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Le misure di protezione nel caso Forteto

Le ricadute sull’ordinamento italiano della normativa dell’Unione a tutela delle vittime d

3.1 Il caso Forteto

3.1.2 Le misure di protezione nel caso Forteto

Nel procedimento penale intentato dalla Procura presso il Tribunale di Firenze nei confronti di ventitré membri della comunità e cooperativa agricola “il Forteto”, le imputazioni contestate si collocano tra quei delitti che, in base alla direttiva, comportano un elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta: gli imputati risultano infatti accusati a vario titolo di violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.), violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), con l'aggravante dell'abuso di autorità (art. 61, n. 9 c.p.) e di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) con l'aggravante, in questo caso, di aver commesso il fatto con abuso dei poteri ed in concorso con altri imputati (art. 112 c.p.). La fonte europea pone del resto l'accento sulle profonde problematiche sollevate da questo tipo di reati nel considerando n. 18, ove si afferma che: “la violenza nelle relazioni strette è quella commessa da una persona che è l'attuale o l'ex coniuge o partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia (...). Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche. La violenza nelle relazioni strette è un problema sociale serio e spesso nascosto, in grado di causare un trauma fisico e psicologico sistematico dalle gravi conseguenze in quanto l'autore del reato è una persona di cui la vittima dovrebbe potersi fidare. Le vittime di violenza nelle relazioni strette possono pertanto aver bisogno di speciali misure di protezione (...)”. I reati sopracitati sarebbero stati perpetrati nei

confronti di altri membri appartenenti alla comunità, nonché nei confronti di minori, bambini e ragazzi appartenenti a situazioni familiari disagiate e per tali motivazioni affidati alla cura dei servizi sociali e/o dell’autorità giudiziaria della comunità. In una tale fragile e deleteria situazione psicologica, secondo la tesi dell’accusa, i soggetti sopracitati avrebbero subito per anni violenze fisiche, sessuali e

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psicologiche: tale situazione ha convinto il pubblico ministero a richiedere al collegio giudicante l’adozione di misure idonee a garantire in primo luogo l’assistenza psicologica in udienza alle persone offese dal reato e dai loro familiari, secondariamente ha poi ritenuto idoneo ottenere la valutazione dei rischi di vittimizzazione secondaria delle stesse, interpretando conformemente alla direttiva europea 2012/29/UE l'art. 498 c.p.p., in particolare il comma 4 quater. La disposizione prevede invero che qualora si proceda per una serie di reati, ivi compresi quelli degli artt. 572 e 609 bis c.p., bisogna assicurarsi che l’esame della persona offesa maggiorenne venga condotto tenendo conto della condizione di particolare vulnerabilità della stessa: inoltre il giudice, qualora la persona offesa ovvero il suo difensore ne faccia richiesta, dovrà disporre, qualora lo ritenga opportuno, l’adozione di modalità protette per la fase della discussione dibattimentale. Il collegio, acconsentendo alle richieste accusatorie, incaricava gli operatori della Rete Dafne273 (unico servizio per l'assistenza alle vittime individuato che risponde ai criteri previsti dalla direttiva 2012/20/UE, ex. artt. 8 e 9) a prendere contatto, in qualità di ausiliari del giudice, con i soggetti indicati dal pubblico ministero o con quelli indicati dalle parti civili, e venivano inoltre incaricati di effettuare le valutazioni individuali con il fine ultimo di verificare l’esistenza del rischio di vittimizzazione secondaria. Orbene, alla luce dell’analisi effettuata, gli operatori, in base alle esigenze del caso

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Il progetto Rete Dafne è nato nel 2001 grazie alla comunione di intenti della Procura presso il Tribunale di Torino, la Provincia e il Comune di Torino, il Dipartimento di salute mentale dell'ASL TO2, il Gruppo Abele e l'Associazione Ghenos, con il sostegno economico della Compagnia di San Paolo. Il Progetto è volto alla costituzione di una rete di presidi e iniziative, che siano in grado di rispondere alle esigenze provenienti da persone che si trovino ad affrontare le conseguenze di un reato; l'attività degli operatori della Rete Dafne si sostanzia nella informazione, accoglienza, orientamento delle persone che si rivolgono alla giustizia in quanto vittime di qualsiasi tipologia di reato, indipendentemente dalla loro età, nazionalità, origine etnica, religione, condizione sociale ed economica; il progetto prevede anche la realizzazione di percorsi specialistici di supporto alle vittime, che si articolano in quattro momenti: informazione sui diritti, sostegno psicologico, trattamento integrato psicologico e psichiatrico e mediazione. Maggiori informazioni sono reperibili sul sito http://retedafnetorino.it

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concreto, qualora fosse presente il rischio di vittimizzazione secondaria, dovevano indicare le necessarie misure di protezione, comunicandole al presidente del collegio. Nel susseguirsi delle udienze dibattimentali, conformemente alle indicazioni fornite dagli operatori, buona parte delle persone offese e dei loro familiari venivano sottoposte ad esame utilizzando le misure previste dall'art. 23 della direttiva 2012/29/UE o quelle già disposte dal codice di rito: per alcune era richiesto l'uso del paravento, al fine di evitare il contatto visivo con gli imputati; altre invece erano sentite in aula senza essere fisicamente presenti, attraverso lo strumento della videoconferenza con altra aula del tribunale; altre ancora richiedevano lo svolgimento dell'udienza a porte chiuse o di poter avere accanto, durante l'esame e il controesame, una persona di fiducia. Essendo tale caso di studio un unicum¸ non è possibile enucleare delle conclusioni generali valevoli in merito all’efficacia di tali misure nel processo di elaborazione dell'esperienza vittimizzante da parte dell'offeso. E’ tuttavia possibile notare, a livello puramente aneddotico, la differenza tra le reazioni esteriori manifestate dalle vittime che hanno richiesto l'utilizzo dello strumento della videoconferenza per rendere il loro esame e quelle che invece non l’hanno ritenuto necessario. Le prime, in modo più rilevante rispetto alle seconde, nonostante le misure di protezione garantissero uno stato di quasi completo isolamento, hanno avuto nel corso dell’esame dibattimentale reazioni emotive molto forti: tutto ciò rende evidente che non godessero di una condizione psicologica tale da consentire loro di affrontare la forma, particolarmente pesante, dell'esame incrociato in dibattimento. In conclusione, non si può che accogliere con positività tale orientamento del Tribunale di Firenze, riuscendo quest’ultimo a garantire una conciliazione tra il principio del contraddittorio e l'esigenza di garantire tutela alle persone offese: posto infatti che la credibilità dell'offeso dipende dalla intrinseca attendibilità di quanto riferito, da accertare attraverso un esame penetrante e

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rigoroso, difficilmente la sua escussione dibattimentale in videoconferenza, o ancora in aula col sostegno di una persona di fiducia, (indubbiamente differente rispetto alla deposizione testimoniale classica) potrebbe arrivare a compromettere sino ad inficiare totalmente l'esito della valutazione sulla credibilità di quanto narrato.274