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Nonostante la risoluzione di suddette incertezze in ordine al criterio di collegamento per individuare la legge applicabile sia preliminare alla stessa messa in opera delle libertà fondamentali di stabilimento e di prestazione dei servizi e possa condizionarne il godimento, nessuna disposizione del Trattato affronta espressamente la risoluzione della questione che può sorgere a seguito del potenziale conflitto tra le norme che regolano il fenomeno societario degli Stati membri.

Questa lacuna forse si spiega con il timore dei negoziatori del Trattato di Roma e di Lisbona di non riuscire a trovare un compromesso tra le due suddette teorie in materia di diritto internazionale privato delle società che oggi, come allora, si confrontano nell’esperienza giuridica degli Stati membri. Il Trattato di Roma all’art. 293 TCE, oggi abrogato, si limitava a prevedere l’avvio di negoziati tra gli Stati membri in materia societaria, al di fuori del sistema istituzionale al fine di garantire a favore dei loro cittadini il reciproco riconoscimento delle società, il mantenimento della personalità giuridica in caso di trasferimento da un Paese all’altro. Questa norma è rimasta però lettera morta: l’unica convenzione che gli Stati sono stati in grado di concludere è quella sul reciproco riconoscimento delle persone giuridiche e delle società, firmata a Bruxelles nel febbraio del 1968. Un documento, oggi, di valore storico dal momento che non è mai divenuta produttiva di effetti giuridici, per mancata ratifica

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da parte dell’Olanda44. I Paesi Bassi non la ratificarono per timore

che l’adozione del regime della Convenzione potesse dare origine ad uno stato di cose incompatibile con i propri principi di diritto internazionale privato che in materia di società si rifanno al puro principio dell’incorporazione, perciò in Olanda si riconoscono tutte le società straniere ovunque, e legittimamente, costituite. Nel Trattato di Roma (artt. 43 e 48 TCE) e oggi nel Trattato di Lisbona (artt. 49-53 TFUE) rilevano, invece, riferimenti circa il diritto di stabilimento delle società. Al comma 1 dell’art. 49 TFUE45, non è prevista alcuna definizione dello stabilimento; lo

stesso si limita solo a impartire un divieto generico di restrizione in capo agli Stati del diritto di stabilimento delle società, in favore della mobilità delle imprese europee. La stessa cosa vale per la seconda parte dell’art. 49, ove il trattato estende il divieto di restrizioni alle sole ipotesi di apertura di filiali, succursali e

44 Il fallimento dell’art. 293TCE, può essere spiegato a causa della lettura della stessa norma nella parte in cui la medesima richiede agli Stati avvio di negoziati solo “per quanto occorra”, impegnandosi nella sola eventualità che non fosse stato possibile trovare soluzione mediante il diritto comunitario. Secondo Tagnani, in Contratto e Impresa, num.1 del 2015, pag. 286: “il fallimento di tale convenzione non ha avuto esito negativo sul processo di armonizzazione in quanto il trattato vieta ogni forma di discriminazione fondata sulla nazionalità, il che comporta quale effetto giuridico l’equiparazione delle società straniere a quelle nazionali. Anche la Corte di cassazione italiana (Cass., sentenza del febbraio del 1993, n.1853), ha sancito che “ordinamento giuridico italiano, riconosce la personalità giuridica delle società straniere in forza della loro mera esistenza secondo la legge dello Stato di costituzione, con il limite che configgano con i limiti dell’ordine pubblico).” Asserisce ancora Wymeersch: il fatto che la Convenzione non sia entrata in vigore non ha significato una totale inutilità della Convenzione stessa. L’autore porta infatti l’esempio della Corte di Cassazione belga, E.Wymeersch, Il trasferimento della sede della società nel diritto societario europeo, Riv. soc., fasc.4, 2003, pag. 723.

45 Art. 49: “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro”.

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agenzie da parte dei cittadini europei. Soltanto al comma 2 il legislatore fornisce una definizione di stabilimento inteso come diritto attribuito agli enti privati di “costituire e gestire imprese, in

particolare società”. Da tale analisi normativa rileva che in ambito

europeo si distinguono due modalità di esercizio del diritto di stabilimento, si tratta dello stabilimento a titolo principale, che si manifesta attraverso la creazione o il trasferimento in uno Stato membro diverso da quello di origine della sede sociale di una società e dello stabilimento a titolo secondario. Nello stabilimento principale, quindi, l’ente ha diritto di trasferire il centro della propria attività in un diverso Stato membro, con la conseguenza che tale attività cessa di essere svolta nel Paese di origine. Nella seconda ipotesi, invece, l’esercizio della libertà di stabilimento comporterà che il beneficiario continui a svolgere una parte (non necessariamente prevalente) dell’attività oggetto del diritto di stabilimento nel proprio Paese di origine, e l’altra parte in un diverso Paese membro, mediante l’apertura di agenzie, succursali e filiali.

Il libero trasferimento di società in UE trova espresso riconoscimento nell’art. 54 del TFUE, che opera un’estensione della libertà di stabilimento prevista per le persone fisiche alle persone giuridiche, purché la società sia “costituita

conformemente alla legislazione di uno Stato membro e che abbia la sede sociale o l’amministrazione centrale o il centro dell’attività principale all’interno dell’Unione”. In relazione a tale disposizione,

una società per godere del diritto allo stabilimento dovrà osservare tali criteri di collegamento. Dunque il verificarsi di un trasferimento all’estero della sede della società richiede un

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“doppio vaglio”46: in primo luogo deve risultare una società che

integra uno dei requisiti di territorialità dell’art. 54 del TFUE, segue una duplice valutazione di legittimità da parte dello Stato di costituzione47 e da parte dello Stato di destinazione della società,

secondo ciascuno la propria lex societatis.

Al secondo comma dell’art. 54 TFUE48 invece viene definito

l’ambito di applicazione: dalla lettera della norma si deduce la volontà del legislatore di includere nella nozione di società differenti modelli societari, dunque la nozione è estremamente ampia: sono escluse solo quelle società che non perseguono uno scopo di lucro.

Nonostante la presenza di tali riferimenti normativi nel trattato, sussistono poi diversi problemi pratico-applicativi al trasferimento della sede all’estero che rischiano di non concedere effettiva attuazione della libertà di stabilimento. Primo tra tutti il problema del mancato riconoscimento della soggettività straniera, nonché individuazione della legge applicabile e quindi

46 Cfr. Torino, Diritto di stabilimento delle società e trasferimento transnazionale della sede, in Riv. Dir. UE, 2011, p. 155.

47 Per Stato di costituzione di una società si intende lo Stato che ha riconosciuto legalmente l’esistenza dell’ente collettivo e che ne ha disciplinato la costituzione, il funzionamento, l’organizzazione, lo scioglimento, e tutte le altre vicende societarie. Secondo un interpretazione abbastanza costante della Corte di Giustizia dell’Ue le società sono «enti che hanno natura fittizia» (si veda la sentenza Daily Mail –1988) e che esistono nel traffico giuridico unicamente perché un ordinamento giuridico (esclusivamente quello nazionale) ne disciplina ogni aspetto.

48 Articolo 54 (ex articolo 48 del TCE) “Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro”.

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l’eventuale possibilità di modifica della legge a cui sia sottoposta la società, problemi che spesso sono acuiti anche dalla poca chiarezza normativa, per esempio riconducibile all’ambiguità del concetto di sede.

Nel trattato di Roma, eccetto l’art. 293, non erano previste disposizioni volte a risolvere tali problematiche tra cui quella della legge applicabile alle società: è da escludere, infatti, che una norma uniforme di conflitto sia individuabile dalla clausola contenuta nell’art. 48 TCE. Nonostante una parte della dottrina non fosse d’accordo, l’interpretazione maggioritaria considerava l’art 48 TCE, la norma che definisse quali fossero le società titolari del diritto di stabilimento. Pertanto le questioni concernenti l’esistenza e il riconoscimento delle società, preliminari ai fini del godimento delle previsioni del Trattato, erano e in parte sono tutt’ora rimesse alla discrezionalità e ai criteri nazionali, da qui l’esigenza di un’armonizzazione del diritto societario.