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Le varianti del concetto di sostenibilità

1.1 Inquadrare il problema

Nel corso degli ultimi trenta anni il concetto di sostenibilità è stato analizzato, sviluppato, approfondito (a volte banalizzato), la sua plurivocità semantica progressivamente amplificata. Nonostante ciò, il consenso e le aspettative intorno ad esso sono costantemente cresciute, sino a trasformarlo oggi in una sorta di mantra collettivo, di concetto passepartout attraverso il quale si legittimano le operazioni più disparate per le finalità più diverse (a volte del tutto inconciliabili).

Ciò aiuta a spiegare perché, a partire dagli anni ’901, nel momento stesso in cui veniva proposto come nuovo punto di riferimento, il concetto stesso di sostenibilità è stato messo sotto osservazione e sempre più in discussione. Ci si è accorti che, lungi dal poter essere il punto di riferimento certo, indiscutibile, evidente per la riflessione e per l’azione, esso era in realtà una nozione controversa, contestata, instabile e, tutto sommato, poco condivisa. Una nozione dalle implicazioni per alcuni radicali, critiche, innovatrici ed emancipatorie; per altri pragmatico-applicative, funzionali all’adattamento tecnocratico di modelli già esistenti e dominanti di sviluppo a nuove condizioni (Norton, 1995; Naredo, 1996; Jiménez Herrero, 1997; Sachs, 1997; Bifani, 1999; Masera & altri, 1999; Fien & Tilbury, 2002; Newport & al., 2003).

Sostenibilità è oggi uno dei termini più largamente e frequentemente utilizzati in ambito

scientifico (in particolare nel campo delle scienze ambientali), in ambito educativo e, più recentemente, nel confronto politico, nei media e nel settore pubblicitario. In realtà, a questa crescente centralità della nozione di sostenibilità nel dibattito politico e culturale contemporaneo non ha fatto riscontro un altrettanto forte impegno nella chiarificazione del concetto. Questo per diverse ragioni.

In primo luogo, perché quello di sostenibilità è un concetto antico e recente al tempo stesso. Esso è stato presente nella storia dell'umanità sin dalle sue origini. Molte civiltà, filosofie, religioni, fedi e culture del mondo, antiche e più recenti (Buddismo, Sufismo, Gandhismo, Induismo, Taoismo, dei Sumeri, dei Maya, delle aree Mediterranee, degli Indiani Nord Americani, etc.) hanno cercato e continuano a cercare di gestire il rapporto tra umanità e natura in termini di equilibrio, saggezza e possibilità di continuità nel tempo (Cooper & Palmer, 1998; Samson, 1995).

In secondo luogo, perché è un concetto che deriva da un insieme di valori che hanno un ruolo trasversale assai più vasto ed importante del significato attribuito ad esso da singole discipline e scienze.

In terzo luogo, perché è un concetto portatore di un consistente cambiamento paradigmatico. Esso connota infatti molto profondamente quella trasformazione del pensiero strategico di lungo termine che è caratteristica dell'attuale periodo storico ed interessa praticamente tutti i campi dell'attività umana, coinvolgendo scienza, cultura, etica, filosofia, politica, religione, nuova cultura imprenditoriale, etc.

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Il passaggio decisivo è costituito dal Summit della Terra di Rio e dal parallelo Forum delle associazioni non governative.

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In quarto luogo, perché più che essere una prescrizione concreta, la sostenibilità è, in senso kantiano, un’idea regolativa, ossia un concetto trascendentale che contribuisce alla sistemazione del sapere e alla sua innovazione senza prescrivere rigidi modelli attuativi. In altri termini, la crescita di consapevolezza orienta la ragione umana verso la volontà generale di perseguire la sostenibilità; una volontà che si riferisce a ciò che l'individuo e tutti gli esseri umani dovrebbero fare trovandosi oggi nella necessità non più rinviabile di riconciliarsi con la natura.

La sostenibilità ha quindi oggi lo stesso ruolo assunto in passato da altre idee regolative, quali libertà, giustizia, solidarietà, equità, etc. Idee che possono dare un orientamento generale, ma che devono essere interpretate concretamente in relazione di volta in volta alle varie, e sempre diverse, situazioni specifiche (Homann, 1996; Brand, 1997).

Da questo punto di vista, la sostenibilità può essere intesa anche come un nuovo strumento metodologico per affermare valori che aprono le prospettive per un nuovo patto costituzionale. Un patto che può essere scritto unicamente dagli esseri umani, che dipende da loro, dalla loro percezione dei nuovi valori, dalla loro cultura, dalla misura in cui questi valori sono condivisi all'interno e tra le comunità sociali internazionali, nazionali, regionali e locali.

Il modo in cui la sostenibilità, come idea regolativa, è resa operativa (tramite costituzioni, leggi, programmi e politiche) dipende dalle specifiche situazioni, realtà sociali e culturali. Comporta la riconsiderazione e la rinegoziazione delle relazioni fra molteplici livelli decisionali e ambiti d’azione e prevede una varietà molto ampia di interpretazioni, di attuazione e di modi di agire.

Ciò porta a ritenere che a tutt’oggi non esista una definizione esauriente di sostenibilità (Homann, 1996), addirittura che una definizione esauriente non possa nemmeno esistere, perché la ricerca stessa di tale definizione è di per sé erronea. Cosa sia la sostenibilità, cosa possa essere chiaramente compreso con questo termine, lo potremo scoprire infatti solo al termine di un processo di ricerca, di apprendimento e di esperienza che durerà decine di anni; ma non lo sapremo mai in maniera definitiva. Così come un medico non ha bisogno di definire operativamente la salute per iniziare una terapia, l'inesistenza di una definizione operativa di sostenibilità non impedisce però che sia possibile, doveroso, impegnarsi sin d’ora per avviare iniziative politiche, socio-economiche e culturali coerenti per la sua realizzazione(Homann, 1996).

L’analisi della struttura e dell’evoluzione del concetto di sostenibilità costituisce quindi di per sé un esercizio estremamente difficile e controverso (in particolare per alcune ragioni che analizzeremo in seguito). Nello stesso tempo, alcuni tra i protagonisti del dibattito sulla sostenibilità svoltosi negli ultimi 25-30 anni hanno deliberatamente preferito affidarsi ad una definizione ambigua del concetto (Naredo, 1996), favorendo in questo modo il prender forma di interpretazioni contrastanti sostenute di volta in volta dal punto di vista di orientamenti ideologici molto diversi tra loro, a volte addirittura contrapposti.2

Sino agli anni ’70 del XX secolo il termine sostenibilità è stato utilizzato occasionalmente in ambito agronomico, quasi esclusivamente per indicare una specifica modalità di sfruttamento delle risorse forestali, in particolare la capacità di un sistema agronomico di mantenere la sua produttività a fronte di eventuali perturbazioni. (Jiménez Herrero, 2000, p. 100)

In una fase successiva il concetto si è esteso a tutti i sistemi naturali ed ha assunto quella connotazione ecologico-conservazionista che ne è stata la caratterizzazione dominante nel corso degli ultimi decenni. Infine, la nozione ha varcato questo stesso confine naturalistico e si è

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caratterizzata in senso ambientale più complessivo, includendo così progressivamente connotazioni di tipo economico, sociale, culturale, etico (Bifani, 1999, p. 100) e integrando visioni diverse e complementari.

Opinioni condivise non esistono nemmeno per quanto riguarda la comparsa del concetto di

sostenibilità nel dibattito politico e culturale. Secondo alcuni autori (Grundy, 1997), il concetto

sarebbe stato utilizzato per la prima volta a Parigi nel 1968 nell’ambito di una conferenza inter- governativa sulla biosfera. Secondo altri (Fien & Tilbury, 2002), il termine sarebbe stato introdotto nel dibattito internazionale dalla Dichiarazione di Cocoyot, siglata per iniziativa delle Nazioni Unite nel 1974, e sull’onda della pubblicazione della “Strategia Mondiale per la Conservazione della Natura” da parte della Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (UICN) nel 1980.

La diffusione su scala mondiale del concetto di sostenibilità in associazione alla nozione di

sviluppo è stata poi avviata dalla Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo (CMAD)

nel 1986 (Luffiego García & Rabadan Vergara, 2000). Più recentemente, soprattutto nel mondo anglosassone, il termine sostenibilità è stato invece spesso utilizzato come sinonimo di altre parole, quali “long-term”, “durable”, “sound”. (Leal Filho, 2000)

Queste brevi, sicuramente parziali, osservazioni ci aiutano a comprendere perché milioni di persone in tutto il mondo si chiedano oggi: “Che cosa significa esattamente la parola sostenibilità?“, “È possibile definire cosa è sostenibile?”.

Le visioni circa quali siano le caratteristiche di una società sostenibile sono molteplici e spesso contrastanti. Paradossalmente, mentre abbiamo una certa difficoltà a immaginare un mondo sostenibile abbiamo invece molto meno problemi a definire cosa è insostenibile nelle nostre società. Ciò aiuta a comprendere perchè il concetto di sostenibilità sia emerso storicamente essenzialmente per via negativa, come risultato delle analisi sulla situazione di “emergenza planetaria” (Bybee, 1991) che si è venuta a determinare e che minaccia gravemente il futuro dell’umanità.3

Secondo Bybee (1991), quella della sostenibilità deve essere riconosciuta come la “idea centrale unificatrice maggiormente necessaria in questo momento della storia dell’umanità” (citato in Novo, 2006, cap. 3, traduzione italiana a cura dell’autore). Nello stesso tempo, questa idea si fa strada con molta difficoltà ed è costantemente accompagnata da incomprensioni, critiche diffidenze.

Un’idea con potenzialità straordinarie per la costruzione di una nuova visione unificante della realtà, con implicazioni educative forti ed evidenti, registrate da tutti i documenti di riferimento internazionali e analizzate a fondo dalla comunità accademica. Un’idea recente, che avanza però con notevole difficoltà nella società, nella politica, nell’educazione. Ciò probabilmente a causa del fatto che i segni di degrado e di insostenibilità (sociale, economica, ambientale) dei nostri modelli di vita e di sviluppo sono stati, sino a poco tempo fa, poco visibili o sistematicamente sottovalutati.

La sottomissione della natura ai desideri degli esseri umani e il disinteresse per le conseguenze a lungo termine dei nostri comportamenti è stata vista, sin dalla rivoluzione scientifica moderna, come un segno distintivo delle società avanzate e della modernità (Mayor Zaragoza, 2000). Per questo, come ha correttamente sottolineato Mayor Zaragoza, la preoccupazione per la sostenibilità dei nostri comportamenti e delle nostre scelte “es indicio de una auténtica revolución de las mentalidades: aparecida en apenas una o dos generaciones, esta metamorfosis cultural, científica y social rompe con una larga tradición de indiferencia, por no decir de hostilidad". (2000)

3 Proprio Un futuro minacciato è il titolo del primo capitolo del rapporto della Commissione Mondiale per l’Ambiente

e lo Sviluppo, meglio conosciuto come Rapporto Brundtland (Brundtland, 1988), al quale si deve uno dei primi tentativi di introdurre nel dibattito politico il concetto di sostenibilità.

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La seconda ragione di questa difficoltà è che sostenibilità è un termine profondamente controverso, che interessa un certo numero di discipline specialistiche e che sfugge ad una definizione soddisfacente ed universalmente accettata. L’accordo su cosa sia sostenibilità è stato in passato e continua ad essere oggi estremamente precario, i motivi di contrasto decisamente più numerosi dei fattori di accordo.

Tralasceremo, dal momento che non costituisce oggetto specifico di questa ricerca, la discussione sul significato e il valore dell’associazione tra sviluppo e sostenibilità, che tanto ha impegnato e sta impegnando le comunità accademica e politica mondiali. Nella nostra discussione dovremo comunque tener conto dell’importanza che questa discussione ha da un punto di vista generale, dal momento che l’accettazione acritica di una connessione tra sviluppo, inteso come crescita quantitativa, e sostenibilità comporta la possibilità che modelli di tipo tecnocratico, produttivistico e continuista si impongano in modo strisciante e inconsapevole.4

È necessario invece concentrarsi su alcune critiche e osservazioni che sono state sviluppate a proposito del concetto di sostenibilità in quanto tale. Una prima critica riguarda il fatto che il concetto di sostenibilità non sarebbe altro che l’espressione di un significato di senso comune del quale è possibile trovare traccia in molte culture e civiltà. Sostenibile deriverebbe da sostenere e perciò dalla radice latina sustinere, il cui primo significato è mantenere stabile, costante, qualcosa. Si tratterebbe quindi di un concetto per nulla innovativo, per nulla rigoroso e per di più poco connotato da un punto di vista scientifico.

In realtà, l’elaborazione e lo sviluppo del concetto di sostenibilità nel corso degli ultimi 30-40 anni si è fondata su una constatazione del tutto nuova e di portata rivoluzionaria: il mondo e le risorse non sono cosi grandi e illimitati come abbiamo creduto sino ad oggi. Per questo, il concetto contemporaneo di sostenibilità non è, crediamo, riducibile a quello elaborato da molte culture tradizionali.

Una seconda critica riguarda il fatto che, in un universo governato dal secondo principio della termodinamica5, l’idea stessa della sostenibilità sarebbe un non senso. Nulla sarebbe cioè, per definizione, sostenibile in eterno. In realtà, quando si parla di sostenibilità (ecologica, sociale, economica, educativa, ecc.) non si parla di orizzonti temporali di milioni di anni ma solo di pochi decenni o di alcuni secoli, o addirittura del qui ed ora (come nel caso di alcuni aspetti della sostenibilità educativa). Come afferma Ramòn Folch (1998), il paradigma della sostenibilità “no es

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Sono molti (Naredo, 1998; García, 2004; Girault y Sauvé, 2008; Latouche, 2008) coloro che respingono questa associazione e considerano l’espressione sviluppo sostenibile un semplice ossimoro, vale a dire l’unione di due concetti contrapposti, una contraddizione in termini, una manipolazione messa in atto dai teorici dello sviluppo che credono nella possibilità di far coesistere crescita economica e sostenibilità ecologica. In realtà, l’idea di sviluppo sostenibile elaborata dalle organizzazioni internazionali nel corso degli ultimi 30-40 anni ha ben poco a che vedere con questa prospettiva sviluppista. Come ha molto ben sottolineato Maria Novo (2006), è necessario “situarse en otra óptica; contemplar las relaciones de la humanidad con la naturaleza desde enfoques distintos". Il concetto di sviluppo sostenibile si fonda cioè sulla convinzione che sia possibile avere sviluppo, miglioramento qualitativo e affermazione di potenzialità, senza crescita, vale a dire senza incremento quantitativo, senza incorporazione di maggiori quantità di energia o di materiali in senso fisico. In altre parole, mentre la crescita non può continuare all’infinito in un mondo finito, lo sviluppo si. Di più, la continuazione dello sviluppo, la sperimentazione continua di cambiamenti qualitativi profondi nei nostri stili di vita è necessaria per far fronte alle sfide della crisi globale del mondo attuale.

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ninguna teoría, y mucho menos una verdad revelada (…), sino la expresión de un deseo razonable, de una necesidad imperiosa: la de avanzar progresando, no la de moverse derrapando”.

Non esiste quindi una definizione univoca e universalmente condivisa della sostenibilità. Non esiste nemmeno un accordo tra gli studiosi su come possano/debbano essere ricostruite le diverse varianti della definizione di questo concetto e, di conseguenza, i rapporti tra le diverse interpretazioni. Ciò che proveremo a fare, nel nostro tentativo di rimettere un po’ d’ordine nel dibattito sulla sostenibilità, sarà di identificare e presentare sinteticamente alcuni punti di coagulazione/cristallizzazione del dibattito. Le posizioni/definizioni che presenteremo sono state scelte per la loro significatività, per il rilievo che hanno assunto nel dibattito internazionale, per la capacità di orientare il dibattito culturale e le iniziative operative promosse a livello locale, nazionale e globale.

L’obiettivo non sarà quindi di ricostruire un quadro completo delle definizioni della sostenibilità elaborate all’interno dei processi politico-diplomatici attivati dalla comunità internazionale6 o dalla comunità accademica mondiale negli ultimi decenni. Proveremo invece a ricostruire alcune tra le posizioni presenti in questo dibattito e le loro linee di intersezione/sovrapposizione più significative. Presteremo attenzione in particolare a due diverse, per molti versi complementari, prospettive. Da un lato a quella che è stata definita la “sostenibilità normativa” (Rìos, 2004). Si tratta della dimensione politica del concetto, di quell’aspetto che trova espressione nell’insieme degli accordi e delle proposte formulate a partire dal 1972 dalle organizzazioni internazionali (ONU in primis) nella cornice concettuale dello sviluppo sostenibile. Dall’altro a quella dimensione che è stata invece definita la “sostenibilità positiva” (Rìos, 2004). Si tratta in questo caso di quell’aspetto che ha trovato espressione nel dibattito culturale e accademico, con un’accentuazione di volta in volta più marcatamente economica, ecologica o sociale, e che non ha prodotto, almeno sino ad ora, un accordo significativo su cosa sarebbe necessario sostenere e come.

L’obiettivo sarà quindi quello di ricostruire una fenomenologia di base delle prospettive che si sono affermate negli ultimi decenni, riconoscendone i diversi orizzonti concettuali di riferimento. Un lavoro che non vuole avere pretese di esaustività e nel quale cercheremo di evitare uno sguardo di tipo evoluzionista e continuista che porterebbe necessariamente ad interpretare il processo come un percorso di miglioramento ed affinamento progressivo degli strumenti concettuali.

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