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Riflessioni conclusive sul d.lgs 212/

Le ricadute sull’ordinamento italiano della normativa dell’Unione a tutela delle vittime d

3.14 Riflessioni conclusive sul d.lgs 212/

Dopo un’analisi dettagliata delle singole disposizioni introdotte dal d.lgs. 212/2015, occorre un esame della direttiva in una visione d’insieme, guardando le prospettive di tutela della vittima che la normativa in esame offre. Indubbiamente, sul piano coscienziale, è riscontrabile un’apertura verso una nuova concezione del reato; tale premessa culturale ha condotto ad un ampliamento quantitativo e soprattutto qualitativo dei diritti riconosciuti alla persona offesa. Resta però, nonostante la rivoluzione culturale innescata dall’Europa, un retaggio culturale nel nostro ordinamento, tale da non permettere una totale assimilazione al percorso europeo. È quindi così comprensibile il motivo per cui, talune delle novità introdotte, potenzialmente apprezzabili, rischino di rivelarsi praticamente inefficaci, in primo luogo perché sfornite di sanzioni processuali ad hoc. Basti pensare ai nuovi diritti informativi: gli avvisi rispondono indubbiamente alle prescrizioni europee mostrando una rinnovata sensibilità giuridica, in special modo quando si focalizzano sul momento della denuncia o

344 Ferranti D., Strumenti di tutela processuale per la vittima del reato. Sguardo di

insieme sulle recenti innovazioni alla luce dell’attuazione della direttiva 2012/29/UE, op.cit., pag. 10.

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sulla tutela aggravata nei confronti dello straniero o ancora, quando vengono riservate particolari cautele alla vittima di violenza; purtuttavia, in altri settori, in una prospettiva de iure condendo, gli effetti pratici del meccanismo informativo potrebbero stentare ad affermarsi.345 In merito ai diritti assistenziali, i nuovi oneri informativi, benché obbligatori, immettono la vittima di reato in una rete assistenziale debole e poco organizzata, dal momento che non si adotta un modello su scala nazionale, impedendo da una parte l’elaborazione e la diffusione di pratiche condivise e buona prassi, e dall’altra la possibilità di fruire di effetti utili. Non è stato del resto affrontato il tema fondamentale della formazione degli operatori; così come la proposta di istituire presso ogni Tribunale uno “sportello vittime”:

“non essendo puntualmente imposto dalla direttiva e richiedendo, peraltro, detto adempimento una sinergia fra diverse amministrazioni, con conseguenti valutazioni di impegno economico, non componibile in sede di adozione del presente decreto”.346 Analoghe considerazioni sono poi esprimibili in tema di giustizia riparativa, nei cui confronti residua una diffidenza latente che ostacola ogni possibilità di riforma. Permane, del resto, una visione utilitaristica in base alla quale lo strumento della giustizia riparativa viene perlopiù considerato uno strumento di diversion processuale, incanalando la vittima verso un disinteressamento del processo. Parrebbe opportuno, invero, volgere alla creazione di strumenti effettivi di giustizia riparativa che soddisfino il bisogno di giustizia, pubblica ed individuale, senza privatizzarla.347 Sul piano sostanziale, anche in tema di tutela linguistica alla vittima alloglotta, non si nega indubbiamente l’impatto

345 Del Vecchio F., La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l’adeguamento

dell’Italia alla direttiva 2012/29/UE, op.cit., pag. 31.

346 Ferranti D., Strumenti di tutela processuale per la vittima del reato. Sguardo di

insieme sulle recenti innovazioni alla luce dell’attuazione della direttiva 2012/29/UE, op.cit., pag. 10.

347 Mannozzi G. e Lodigiani G.A., Formare al diritto e alla giustizia: per una

autonomia scientifico-didattica della giustizia riparativa in ambito universitario,

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rivoluzionario della novella, che ha introdotto sulla scena processuale la figura dell’assistente linguistico a fianco dell’offeso; è però vero che l’intervento non è sempre intellegibile e perde la sua effettività nel momento in cui non offre contromosse concrete al diniego di assistenza. Se in merito ai diritti informativi i limiti del d.lgs. in esame sono riscontrabili sul piano dell’effettività, al contrario, in tema di partecipazione, sono muovibili critiche per un eccesso di prudenza. Approfittandosi degli ampi margini di discrezionalità nell’importazione lasciati dalla direttiva 2012/29/UE, la novella non dispone nuovi poteri di impulso, forse temendo di smarrire l’identità nazionale o forse, per la consueta “fretta da importazione”, tipicamente nostrana. A prescindere dalle motivazioni, si è perso più di un’occasione per adattare il nostro ordinamento: basti fare riferimento all’incidente probatorio che, pur rafforzandosene lo scudo protettivo, non si è provveduto ad agire congiuntamente sui poteri di impulso, mediante il conferimento all’offeso della facoltà di richiederlo (e non solo di sollecitarlo). Analoghe considerazioni in tema di archiviazione: la direttiva 2012/29/UE chiedeva genericamente che venisse garantito il diritto a sindacare la decisione di non esercitare l’azione penale; l’ordinamento interno si conforma alla normativa sovranazionale quando permette alla vittima di controllare le scelte di inazione del pubblico ministero; vacilla però, quando nega il riesame della decisione del Giudice per le indagini preliminari. Ci si chiede infatti se, non potendo impugnare le decisioni finali, la vittima possa veramente partecipare all’esercizio della sua azione penale.348

Evidenziabile è poi del resto la mancata disposizione in merito all’avviso di conclusione delle indagini. Viene ad essere così esclusa la vittima dal novero dei destinatari, venendo così i suoi diritti irragionevolmente compressi, laddove sarebbe possibile prevedere un contraddittorio preprocessuale

348

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“allargato” ed un controllo del materiale probatorio raccolto.349

In definitiva, un’analisi statica del d.lgs. 212/2015 ne svela una buona spinta dinamica, purtuttavia, la comparsa ed al tempo stesso la tenuta sulla scena processuale di una vittima reale si valuterà sul terreno della prassi, che dovrà metabolizzare, ed al tempo stesso implementare, le innovazioni apportate.350 Bisognerebbe seguire al riguardo l’esempio della Procura di Trento che, con solerzia e pragmatismo, all’indomani della pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale, già emanava linee guida rivolte a tutti gli operatori per l’attuazione e il potenziamento delle garanzie ivi contenute.351

349 Recchione S., Le vittime da reato e l'attuazione della direttiva 2012/29 UE: le

avanguardie, i problemi, le prospettive, 2015, Diritto penale contemporaneo, pag. 9.

350 Del Vecchio F., La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l’adeguamento

dell’Italia alla direttiva 2012/29/UE, op.cit., pag. 33.

351

Nuove prospettive per le vittime di reato nel procedimento, Diritto penale contemporaneo, 19 gennaio 2016.

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Conclusioni

Al termine di questa analisi è possibile tracciare una panoramica sulla crescente rilevanza della vittima all’interno delle politiche processual- penalistiche dell’Unione, sia per l’incremento, qualitativo e quantitativo, dei diritti che le sono sostanzialmente riconosciuti, sia per l’accrescimento della sua importanza all’interno dei gangli processuali. Si è sottolineato, infatti, come l’Unione sia intervenuta nei confronti della vittima emanando una serie di provvedimenti volti a migliorarne la condizione, prima, durante e dopo il procedimento penale, perché questa non venga lasciata sola e perché venga garantito il rispetto di diritti inalienabili che le spettano. Con la rappresentazione delle varie tappe che hanno portato alla direttiva 2012/29/UE, si è dimostrato il sempre più crescente e vivo interesse nei confronti della tutela della vittima. Quest’ultima ha assunto, in un’ottica processuale, una connotazione e una definizione ben precise e le sono stati attribuiti sempre più diritti con riscontri sostanzialmente tangibili. Durante l’analisi del tema in esame, si è purtuttavia evidenziato quanto in realtà, questo orientamento europeo, non abbia riscosso in certi casi consensi dottrinali. In secondo luogo è poi emerso come, viste le differenze anche culturali dei sistemi processual-penalistici, possa rivelarsi complicato, per i vari ordinamenti degli Stati membri, ed in particolare il nostro, adeguarsi completamente al percorso di rivoluzione culturale intrapreso dall’Unione. Si è del resto reso tangibile come non sia semplice, al tempo stesso, rivoluzionare un sistema che, per decenni, ha posto le proprie fondamenta su basi e politiche garantistiche nei confronti dell’imputato, relegando in secondo piano il ruolo della persona offesa. A tal riguardo si è evidenziato come si renda necessario un intervento che non solo vada a soddisfare le richieste europee attraverso operazioni per così dire “di vetrina”, ma che intervenga effettivamente e sostanzialmente nelle

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misure predisposte a tutela delle vittima. È stato rilevato inoltre come l’Unione, dal canto suo, possegga strumenti in grado di far comunque attuare le proprie disposizioni: le esaminate sentenze di condanna della Corte di Giustizia e la possibilità per i giudici nazionali di adeguarsi alle direttive prima ancora che esse siano attuate. Nonostante l’importanza di tale strumenti, qualora si desideri rendere effettivo il coraggioso e innovativo intrapreso da parte dell’Unione, la collaborazione da parte degli Stati membri si rende necessaria e fondamentale. Basti evidenziare i risultati nel caso dell’ordinamento italiano: pur prevedendosi disposizioni processuali a tutela della persona offesa, essendo sfornite di una relativa sanzione processuale

ad hoc, si rendono potenzialmente efficaci, ma sostanzialmente inutili.

In conclusione, la strada da percorrere è ancora lunga e non si può che far appello agli Stati membri affinché procedano alla corretta attuazione della normativa dell’Unione: le disposizioni europee sono infatti potenzialmente portatrici di grandi innovazioni, ma devono necessariamente trovare un riscontro che addivenga a risultati effettivi negli ordinamenti nazionali in modo da poter garantire, sul piano dei diritti, la tutela della vittima durante tutte le fasi del procedimento penale.

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