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Le varianti del concetto di sostenibilità

1.4 Le varianti della sostenibilità Sostenibilità come etica dell’adattamento

Alcuni tra i temi centrali e più innovativi delle ricerche sulla sostenibilità sono state molto efficacemente riassunte da Lester Brown12 nel volume Il 29° giorno. Un’opera di straordinaria

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visione prospettica, paradossalmente pubblicata nel 1978, ben dieci anni prima del Rapporto

Brudtland.

Lester Brown afferma che

Il bisogno di adattare la vita umana simultaneamente alla capacità di rigenerazione dei sistemi biologici della Terra e ai limiti delle risorse rinnovabili richiederà una nuova etica sociale. L’essenza di questa nuova etica è l’adeguamento: l’adeguamento del numero e delle aspirazioni degli esseri umani alle risorse ed alle capacità della Terra. Questa nuova etica deve soprattutto arrestare il deterioramento del rapporto dell’uomo con la natura. Se la civiltà, quale la conosciamo oggi, deve sopravvivere, quest’etica dell’adeguamento deve sostituire la dominante etica della crescita..

Con queste parole Brown porta l’attenzione su una dimensione ulteriore della sostenibilità, una dimensione a suo modo di vedere assolutamente centrale e di rottura profonda con il passato: la dimensione etica. La sostenibilità impone di sostituire l’etica dominante della crescita con una nuova etica dell’adattamento delle dimensioni, dei bisogni e delle aspirazioni della specie umana ai limiti biologici del nostro pianeta. Il deterioramento dei sistemi biologici non può essere considerato, a suo modo di vedere, semplicemente come un problema secondario che interessi soltanto gli ecologi. “Il nostro sistema economico dipende dai sistemi biologici della Terra. Tutto ciò che minaccia la vitalità di questi sistemi biologici minaccia anche l’economia mondiale. Ogni deterioramento di questi sistemi rappresenta un deterioramento delle prospettive dell’umanità”. (Brown, 1978)

La scienza della sostenibilità individua come proprio obiettivo primario quello di sostenere, di garantire la continuità. Ma la continuità di cosa? In una prospettiva antropocentrica, la scienza della

sostenibilità dovrebbe saper garantire non semplicemente la “continuità delle società umane”,

qualsiasi siano le condizioni di vita dei loro membri, bensì quella che Paul Reitan ha definito la continuità di ‘successful’ human societies, cioè di società in grado di garantire ai propri membri perlomeno sufficienti quantità di cibo sano, protezione e sicurezza, equità, pace, dinamismo intellettuale, possibilità di auto-realizzazione. Ma per garantire questi beni collettivi, le società non dovrebbero in nessun modo minare i sistemi geo-ecologici naturali dai quali dipende la continuità nel tempo di una ‘successful’ human society.

La sostenibilità coincide quindi con la capacità di una società di esser quanto più possibile in sintonia con il proprio contesto locale e regionale, in armonia con i propri sistemi di supporto geo- ecologico, di adattare gli stili di vita agli ecosistemi con i quali convive, di sostenere questi stessi ecosistemi attraverso culture, pratiche, forme di organizzazione economica e politica adatte al contesto locale. Anche partendo da una premessa antropocentrica si approda perciò ad una visione ecocentrica.

Interpretata in questo modo, la sostenibilità è un compito straordinario, una missione che non può venir realizzata senza mettere in discussione radicale la visione consumistica del mondo oggi dominante e abbandonare quella che Cairnes (2004) ha definito la nostra dipendenza dalla crescita.

Questa concezione della sostenibilità ci riporta alla nozione di ecologia profonda elaborata ormai quasi quaranta anni or sono da Arne Naess (1973). La preoccupazione per l’inquinamento, l’esaurimento delle risorse, i rischi geologici e biologici non sono sufficienti per garantire la continuità dei sistemi sociali umani sul pianeta. È necessario affidarsi invece ad una nuova visione olistica del sistema Terra, ad una visione ecologica profonda, ben diversa dal protezionismo ambientale che caratterizza l’ambientalismo superficiale. Come ha affermato Fritjof Capra (1998),

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mentre l'ambientalismo superficiale è interessato ad un controllo e ad una gestione più efficienti dell'ambiente naturale a beneficio dell' “uomo, l'ecologia profonda riconosce che l'equilibrio ecologico esige mutamenti profondi nella nostra percezione del ruolo degli esseri umani nell'ecosistema planetario”.

Vedere gli organismi come nodi di un sistema geo-bio-sferico di relazioni di interdipendenza; comprendere che senza le relazioni che intrattiene con il tutto ogni entità non è in effetti nulla; affidarci ad un senso del tutto nuovo del sé come parte integrale del tutto e del tutto come parte integrante del sé. Gli esseri viventi e gli ecosistemi, come tutti gli elementi del Cosmo, hanno un valore in sé. Tutta la Natura ha un valore intrinseco e unitario, così come ha un valore in sé ogni sua componente, formatasi in un processo di miliardi di anni. La specie umana è una di queste componenti, uno dei rami dell'albero della Vita e ad essa non può essere riconosciuto una posizione di particolare privilegio all’interno del complesso dei viventi.

L'idea caratteristica della cultura occidentale, di quella scientifica, tecnica, religiosa ed anche, in una certa misura, filosofica, circa la posizione umana nell’universo appare dal punto di vista dell’ecologia profonda più o meno come un curioso, infondato, delirio di grandezza e di onnipotenza. La specie umana non è depositaria di diritti speciali né proprietaria di alcunché. Il concetto di progresso è un’invenzione della civiltà occidentale per negare la dignità e i diritti delle altre forme viventi, distruggere le altre culture umane e restare l'unica cultura del Pianeta. Sviluppo significa in realtà il grado di sopraffazione della nostra specie sulle altre specie e della civiltà industriale sulle altre culture umane.

Questa nuova consapevolezza afferma la necessità di una nuova etica, un’etica della sostenibilità, secondo la quale io stesso sono il tutto e quindi prendermi cura di me stesso significa necessariamente prendermi cura della geo-bio-sfera. Abbandonare quindi l’etica dominante nel mondo consumistico occidentale, l’etica della scialuppa di salvataggio, secondo la quale “First I have to take care of myself”. Un’etica non più accettabile alla luce della definizione di sostenibilità dell’ecologia profonda. Ad essa dovrà sostituirsi in futuro una nuova etica basata sulla consapevolezza che “the only lifeboat is the one that holds all of us – Lifeboat Earth”. (Hardin, 1974; Zen & Palmer, 2004)

L’obiettivo della sostenibilità diventa così quello di riportare, per quanto possibile, in una condizione di co-evoluzione i sistemi naturali ed i sistemi sociali, contribuendo a costruire una nuova situazione di armonia tra i metabolismi di questi sistemi. E ciò richiede l’elaborazione da parte della scienza della sostenibilità di una nuova etica, un’etica impegnata ad integrare e applicare le conoscenze del sistema Terra13, armonizzate con la conoscenza delle interrelazioni umane ricavate dalle scienze umanistiche e sociali, mirate a valutare, mitigare e minimizzare le conseguenze, sia a livello regionale sia mondiale, degli impatti umani sul sistema planetario e sulle società. (Reitan, 2005)

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