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Nella letteratura sugli international manufacturing network è possibile trovare diversi contributi che si occupano di tematiche strategiche, soprattutto di strategie manifatturiere in un contesto internazionale (ad esempio Vos, 1991; Sweeney, 1994) e di international operations strategy (Prasad et al., 2001; Rudberg and West, 2008).

Shi et al. (1997) e Shi (2003) propongono un framework (v. Figura 2.2) rappresentante il processo generale di formulazione di una global manufacturing strategy, strutturato in quattro fasi per identificare le esigenze esterne, valutare le capability disponibili al momento all’interno del network, identificare la “manufacturing mission and configuration” ed infine le attività necessarie per modificare il network.

Figura 2.2: The process of global manufacturing strategy (Fonte: Shi, 2003)

2.2.1 STRATEGIE DI COSTRUZIONE E GESTIONE DI UN NETWORK MANIFATTURIERO: IL CONTRIBUTO DI FERDOWS (2009)

L’importanza di un legame forte tra la international manufacturing strategy e le strategie di alto livello aziendali è messa in risalto anche da Ferdows (2009). L’autore sottolinea infatti che spesso aziende con un network produttivo simile possono avere performance e risultati molto diversi l’una dall’altra. Secondo Ferdows, la ragione di questo risiede appunto nelle strategie di più alto livello dell’azienda, identificando due modelli strategici antitetici di costruzione e sviluppo di un international manufacturing network.

Il primo modello viene definito footloose ed è caratterizzato da una continua ricerca di condizioni di produzione migliori, sia in stabilimenti propri che in stabilimenti produttivi posseduti da altre aziende. Il secondo modello è chiamato rooted ed è caratterizzato da un impegno a lungo termine per ogni sito di produzione al fine di permettere il raggiungimento del massimo potenziale per ogni stabilimento. Non è inusuale che in uno stesso settore industriale si possano trovare aziende che adottano diversi tipi di manufacturing network, in accordo con le diverse strategie competitive.

“Both models have their own logic. Those in search of more agility in an increasingly

un-certain and volatile world usually argue for more footloose networks; and those who want more stability to develop unique production capabilities, ironically to cope with the same uncertain and volatile world, argue for more rooted networks. The first group wants to leve-rage capabilities of others and conserve own resources for other functions like design and marketing; second group wants to use own production and supply chain capabilities as a competitive weapon.

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[…] Both models can be successful. IKEA has succeeded with the footloose model and Intel with the rooted model.” (Ferdows, 2009, p. 138)

La Tabella 2.1 sottostante riassume schematicamente gli obiettivi strategici alla base dei modelli footloose e rooted, le tipologie di aziende che maggiormente si adattano a tali modelli e le aree strategiche di creazione del valore.

Tabella 2.1: Modelli Footloose e Rooted a confronto

MODELLO FOOTLOOSE MODELLO ROOTED

OBIETTIVO STRATEGICO

Ricerca continua di una

localizzazione interna o esterna più conveniente per spostare la produzione

Impegno a lungo termine negli impianti di proprietà tramite forti investimenti per svilupparne le risorse e il potenziale

TIPOLOGIA DI AZIENDE CHE SI ADATTANO AL MODELLO

Aziende in cerca di una maggiore flessibilità in una situazione sempre più instabile e volatile e che vogliono concentrare le risorse interne su altre funzioni come marketing o progettazione

Aziende che vogliono maggiore stabilità per puntare su risorse e competenze produttive uniche per competere

CREAZIONE DEL VALORE

Valore creato fuori dalle fabbriche, tramite il design e le attività di coordinamento e controllo

Valore creato all’interno delle fabbriche, la produzione è un asset importante per l’azienda

Le aziende che adottano una tipologia di network footloose tendono ad esternalizzare la produzione mediante accordi produttivi e impiegano le proprie risorse su altre aree di creazione del valore, come quella del design e del marketing. Questo permette all’azienda di incentrare la propria attenzione nel campo dell’innovazione, dello sviluppo del prodotto e in altre attività strategiche (Slepniov et al., 2009). Le aziende che adottano una tipologia di network rooted concentrano la propria attenzione sulla produzione interna e sulle capacità del supply chain. Inoltre, il ruolo strategico dei plant e il livello di know-how presente varia in modo significativo da un modello footloose (in cui gli stabilimenti sono di proprietà dei fornitori oppure, se interni, con un basso livello di know-how) a un modello rooted (costituito da stabilimenti di proprietà dell’azienda e con elevate competenze).

L’autore sottolinea che spesso le aziende si spostano in maniera quasi inconsapevole da una tipologia all’altra di network produttivo, spinte dalla ricerca di benefici in termini di costi sempre maggiori. È fondamentale, tuttavia, che un’azienda nella scelta della strategia di internazionalizzazione consideri non solo gli aspetti legati al fattore economico, ma anche le strategie aziendali a medio-lungo termine (Ferdows, 2009).

“The problem arises when a company adopts a model by default. In particular, those that end

up with a footloose network - and there seems to be more of them in recent years - often get there not by a deliberate strategic choice but through a series of ad hoc decisions. They may shift production from one of their factories to another half way around the world to shave off production costs; they may decide to use contract manufacturers to fill a temporary gap in the production capacity or launch a new product quickly when there is yet no internal production capability; they may see an opportunity to reduce production costs, avoid in-vestment in manufacturing, and show a quick improvement in return on capital employed if they outsource production. Perhaps they have no other option: their production volume is too

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small to justify building a devoted factory or they simply don’t have enough resources to add production capacity.

Each of these decisions may be justified in isolation. However, together they can put the company on a slippery slope that pushes it further towards the footloose model. And the process is often irreversible.” (Ferdows, 2009, p. 140)

Il modello footloose, in uno scenario competitivo sempre più volatile come quello odierno, risulta essere particolarmente attrattivo per le imprese, che al fine di ridurre i costi e aumentare la flessibilità ricorrono spesso a offshoring e outsourcing. Ferdows tuttavia mette in luce gli importanti rischi e costi nascosti di questo modello:

 perdita di know-how;

 demoralizzazione del personale aziendale;

 aumento della tendenza alla commoditization dei prodotti;

 possibilità che i fornitori terzisti possano diventare pericolosi concorrenti.

Dopo aver descritto le caratteristiche dei modelli produttivi footloose e rooted, Ferdows analizza in quali condizioni un modello risulta favorevole rispetto ad un altro.

“We suggest a simple framework as a starting point. The framework is based on two fundamental attributes of the product: uniqueness of its design and exclusivity of its production process.

[…]In a nutshell, moving towards a footloose model is appropriate only when the product is turning into a commodity and the processes used for its production and delivery are becoming more standardized and widely available. In any other case this move can create long-term problems.” (Ferdows, 2009, p.143)

Il framework di Ferdows (2009) – riportato nella Figura 2.3 sottostante – individua quattro quadranti. In basso a sinistra e in alto a destra sono rispettivamente posizionati i modelli footloose e rooted, mentre i rimanenti due quadranti sono descritti dall’autore come “posizioni scivolose”, ovvero difficilmente sostenibili dall’azienda, che potrebbe quindi facilmente orientarsi verso un modello footloose.

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Un’azienda può non essere costretta ad adottare in modo univoco un network orientato verso un modello rooted oppure footloose. Ferdows infatti suggerisce che una strategia vantaggiosa può essere la scelta di un modello ibrido, ovvero un mix dei due modelli produttivi. Questa è ad esempio la strategia adottata da Zara, che realizza i prodotti più complessi e time-sensitive negli stabilimenti di proprietà, mentre esternalizza i prodotti più standard da fornitori low cost. Secondo Ferdows, un network produttivo ibrido risulta vantaggioso solo se i due tipi di network vengono mantenuti nettamente separati. Le logiche footloose e rooted, infatti, seguono obiettivi molto diversi, per cui le performance da valutare dovranno essere diverse.

“Zara’s enviable accomplishment is in keeping these networks focused on different strategic

targets: the footloose network on reducing production costs and filling temporary and sea-sonal capacity gaps, and the rooted network on developing unique production capabilities that support its fast-response supply chain system.

[…] If needed, like Zara, you can use a hybrid model: footloose to differentiate on cost and rooted on other dimensions. But make sure to draw clear lines around each and avoid putting them in direct competition with each other. Don’t use the same performance indicators for the two networks.” (Ferdows, 2009, p. 146-147)

Figura 2.4: Il modello ibrido di Zara (Fonte: Ferdows, 2009)