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A Gonzalo Esteva e Cuevas

Sono rare le mattine allegre, fresche e serene come quella del giorno di San Juan. Il cielo è limpido, “come se nel corso della mattinata gli angeli lo avessero lavato”; stanotte ha piovuto e ancora penzolano dai rami dei braccialetti di rugiada che evaporano una volta che il sole inizia a splendere, come i sogni quando si fa giorno; gli insetti annegano nelle gocce d’acqua che cadono giù dalle foglie e si respira con gioia l’odore piacevole di terra umida, che può essere paragonato soltanto a quello dei capelli neri, a quello dell’epidermide bianca o a quello delle pagine appena stampate. Anche la natura viene fuori dallo stagno con i capelli sciolti e la gola scoperta; gli uccelli, ubriachi d’acqua, cantano a lungo, e i bambini del paese immergono il viso nel grande catino di metallo. Oh cara mattina di San Juan, della camicia pulita e dei saponi profumati, mi piacerebbe vederti lontana da questi pentoloni in cui bolle grasso umano; vorrei contemplarti all’aria aperta, lì dove ti mostri ancora vergine, con le braccia bianchissime e i riccioli umidi! Lì sei vergine: quando arrivi in città, le tue labbra rosse hanno baciato tanto; molte ciocche bionde dei tuoi capelli ondulati sono rimaste tra le mani dei tuoi mille amanti, come il vello degli agnelli tra i roveti del viale; molte braccia ti hanno circondato la vita; hai sul collo il segno rosso di un morso e avanzi barcollando, con ancora indosso il vestito di raso bianco, ma ormai prostituito, profanato, come quello di Giroflé dopo la cena, quando la promessa sposa morde i fiori d’arancio immacolati e impregna i capelli nel vino! No, cara mattina di San Juan, non è così che ti voglio! Mi piaci in campagna: lì dove si possono ammirare i tuoi occhietti blu e le tue trecce dorate. Scendi dalla collina scoscesa

82 lentamente; bussi alla porta o accosti con cautela la finestra, per far sì che il tuo sguardo illumini l’interno della casa, e ti accogliamo tutti come i malati accolgono la salute, i poveri la ricchezza e i cuori l’amore. Non è vero che sei amorevole? Che sei ricca? Che sei sana? Quando arrivi i fidanzati si promettono amore eterno; gli afflitti tornano a vivere; e la luce dorata dei tuoi capelli cosparge di lustrini e monete d’oro il verde scuro dei campi, il fondale dei fiumi e il tavolino di legno povero su cui fanno colazione gli umili, con un barattolo di latte schiumoso, mentre la mucca muggisce nella stalla. Ah! Mi piacerebbe vederti così quando sei vergine, e baciare le guance di Ninon…le sue guance rosee e vellutate e le spalle di raso bianco!

Oh cara mattina di San Juan, quando arrivi! Ricordo una vecchia storia che anche tu conosci e che né tu né io possiamo dimenticare. Ti ricordi? La hacienda dove vivevo in quei giorni era parecchio grande; con molti ettari di terra coltivata e innumerevoli capi di bestiame. Da una parte c’è il casone, preceduto da un cortile con al centro una fontana. Dall’altra c’è la cappella. Lontano, sotto i rami pendenti dei grandi salici, si trova la diga dove si reca il gregge per abbeverarsi. Vista da una certa altezza e a una certa distanza, questa diga potrebbe sembrare l’enorme pupilla blu di un gigante, disteso sul prato a poltrire. E com’è profonda la diga! Tu lo sai…!

Gabriel e Carlos giocavano come al solito in giardino. Gabriel aveva sei anni; Carlos sette. Ma un giorno la madre di Gabriel e Carlos si ammalò e quindi non c’era nessuno a vigilare le loro allegre escursioni. Era il giorno di San Juan. Al calare della sera, Gabriel si rivolse a Carlos dicendo:

– Ascolta, mamma sta dormendo e qui ormai possiamo deporre le armi. Andiamo alla diga. Se mamma ci rimprovera le diciamo che stavamo giocando in giardino.

83 Carlos, che era il più grande, si fece qualche scrupolo. Ma il crimine non era così grave e, inoltre, i due sapevano che la diga era stata abbellita con grandi canneti e rami di tagete. Era il giorno di San Juan!

– Andiamo! – gli disse - ci portiamo dei fogli del Monitor per fare barchette di carta e tagliamo le ali alle mosche per farne dei marinai.

Così Carlos e Gabriel uscirono in assoluto silenzio per non svegliare la madre, che stava male. Essendo un giorno di festa la campagna era deserta. I peones e i braccianti schiacciavano un pisolino dentro le loro capanne. Gabriel e Carlos evitarono di passare dalla bottega per non essere visti e si misero a correre a perdifiato per la campagna. In un batter d’occhio arrivarono alla diga. Non c’era nessuno: né peones né pecore. Carlos ritagliò a pezzetti il Monitor e costruì due barchette, grandi come le navi del Guatemala. Le povere mosche rimaste senza ali e che erano state fatte prigioniere dentro una scatola di biscotti, equipaggiarono umilmente le imbarcazioni. Sfortunatamente, durante la vigilia avevano ripulito la diga e l’acqua era un po’ bassa. Gabriel non ci arrivava con le mani. Carlos, che era il fratello maggiore, gli disse:

– Lascia fare a me che sono il più grande. Ma neppure Carlos ci arrivava. Si arrampicò allora sul parapetto in pietra, sollevando la pianta dei piedi da terra, allungò il braccio al punto da riuscire a toccare l’acqua e a lasciarci su la barchetta, quando, una volta perso l’equilibrio, cadde in seno delle tranquille onde. Gabriel lanciò un grido acuto. A furia di spezzarsi le unghie con le pietre e strapparsi i vestiti, riuscì con tutte le sue forze anche ad arrampicarsi sul cornicione, allungando quasi completamente il busto sull’acqua. Le onde continuavano ad agitarsi. Carlos stava dentro. Di colpo, appare in superficie, con il viso violaceo, mandando fuori l’acqua dal naso e dalla bocca.

84 – Vieni qua! Vieni qua! Non voglio che tu muoia.

Non li sentiva nessuno. I bambini chiedevano aiuto, facendo tremare l’aria con le loro grida; non accorreva nessuno. Gabriel si sporgeva sempre di più sull’acqua e allungava le mani.

– Avvicinati, fratellino, che io ti tiro fuori.

Carlos voleva nuotare e avvicinarsi al muro della diga ma non aveva più le forze, affondava subito. All’improvviso le onde si agitarono così Carlos poté afferrare un ramo e, appoggiatosi a questo, riuscì a posizionarsi vicino al parapetto e alzò una mano; Gabriel la strinse con le sue manine e voleva, il povero piccolo, sollevare in aria il fratello che nel frattempo era riuscito a tirare fuori dall’acqua metà corpo e si era aggrappato alle pietre sporgenti della diga. Gabriel era tutto rosso e le sue mani sudavano nello stringere la manina bianca del fratello.

– Non riesco a tirarti fuori! Non ci riesco!

E Carlos tornava ad affondare e, spalancati i suoi occhi neri, gli chiedeva aiuto.

– Non essere cattivo! Che ti ho fatto? Ti regalo la mia scatola con i soldatini e il mulino in pirite che ti piacciono tanto. Tirami fuori da qui!

Gabriel piangeva dal nervoso e, mentre tirava sempre di più il corpo del fratello morente, gli diceva:

– Non voglio che tu muoia! Mamma! Mamma! Non voglio che muoia!

Urlavano entrambi, poi affermarono:

– Non ci sente nessuno! Non ci sente nessuno! – Santo angelo custode! Perché non mi senti?

Nel frattempo, stava cadendo la sera. Nel borgo le finestre si illuminavano. I genitori baciavano i loro figli. Iniziavano a spuntare le stelle in cielo. Come se queste stessero a guardare la tragedia di quelle tre manine intrecciate che non volevano sciogliersi, ma lo avrebbero fatto! E le stelle non le potevano aiutare perché sono molto fredde e stanno tanto in alto!

85 Le lacrime amare di Gabriel cadevano sulla testa del fratello. Erano vicini, faccia a faccia, stringendosi le mani, e intanto uno di loro stava per morire!

– Mollami, fratellino, non ce la fai più; sto per morire. – Ancora no! Ancora no! Aiuto! Aiuto!

– Tieni! Ti lascio il mio orologio. Prendilo, fratellino!

E con la mano che aveva libera tirò fuori dalla tasca il piccolo orologio che gli avevano regalato a Capodanno. Per mesi aveva sognato ininterrottamente di ricevere quel piccolo orologio d’oro! Il giorno in cui alla fine lo ottenne non voleva andare a dormire. Per andare a dormire lo metteva sotto il cuscino. Gabriel guardava con meraviglia i suoi due coperchi, il quadrante bianco su cui giravano lentamente le lancette nere e il sottoquadrante che, nervosamente, correva, correva senza trovare mai l’uscita del piccolo cerchio. E diceva:

– Quando avrò sette anni, come Carlos, compreranno anche a me un orologio d’oro! – No, povero piccolo; non hai ancora compiuto sette anni e hai già avuto l’orologio. Il tuo fratellino muore e te lo lascia. Che lo vuole a fare? La tomba è molto buia e non può vedere che ore sono.

– Tieni, fratellino, eccoti il mio orologio; prendilo!

E le manine ormai viola, cedettero, e le loro bocche si dettero un bacio da lontano. Ormai i bambini non avevano più aria nei polmoni per chiedere aiuto. Già si aprono le acque, come si apre la folla quando passa l’Ostia durante la processione. Ora si chiudono e resta sopra le onde blu, solo per un secondo, un ricciolo floscio di capelli biondi!

Gabriel cominciò a correre verso il casone, inciampando, cadendo sulle pietre che lo ferivano. Non c’è altro da aggiungere: quando il corpo di Carlos fu ritrovato, era ormai gelido, così gelido che la madre, quando lo baciò morì.

Oh cara mattina di San Juan! Il tuo vestito da sposa bianco ha anche macchie di sangue!

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