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INSEGNAMENTO E APPRENDIMENTO

Nel documento Insegnare in Trentino (pagine 90-93)

INTENZIONI E RICHIESTE

2. INSEGNAMENTO E APPRENDIMENTO

Nello scenario attuale, da un lato i cambiamenti paradigmatici in varie discipline interessate allo studio dell’insegnamento e dell’apprendimento (pedagogia e psico-logia in primis), gradualmente confermati dalla ricerca empirica e dall’applicazione sul campo, hanno portato a riconsiderare nel suo complesso il sistema di pratiche didattiche in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Dall’altro, le indicazioni normative e di policy provenienti dalle scelte di sistema di ogni singolo paese stanno portando a profondi ripensamenti sull’azione didattica, con una centratura particolare per il contesto classe. Termini come “partecipazione”, “coinvolgimento”, “collaborazione”,

“costruzione comune”, “integrazione”, per citare solo i più rappresentativi, si stanno sempre più diff ondendo nel lessico delle comunità scientifi che, di quelle applicative e di quelle legate allo sviluppo della policy educativa.

Come aff erma Cisotto [2005], il dibattito in questo ambito, degli esperti di istru-zione e di educaistru-zione, è stato fi no ad ora concentrato su una sorta di “tensione du-plice”. La prima tensione è legata alla necessità di defi nire in maniera accurata la do-tazione di competenze necessarie per la corretta integrazione dei discenti/alunni nei contesti scolastici prima e professionali poi. La seconda tensione è legata alla parola chiave predominante nel dibattito degli ultimi decenni, e cioè “fl essibilità”: fl essibilità dei curricoli e nell’integrazione dei saperi, per scongiurare eventuali rischi di setto-rialità e frammentazione legati a pratiche didattiche ancorate a forme specifi che di conoscenza.

È soprattutto l’azione di ripensamento sulla natura della conoscenza, dei processi dell’apprendere e dell’insegnare a guidare questa duplice tensione. Il precipitato delle più recenti teorie psicologiche della cognizione situata (ad esempio Lave, 1988), che propongono una visione contestualizzata della natura del pensiero, è rintracciabile nell’intuizione in ambito educativo che la somma di competenze non è suffi ciente a dotare di signifi cato l’esperienza scolastica e che occorre una struttura connettiva a cui ricondurre situazioni spesso parcellizzate. C’è bisogno di capire sia come le co-noscenze e competenze trasformino le visioni del mondo degli allievi, le interazioni con gli altri e i contesti di vita, sia come fare in modo che un curricolo fondato su una visione situata della competenza non produca un modello adattivo, piuttosto che generativo di apprendimento.

Nelle concezioni più tradizionali, ancora radicate nei contesti educativi, cono-scenze e competenze tendono ad essere viste come oggetti della mente organizzati in repertori distinti, a cui l’individuo attinge in maniera “privata” nell’esecuzione di compiti di apprendimento. Questa concezione individuale è supportata dai modelli di mente e di cognizione diff usi per buona parte del secolo scorso a opera

dell’asso-ciazionismo prima (ad esempio Th orndike, 1949) e del cognitivismo poi (ad esempio Gagnè, 1989). La metafora ricorrente con cui la teoria associazionista si riferì alla mente fu quella di una scatola nera, ossia un sistema impenetrabile di cui non si possono conoscere i processi, né le modalità di funzionamento. Questa concezione indusse a ritenere l’apprendimento un processo etero-diretto e cumulativo e, come conseguenza, a impostare l’insegnamento secondo modelli deterministici e di pura trasmissione delle informazioni da un esperto ad un discente in formazione. Un’al-tra metafora spesso usata in letteratura, per riferirsi a concezioni più Un’al-tradizionali, è quella che descrive il processo di insegnamento/apprendimento come un’attività

“mimetica” [Brooks, Brooks, 1999], cioè un processo che coinvolge i discenti quasi esclusivamente nella ripetizione o nella mimesi appunto, di nuovi contenuti, valutati attraverso prove standardizzate.

L’aff ermarsi di una diversa prospettiva da cui considerare la mente e la sua attività si ha verso la fi ne del secolo scorso ed è segnalata dall’emergere, come già accennato prima, di parole nuove: “menti” invece di “mente”, contesti di apprendimento, cono-scenza negoziale, cognizione emergente dalle situazioni, autobiografi e conoscitive.

Esse indicano aree di senso a cui rivolgono l’attenzione gli sviluppi recenti della ricer-ca sull’apprendimento, che delineano l’acquisizione di conoscenza come un processo dialogico e di sintonizzazione adattiva. Il sostantivo “costruttivismo” è il grande con-tenitore per questo nuovo tipo di approccio.

In quest’ottica, piuttosto che come contenitore che classifi ca e organizza cono-scenze in solitudine, la mente è descritta come un sistema diff uso, che si avvale del contributo di pensieri altrui, del supporto di numerosi strumenti e opera su problemi e attività in contesti specifi ci. La sua risorsa principale è la capacità di intrecciare informazioni di natura e provenienza diversa e di comporle in forma adatta alle situa-zioni. Un genotipo particolare che ha come fenotipo elettivo una nuova connotazione della pratica didattica, più votata alla partecipazione tra discenti e tra discenti ed esperti, cioè educatori, insegnanti etc.

Nella prospettiva cosiddetta “contestualista” dell’apprendimento confl uiscono fi -loni eterogenei di indagine che si richiamano al costruttivismo socio-culturale (ad esempio Wertsch, 1990). Questo orientamento teorico attribuisce un ruolo di primo piano ad aspetti ritenuti abitualmente marginali nell’acquisizione di conoscenza. In particolare, esso riconosce valore agli strumenti simbolici e materiali di cui insegnan-ti e allievi si servono per lavorare con i saperi, alle interazioni sociali, alle occasioni informali di apprendimento e alla specifi cità delle situazioni, che impone usi adattati e sottilmente diff erenti di una stessa conoscenza. Dà rilievo, inoltre, alla storia per-sonale degli apprendimenti, in cui convergono aspetti cognitivi, socio - aff ettivi e motivazionali.

Queste rifl essioni inducono un cambiamento duplice sul piano dell’istruzione. Il primo riguarda la progettazione del sistema didattico, in cui il tradizionale triangolo della relazione educativa, costituito da insegnante, allievo e oggetti di conoscenza, richiede di essere incardinato in un sistema contestuale complesso. In tale sistema l’accento è posto sulle relazioni tra le diverse componenti. Il rapporto tra alunno e conoscenze è mediato dalle interazioni sociali e dagli strumenti, mentre gli elementi di conoscenza sono in relazione duplice con attività ed esperienze dei contesti sco-lastici ed extrascosco-lastici. La funzione dell’insegnante risulta distribuita poiché egli organizza il complesso delle azioni educative: media le relazioni tra il singolo allievo e il gruppo dei pari, facilita l’approccio alla conoscenza tramite i mediatori didattici, guida la transizione tra gli apprendimenti informali e quelli formali e orienta l’acqui-sizione di saperi oltre il contesto scolastico [Galliani, 1998].

Il secondo cambiamento investe l’oggetto di studio della didattica e scaturisce dal-le trasformazioni in atto sul piano culturadal-le e sociadal-le. Molta parte della ricerca del secolo scorso è stata rivolta allo studio di modalità e strategie per ottimizzare l’ap-prendimento degli allievi. Tuttavia nella società defi nita “della conoscenza”, il solo obiettivo della formazione di competenze individuali non basta e si impone un’altra priorità formativa, quella di perseguire la crescita e il miglioramento del sapere come patrimonio sociale distribuito, mettendo gli studenti in grado di partecipare all’im-presa comune di costruzione delle conoscenza. In questa prospettiva, come fa notare Cisotto [2005], si rende necessaria una teoria della didattica dei processi di insegna-mento capace di coniugare la prospettiva dell’apprendiinsegna-mento come processo indivi-duale con quella della costruzione di conoscenza come bene comune e responsabilità condivisa [Bereiter, 200].

Insegnare nella società della conoscenza comporta, in primo luogo, contrastare ogni forma di “conoscenza inerte” [Engestrom, 1991]. Si defi nisce così quella co-noscenza che serve solo all’interno dei compiti in cui è stata appresa e poco o nulla conta per agire in modo intelligente nelle situazioni della vita quotidiana. Molte di-scipline, allo stato attuale, sono insegnate come conoscenza inerte, poiché teorie e concetti rimangono incapsulati in domini specifi ci e in compiti scolastici, con scarsa possibilità di entrare in relazione con idee di altri domini e compiti di natura diversa.

Questo punto è stato approfondito dalla gran parte delle agenzie di policy educativa a livello internazionale, soprattutto in base ai risultati delle indagini comparative sulla condizione dell’educazione nelle diverse realtà nazionali. Ad esempio l’OCSE, che ha come indagine di punta sulle tematiche educative il PISA (Programme for Internatio-nal Student Assessment),1 è impegnata in questi ultimi anni in tutta una serie di

ini-1 http://www.oecd.org/pages/0,3417,en_32252351_32235731_1_1_1_1_1,00.html

ziative di tipo conoscitivo e di relative proposte operative a supporto dell’innovazione nei sistemi educativi, anche e soprattutto per quanto riguarda le pratiche didattiche.

L’ultima indagine in ordine di tempo, attualmente in corso, è il TALIS (Teaching and Learning International Survey)2 che ha la fi nalità di comprendere, in un’ottica compa-rativa, le caratteristiche dei contesti di insegnamento e di apprendimento all’interno delle singole scuole. Altre attività legate all’innovazione nei contesti educativi da par-te dell’OCSE sono riconducibili, ad esempio, al CERI (Centre for Educational Resear-ch and Innovation),3 che ha dato in questi anni preziosi contributi nell’ambito della personalizzazione dell’insegnamento (OCSE, 2006), altro tema di scottante attualità.

In ambito nazionale e locale (per quanto riguarda la Provincia Autonoma di Trento) è diffi cile in questa sede fare un elenco esaustivo di tutti i progetti speri-mentali di innovazione della didattica. Si può però segnalare una serie di atti legi-slativi/normativi che hanno dato impulso e sostegno allo sviluppo della didattica.

Ad esempio la legge 53 del 2003 (più nota come «Riforma Moratti»), il decreto legi-slativo 59 del 2004, le circolari ministeriali 84 del 2005 e 85 del 2004, le indicazioni per il curricolo del settembre 2007, il nuovo obbligo dell’istruzione del settembre 2005 e, nel contesto trentino, la legge provinciale nr. 6 del 2005 (cosiddetta «Legge Salvaterra»). In contemporanea a queste indicazioni normative, le attività di raccolta di informazioni sullo status quo e sulla creazione e implementazione di progetti di innovazione della didattica si stanno sempre più diff ondendo. Solo per fare qual-che esempio sulla parte di sperimentazione/applicazione di “nuove didattiqual-che”, tra i progetti che l’IPRASE del Trentino sta coordinando, tra i più rilevanti si possono segnalare quelli sulla “didattica laboratoriale per le scienze e la matematica” oppure sulla “personalizzazione dell’apprendimento nel contesto classe”.

Le indagini svolte dallo IARD sulle condizioni degli insegnanti coprono anche questo aspetto dello stato attuale della didattica, con un taglio particolare, in questo caso, per le scuole trentine.

3. GLI INDICATORI E LE VARIABILI PRESENTI NEI QUESTIONARI 19992008

Nel documento Insegnare in Trentino (pagine 90-93)