fasc.12, 2011, pag. 349.

102 CAPITOLO 3

Questioni di diritto internazionale privato: i criteri di collegamento impiegati e l’ambito di applicazione oggettivo della

lex societatis

3.1 Rapporto tra diritto sostanziale societario, diritto