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Segue: l’attuazione in Italia della direttiva sull’ordine d

protezione europeo

L’Italia ha provveduto a dare attuazione, seppur tardivamente101

, alla direttiva 2011/99/UE con il d.lgs. 11 febbraio 2015, n.9, che fornisce una disciplina interna per l’applicazione dell’ordine di protezione europeo. Il legislatore ha ritenuto preferibile per alcune definizioni trasporre quelle contenute nella direttiva piuttosto che “adottare

nozioni mutuate dalle disposizioni processuali nazionali”102. Nella norma di attuazione si prevede un'apposita disciplina tanto nel caso in cui l’EPO sia emesso da un'autorità italiana, con riconoscimento da parte di altro Stato membro, quanto per il caso in cui sia il nostro Paese a dovervi dare esecuzione. Con riferimento al primo caso, la c.d. procedura attiva, nell'art. 5 si descrive il procedimento di emissione di un ordine di protezione all'interno del territorio italiano, specificando che la richiesta da parte del beneficiario, effettuabile anche per il tramite del rappresentante legale, va rivolta al giudice il quale disporrà una delle misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p.: ossia l'allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa . In ossequio a quanto disposto nella direttiva il nuovo art. 282-quater c.p.p. prevede, per l'autorità procedente, l'obbligo di informare la persona offesa della possibilità di richiedere l'emissione dell'ordine di protezione europeo. Si prevede inoltre, a pena di inammissibilità, l'indicazione di alcune informazioni, ed in particolare del luogo in cui la persona protetta ha assunto o intende assumere la residenza, nonché la durata e le ragioni del soggiorno. Qualora il giudice ritenga di dover procedere con

101 Il termine per l'adozione del provvedimento era previsto per il giorno 11 gennaio

2015.

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Nella relazione illustrativa, infatti, si giustifica tale scelta in quanto la stessa sarebbe “finalizzata a evitare problematiche interpretative che potrebbero derivare dalle discrasie tra i sistemi processuali degli Stati membri, in particolare con riferimento alla regolamentazione della fase processuale di riconoscimento degli effetti di una misura adottata all'estero”.

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l'emissione dell'EPO, l'ordinanza in questione dovrà contenere alcuni requisiti, indicati precisamente dalla norma103. Nel diverso caso in cui, invece, la richiesta venga rigettata o dichiarata inammissibile, si prevede la possibilità di ricorrere per Cassazione, secondo il procedimento regolato dall'art. 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69, che ha attuato nel nostro ordinamento la direttiva 2002/584/GAI in materia di mandato di arresto europeo. Nell'ipotesi in cui, proprio come prevede la direttiva, l'EPO sia regolarmente emesso, esso va trasmesso “senza ritardo” al Ministero della Giustizia che, a propria volta, provvede all'inoltro del medesimo all'autorità straniera competente, con mezzi idonei a comprovarne l'autenticità e previa traduzione nella lingua di detto Stato104. Allorquando quest'ultimo rifiuti di darvi esecuzione, il Ministero della Giustizia deve informarne “senza indugio” il giudice che aveva emesso il provvedimento, al fine della successiva comunicazione alla persona protetta. In merito alla disciplina c.d. “passiva”, relativa al caso in cui l'Italia rivesta il ruolo di Stato di esecuzione, l'art. 7 del decreto attuativo indica nella Corte d'Appello nel cui distretto la persona protetta ha dichiarato di soggiornare o risiedere, ovvero nel quale la medesima intende soggiornare o risiedere, l'autorità competente a riconoscere un ordine di protezione europeo. L'autorità centrale deputata alla ricezione delle richieste provenienti dai vari Stati membri è invece costituita dal Ministero della Giustizia, il quale, acquisito l'ordine, lo trasmette senza indugio alla Corte d'Appello competente, che decide senza formalità entro dieci giorni dalla data di ricevimento dell'EPO105. Qualora le informazioni contenute nell'EPO non siano complete o siano insufficienti ai fini della decisione, il Presidente della Corte d'Appello ne dà comunicazione al Ministero della Giustizia, che può richiedere integrazioni al Paese di emissione, con una conseguente

103 V. art. 5, comma 3, d.lg. 11 febbraio 2015, n. 9. 104

V. art. 6, d.lg. 11 febbraio 2015, n. 9.

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sospensione del termine di dieci giorni per la decisione. Una volta riconosciuto l'EPO, con una decisione che è assunta nell'assenza del contraddittorio, potendo quindi destare alcune perplessità, la Corte d'Appello competente dispone l'applicazione di una delle misure cautelari previste dagli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., in modo tale che sia assicurata, come auspicava la direttiva, “la corrispondenza degli

obblighi dettati nella misura di protezione” 106. Nella disposizione che indica le ipotesi ostative al riconoscimento, soltanto alcune risultano del tutto sovrapponibili a quelle previste dalla direttiva. Ottenuto il riconoscimento è prevista in primo luogo l'informazione al Ministero della Giustizia che comunica a propria volta l'esito alla persona protetta, al soggetto che determina il pericolo, alla polizia giudiziaria e ai servizi socio-assistenziali del luogo presso cui ha dichiarato di risiedere o soggiornare la persona protetta. Se, poi, il destinatario del provvedimento si rende responsabile di una violazione delle prescrizioni, la polizia giudiziaria informa il procuratore generale ed il presidente della Corte d'Appello con possibilità di emissione, in presenza delle condizioni di applicabilità, di una misura più grave: l'opzione adottata consente dunque, per il caso della trasgressione alle prescrizioni, di procedere, qualora ne sussistano le condizioni, all'applicazione di una misura coercitiva più afflittiva. Tale procedura consente all'autorità italiana di adottare un provvedimento provvisorio nell'attesa che, ai sensi dell'art. 11, comma 2, del decreto attuativo in questione, l'Autorità straniera decida se adottare eventuali misure cautelari più gravi, anch'esse suscettibili di riconoscimento da parte dello Stato di esecuzione. Infine, quanto alla cessazione degli effetti del riconoscimento dell'EPO, viene attribuita alla Corte d'Appello la facoltà di modificare, revocare o sostituire le misure adottate in base al procedimento descritto; anche in tale caso è espressamente prevista la possibilità di presentare ricorso per Cassazione avverso il

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provvedimento della Corte d'Appello, sempre ai sensi del già richiamato art. 22 della legge n. 69 del 2005.107 La normativa interna rappresenta indubbiamente un ampliamento della protezione che veniva offerta alla vittima dalla legislazione penale italiana. Va sottolineato, peraltro, che le modalità con cui l’Italia ha proceduto ad attuare la direttiva non sembrano del tutto rispettose della normativa europea. Un primo profilo di criticità riguarda la previsione di cui all’art. 9 par. 2 della direttiva, in base al quale la misura di protezione adottata nello Stato di esecuzione deve corrispondere il più possibile a quella dello Stato emittente. La legislazione italiana ritiene invece ammissibili, quali uniche misure di protezione, con riferimento all’esecuzione dell’EPO, quelle previste dagli artt. 282 bis e 282 ter. c.p.p., ovvero l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. E’ così riscontrabile una grave limitazione della protezione stabilita nella direttiva, la cui ratio era invece proprio quella di offrire una tutela ad ampio raggio, indipendente e non limitata dalle forme di protezione adottate dalle legislazioni interne dei singoli Stati membri. Come è stato opportunamente rilevato, “è evidente che,

qualora gli Stati membri – seppur nell'esercizio legittimo della discrezionalità loro concessa – limitino la sfera di applicazione dello strumento di cooperazione giudiziaria, prevedendo che esso operi rispetto ad una serie di divieti/restrizioni più ridotte rispetto a quelle fissate dalla direttiva, non può che aversi una frustrazione, almeno parziale, dell'effetto utile perseguito dalla normativa dell'Unione”108. Un ulteriore aspetto che merita di essere sottolineato riguarda le modalità con le quali il legislatore italiano ha disciplinato l'esecuzione dell'EPO dal punto di vista della procedura passiva. L'art. 10 della direttiva, infatti, prescrive che la trasmissione dell'EPO avvenga per il

107 Troglia M., L’ordine di protezione europeo dalla direttiva italiana alla recente

legislazione italiana di recepimento: alcune riflessioni, op.cit., pag. 2455.

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Moioli C., Le nuove misure “europee” delle protezione delle vittime di reato in

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tramite di contatti diretti tra l'Autorità competente ad emanare il provvedimento dello Stato di emissione e quella dello Stato di esecuzione, secondo il meccanismo del “dialogo diretto tra giudici”, che ha sostituito progressivamente, in ambito europeo, quello tra Stati. Il legislatore interno, invece, configurando ancora il Ministero della Giustizia come autorità centrale, appare ancora refrattario ad un dialogo che prescinda del tutto dall'intervento governativo.109