È impossibile distogliere lo sguardo da questa grande pista, dove gareggiano i cavalli da corsa, che ci incantano con le loro prodezze. So di molte dame che hanno discusso con i loro promessi sposi perché questi, piuttosto che guardarle e ammirarle, si concentravano sulle mosse strategiche dei jockeys e sulle trecce dei cavalli. Invece, so di un altro mio amico che, assorto nella contemplazione di certe calzamaglie blu, perfettamente tirate, perse la scommessa per non aver valutato, cosa che doveva fare prima, le condizioni in cui si sarebbe svolta la corsa. Questa passione per l’ippica non è diffusa solo tra i proprietari dei cavalli e tra gli scommettitori, avidi di lucro; essa si estende persino alle signore che, con l’ausilio del binocolo, seguono inoltre gli episodi e le peripezie della giostra; scommettono come facciamo noi e adottano nelle loro conversazioni i termini grossolani del linguaggio ippico, irto di punte e consonanti acutissime. I galantuomini e i corteggiatori scommettono con le donne e offrono un pacchetto con dentro dei guanti o una confezione di profumi, in cambio della camelia pallida che appassisce tra capelli della dama o del grazioso fermacapelli d’oro che sostiene i ricci sulla nuca. Il piccolo guanto di pelle color paglia che imprigiona una mano avorio ben vale tutti i vasi di Sèvres che Hildebrand conserva all’interno dei suoi empori di lusso e tutte le miniature che delicatamente traccia il pittore - Daudet de Caserín. Io conservo nel cofanetto blu dei miei ricordi uno di questi guanti. Di chi era? Ricordo che rimase con me per parecchi giorni, custodito nella mia cartella, e che la notte dormiva sotto il mio cuscino. Di chi era? Povero guanto! Ormai gli mancano due bottoni e ha un piccolo strappo al mignolo. Sa di robbia.
87 L’arena dell’Ippodromo ha già ricevuto anche il suo battesimo di sangue. Ma chi è che sta a pensare, nella foga delle corse, a questi tristi episodi tragici? Il cavallo passeggia sulla pista con arroganza, come una bella donna in una sala da ballo. Sa di essere bella e che la stanno guardando. Il cavallo può uccidere il suo fantino nello steeplechase come la dama che, nonostante vi sembri casta e angelica, può anche mettervi in mano il fioretto vibrante del duellista o la revolver del suicida. Tutti gli amori portano alla morte.
Noi accarezziamo la criniera setosa del cavallo o ci addormentiamo all’ombra di una folta chioma nera, come fece l’Africana sotto la perfida fronda del manzanillo. Le tue gambe sono nerborute, – oh, cavallo! – le mie dita vogliono nascondersi tra tua criniera e quando tu, allungando il tuo nobile collo, dilati le narici e corri come un dardo scagliato, sento i palpiti della tua carne e ti posseggo, e ti amo, ebbro di orgoglio. So bene che con uno dei tuoi salti potresti scaraventarmi a distanze enormi, come si getta un sacco di ossa dall’alto di una torre. Il mio corpo andrà a finire in un precipizio o sarà abbandonato nella steppa, in pasto agli avvoltoi. Ma che importa? Io ti amo!
I tuoi occhi – oh, donna! – celano allo stesso tempo l’amore e la morte, perché sono neri come la notte e la notte è il regno delle pallide stelle e dei perversi delinquenti. Le tue pupille diffondono luci fredde come le frecce d’acciaio. Nessuno è riuscito a scoprire i pensieri occulti che la tua fronte impenetrabile custodisce. Sei l’arca santa o il terrificante vaso di Pandora, sei il condor o il lombrico, la cima più vicina al cielo o il precipizio il cui suolo duro è riscaldato dalle fiamme dell’inferno. Mi hanno detto che non devo desiderarti, e per questo ti amo, come José adorava Carmen la zingara. L’albero traditore eleva la sua bella chioma sugli altri: sui suoi rami non ci sono nidi; sotto c’è la morte. Se volessi, potrei riposare sotto altri alberi, come la decantata
88 quercia o il noce ospite. Ma questi non possiedono la tua diabolica seduzione, né sono belli come te. Ho corso per i campi e per i boschi; la stanchezza mi ha sfinito; lasciami, dunque, dormire sotto le tue foglie e bere dai miei pori il veleno della morte!
Chi pensa alla caduta mortale quando il cavallo caracolla, se sta ad amoreggiare nell’arena del turf; o al minuto tragico del duello, quando la bella pericolosa si appoggia al nostro braccio per lanciarsi nel vortice rapido del valzer? Io durante la corsa pensavo a voi, oh grande dominatrice, e alle scommesse che avevo fatto in ufficio. Il gioco è la più forte delle emozioni per chi non sa cos’è l’amore, quest’altro gioco in cui si scommette l’anima. Ma il gioco, nell’Ippodromo, è il gioco fatto carne; l’emozione di due mila metri; il gioco di peripezie e soprassalti; il gioco che afferra per i capelli la sua vittima e la fa fluttuare nello spazio. Com’è bella Taxation! Si muove seguendo un ritmo cadenzato; il sole la bagna da ogni parte; avanza come una regina di quindici anni al momento di salire al trono. Jupiter è il giovane temerario che, come Paolo, bacia sulle labbra la donna che ama, anche se questa porta sul petto la punta del pugnale che lo ucciderà. E Maretzeck? Da dove viene questo straniero nobilissimo? È un nababbo che passeggia per le strade di Parigi. Guarda gli altri con altezzosità e procede impassibile, sicuro di sé, sentendo il profumo della vittoria. Invece Águila non ubbidisce alle leggi della gravità ed è come se avesse dentro di sé delle ali; e poi c’è Caracole, che giocherella come una pazza, si prende gioco degli altri e sa che nessuno potrà contendergli il trofeo. Ecco che partono: Halcón parte sparato come un enorme masso nero lanciato con una fionda da un gigante, e pare che la pista si avvolga dietro di lui, come un pezzo di stoffa grigia attorno a un rullo avvolgitore. Al momento in testa c’è Halcón; ma Águila, che non ha voluto affaticarsi e va con calma, scatta con una forza straordinaria, approfittando della fatica del suo avversario, e lo raggiunge alla curva della pista, lo sorpassa e, tra
89 ovazioni e applausi, giunge al traguardo senza una goccia di sudore, altezzosa e impassibile, come il drammaturgo che, terminata la tragedia, entra in scena e si prende gli applausi, senza ringraziare, come fa il sole che non ringrazia gli sguardi remissivi degli uomini.
Quante emozioni hanno sentito in seguito gli scommettitori, durante la breve competizione. Il denaro che si scommette nella corsa è un denaro che galoppa e corre; si sente arrivare, a cavallo, come se il fantino avesse un’armatura d’oro. Un innamorato che stava vicino a me aveva puntato su Halcón e, preoccupato, lo vedeva vincere. Aveva scommesso una scatola di guanti e di profumi, per il nastro blu che cingeva il collo della sua promessa sposa. Voleva perdere.
In un bel dramma di Vigny, Chatterton vede ad un ballo la donna che amava da lontano…
Vers de terre amoureux d’une étoile !
Nel trambusto della festa, si accorge che alla dama avevano strappato l’abito allora cerca una spilla per sistemarlo. Chatterton era povero; ma possedeva una spilla di grande valore, ricoperta di brillanti, tutto quello che gli era rimasto dei suoi splendori passati. Era, su per giù, tutta la sua fortuna. Si avvicina alla dama e le porge lo sfarzoso gioiello per riprendere, con quello, la gonna strappata.
– Signore, non posso accettare da uno sconosciuto un gioiello di tale valore.
– Se si tratta solo di questo, e nient’altro, prendetelo. – rispose Chatterton.
E stringendola con forza tra le dita la rompe e le porge la spilla dopo aver gettato via i brillanti dalla finestra.
Io all’Ippodromo non pensavo a nient’altro che alla domatrice dei miei pensieri e all’agilità scattante di Águila. Nel volgere lo sguardo alla
90 tribuna, pensavo al più grande pittore dell’eleganza parigina, De Nittis. Esistono tre dipinti a pastello di De Nittis che raffigurano diversi episodi di corsa dei cavalli. In uno, Pendant la course, la pista non si vede. Il pittore sapeva che la cosa più importante nel turf non sono i cavalli ma le donne. In primo piano, in piedi su una sedia di paglia, una donna alta e bella segue la corsa. Sta di profilo. Potrei scommettere che non si tratta di una donna rispettabile.
Guarda il match disinteressata, come se non vi avesse puntato neanche un franco. Forse ha scommesso il patrimonio del suo amante. Il lungo cappotto di felpa le arriva quasi ai talloni, lasciando scoperto appena l’orlo della sottoveste scozzese. Gli stivaletti sono di stoffa grigia con suole in pelle verniciata. Non ha piccoli né i piedi, né le mani che si nascondono nello scaldamani di pelliccia. Le copre la testa un grande cappello di velluto mirto, sul quale spicca una camelia bianca, come una goccia di latte caduta dai seni di Cibele. La scena dovrebbe svolgersi a Auteuil, durante la stagione autunnale delle corse. La bella e impassibile ha freddo. Si nota dal modo in cui lega le briglie del cappello e nella cura con cui si copre la gola. Accanto a lei, ma a terra e messo appositamente per sostenerla in caso di caduta, c’è il suo accompagnatore, rigido e aitante, con le braccia incrociate sul petto. Si vede la stoffa del suo abito scuro e il tessuto della sua cravatta. Si ha la tentazione di passare la mano sulla seta del suo cappello e vedere se si rizza. Tutt’attorno si vedono numerosi gruppi di spettatori, distribuiti ad arte. Alcuni seguono con frenesia l’andamento della corsa; altri intavolano conversazioni amorose; ma, a dominare su tutti, in piedi sulla sedia di paglia, con la stessa altezzosità di una statua di marmo su un piedistallo, si distingue la dama bionda e pallida, impassibile, austera e sdegnosa. I suoi occhi non si staccano dalla pista. Penso che se guardassimo con un po’ più di attenzione potremmo seguire la corsa riflessa sui suoi occhi.
91 Nell’altro dipinto di De Nittis, la scena rappresenta un gruppo attorno al braciere. Il cielo è grigio opaco, come se dovesse iniziare a formarsi la neve che cade durante l’inverno. In lontananza si distingue la pista e il formicolare confuso degli spettatori. Un gruppo di privilegiati è riunito attorno al braciere, un cono di ferro di circa un metro e mezzo al cui interno ardono pezzi di carbone scoppiettanti: le fiamme rosse fuoriescono dalle fessure della griglia, come le lingue di topi diabolici che cercano di scappare dall’inferno. Dietro questa poêle ci sono delle figure graziose, i cui contorni vengono alla luce. Nessuno pensa ai cavalli, né segue la corsa. Tutti riposano apatici, stendendo le gambe per riscaldarsi accanto al fuoco. Di un soggetto si vede solo il piede, con indosso delle belle scarpe, e le linguette rossicce del braciere per poco non ne lambiscono la pianta. Lì c’è Turguenev, un parigino del Newskia, imbacuccato tra le larghe pieghe del suo soprabito, sul quale fioccano ciuffi bianchissimi della sua barba. Accanto a lui, una donna dal candore iperboreo, lo guarda sorridendo e mostrando così i denti smaltati. Riposa e si riscalda su di una sedia un cane lanoso, di quelli che la spietata moda tosa in parte, lasciando scoperte la sua delicatissima cute color rosa acceso e la parte finale delle sue gambe rachitiche. Ma la figura più singolarmente bella del quadro è la donna alta e snella che, appoggiata allo schienale di una sedia, mantenendo l’equilibrio su un solo piede, allunga la sua piccola pianta verso la fiamma.
Indossa un abito di velluto amarena scuro e porta un cappello dello stesso colore, con ornamento blu a righe nere, fissati da una graziosa piuma bianca. Ruota il corpo indietro e, nell’avvicinare la pianta al fuoco, la sua sottoveste sollevata disegna le morbidezze della gamba. La tesa larga e floscia del suo cappello le copre gran parte del volto; ma si può giusto vedere la punta del naso, le cui narici rosa vibrano come se stessero annusando dei baci, e il taglio di una barba, la cui linea ad onda scompare sulla gola. Dalla nuca, e sfuggendo alla
92 tirannia del cappello, cade una doppia treccia bionda. Io vivrei sotto questa treccia.
Nell’aria svolazzano, mentre muovono le loro rumorose elitre, gli
Hip! Hip! dei fantini e gli Hurrà! degli scommettitori vittoriosi.
Un De Nittis viaggiatore potrebbe trovare, nelle tribune dell’Ippodromo, un bel soggetto per i suoi nuovi quadri. Qui, però, i gruppi non si distribuiscono in maniera così pittoresca e artistica. Pare che siano tutti soggetti al dispotismo dell’inflessibile linea retta. Le signore si allineano nelle tribune e gli uomini in basso a fare l’angolo della sentinella. Noi non abbiamo neppure le donne fanatiche dell’ippica che ci sono a Londra o a Parigi. La più famosa in Francia è la Contessa di ***, soprannominata dai giornalisti Madame Bob. Nessuno può dire di essere stato il suo amante, pertanto, il mondo non la ritiene rispettabile. Possiede quella cosa che Baudelaire definiva, con straordinaria precisione, “la grazia infantile delle scimmie”. È magra, e quando abbottona la sua casacca stretta al petto appiattito, ci sembrerebbe piuttosto di vedere uno studente in vacanza o un fantino vestito da passeggio.
Mme. Bob non si vanta dei suoi titoli ma dei suoi cavalli sì, che discendono da Gladiator e Lady Tempest. E si dice che quando torna dai balli, scollata, con le braccia eburnee scoperte e i quattordici bottoni dei guanti abbottonati, entra nella scuderia, illuminata dalla luce a gas, e dilata le narici per sentire l’odore forte della mangiatoia piena zeppa, sveglia i cavalli, avvolge le braccia attorno al loro collo e li bacia; poi monta come un’amazzone e si lascia cadere tra le gambe della sua giumenta preferita; poi sfiora con il gomito luccicante il legno dei bossi e affonda le pantofole di raso bianco nello sterco; e permette ai suoi cavalli giocherelloni di strappare con gli zoccoli la seta frusciante del suo vestito e di bagnarle il collo e i capelli con le loro grandi bocche fredde. Poi va verso il loro bagno che profuma di azalee e violette, e si
93 lava lì, non in vasche di cristallo finissimo o in anfore d’argento massiccio piene di cesellature e arabeschi, ma nel rustico secchio di legno dove impregna una spugna grossolana, preferendo all’acqua di Santa Maria Novella o al profumo Chypre, di cui non è facile definire la fragranza, l’acqua limpida presa dalla fonte al mattino, e con cui schizza, smuovendo i suoi riccioli neri, le pareti tappezzate di acquarelli giapponesi.
Il cavallo! Capisco le passioni che trasmette, anche quando si tratta di passione selvaggia come nel caso di Mme. Bob. Le donne lo amano, anche più di noi.
Allons, mon intrépide, Ta cavale rapide Frappe du pied le sol ; Et ton bouffon balance, Comme un soldat sa lance,
Son joyeux parasol !
Ricordi? Ormai è passato tanto tempo da tutto questo: è stato quando mi amavi. L’aria era talmente fresca che sembrava che in ogni goccia di luce ci fosse una goccia d’acqua. Finimmo di prendere ognuno il proprio barattolo di latte schiumato – non hai voluto che bevessi dal tuo – che avevano ordinato davanti ai nostri occhi. Quanto abbiamo riso quella mattina serena e come ricordo bene i baffi bianchi che sopra la tua boccuccia ti lasciò il latte! Stavamo per partire. Il tuo cavallo nitriva impaziente e tua madre, vedendolo imbizzarrirsi, ti supplicava di non fare pazzie. Ti ricordi? Non riuscivi a salire e io, per aiutarti, ti presi in braccio. Non me lo posso scordare. Com’eravamo vicini in quel momento e come siamo distanti adesso! Poi ho sistemato le pieghe abbondanti della tua gonna lunga e ho stretto tra le mani il tuo
94 morbido stivaletto. Tu, arrossita, hai spronato il tuo cavallo e sei scappata, ridendo, per la steppa. Ti ho raggiunto. Abbiamo galoppato tanto, tanto, fino al punto da dove spunta il sole. Sembrava che stessimo scappando da un incendio. Gli altri erano rimasti dietro, e tu, preoccupata, hai voluto che li aspettassimo all’ombra di un albero. Allora ci siamo fermati. Pensavo al tuo stivaletto che la tua gonna nascondeva e al tuo piccolo cuore che avevo sentito vicino al mio. E parlavamo, e il tuo cavallo color oro si era avvicinato al mio, come per rivelargli un qualche secreto e, di scatto, le mie labbra tremanti hanno baciato i delicati boccoli biondi che si rizzavano sul tuo collo.
Come è passato il tempo! Quando hai delle figlie non permetti a nessuno di aiutarle a salire in sella al loro cavallo!
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