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La minaccia incompresa "Stato esile",

Capitolo 1 Profili generali di diritto ed

2. La minaccia incompresa "Stato esile",

"Dall'aprile del 1859 al marzo 1861 sorge[va] in Europa un nuovo Regno, l'Italia, esteso su 259.320 chilometri quadrati e popolato da 21 milioni e 777.000 regnicoli con una media di 85 abitanti per chilometro quadrato”292

. I sacrifici degli ultimi lustri erano certamente stati di notevole caratura e ampiezza ma, finalmente, l'agognato ed ambizioso albero dell'indipendenza era stato piantato. Naturalmente, come ogni buon botanico, la monarchia e la classe dirigente avrebbero dovuto fecondare il terreno sociale per riavere in cambio i germogli del patriottismo e dell'unità quali requisiti indispensabili per raccogliere i frutti per il momento ancora acerbi delle Venezie e di Roma. L'eredità del Cabou e dei regni pre-unitari tuttavia non si limitava esclusivamente al portato diplomatico-militare delle guerre d'indipendenza, ed alla conseguente affermazione sul

palcoscenico internazionale, ma anche al ben più arduo compito di governare il processo di costruzione nazionale in un contesto di scarsa legittimazione anche all'interno delle stesse elites borghesi. Il divario in termini di opere viarie, ferroviarie, portuali e di capacità produttiva era considerevole all'interno delle singole aree prima che lungo l'asse Nord/Sud così come diffusissimi erano l'incuria edilizia, il disordine urbanistico ed il dissesto ambientale i quali, singolarmente o collettivamente, determinavano incendi o altri infortuni ovvero, in aggiunta a intensi fenomeni naturali, vere e proprie catastrofi. Nonostante la frequenza di simili eventi, l'interesse dei governi nei confronti di queste tematiche fu saltuario e episodicamente relegato ad interventi

immediatamente successivi a inondazioni e terremoti in cui predominava l'approccio securitario e dell'ordine pubblico piuttosto di quello dell'assistenza ai sinistrati mentre per decenni fu del tutto assente qualsiasi aspetto preventivo sebbene non mancassero la memoria storica e le competenze tecniche. Infatti, fin dall'antichità le autorità e i sistemi giuridici dovettero fronteggiare le forze della natura e le situazioni imprevedibili anche elaborando specifiche soluzioni tra cui si possono citare “la Militia Vigilum" istituita da Augusto o gli accorgimenti empirici mediante i quali i borghi

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Con il d. lgs. 300 del 1999 il legislatore aveva, infatti, disposto l’istituzione di una apposita agenzia per la protezione civile la quale non divenne mai operativa per i rilievi mossi dalla Corte dei Conti e per l’abrogazione delle norme ad essa relative da parte del d.l. 343 del 2001 successivamente convertito dalla l. 401 del medesimo anno.

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medievali erano edificati sui colli non solo per facilitarne la difesa in caso di assalto ma anche per godere della più salubre aria rispetto alle pianeggianti zone paludose. In età contemporanea anche i diversi soggetti sovrani presenti sul territorio italiano mostrarono il loro interesse per la materia dei disastri naturali interpretati più che mai come fattori destabilizzanti interni, al pari di rivolte e insurrezioni, capaci di indebolire le istituzioni dinanzi ai sudditi e alle potenze straniere. Sebbene la ragion di Stato prevalesse dunque sull'aspetto solidaristico, i governi presero ad occuparsi del tema, prevalentemente in occasione dei singoli eventi come avvenne ad esempio con i

provvedimenti adottati nel regno delle Due Sicilie a seguito del sisma che afflisse la zona dello Stretto di Messina nel 1783. Il Re Ferdinando IV di Borbone inviò nelle zone colpite il principe di Strangoli Francesco Pignatelli, "con autorità e facoltà ut alter ego sopra tutti li prèsidi, tribunali, baroni, corti regie e baronali e qualsisiano altri uffiziali politici di qualunque ramo qualità e

carattere, come altresì sopra tutta la truppa tanto regolare quanto di milizie"293 dotandolo inoltre di centomila ducati per le immediate esigenze di sepoltura dei cadaveri, sistemazione varia, forestale ed idraulica nonché di repressione del crimine. A queste misure emergenziali si accompagnarono interventi di più ampio respiro come l'istituzione di una Cassa Sacra per il finanziamento della ricostruzione mediante l'incameramento di beni ecclesiastici, l'approvazione di una embrionale normativa antisismica294 sul cui rispetto avrebbe dovuto vigilare un'apposita commissione che rimase in funzione, sebbene con scarso successo, fino al 1854 ossia a poco più di un lustro dall'Unità. Nel frattempo si sarebbero altresì sviluppate iniziative anche in ambito tecnico- scientifico tra cui la creazione del primo centro sismologico del mondo, l'Osservatorio

Vesuviano295, dei vari corpi precursori del genio civile296 sulla scia della riforma napoleonica e della federazione tecnica italiana tra i corpi dei pompieri297.

Purtroppo a difettare in modo tragicamente decisivo, oltre alla conoscenza dei caratteri di territori e popolazioni solo recentemente annesse, era l'attenzione dell'intero apparato pubblico ad argomenti che avrebbero richiesto un capovolgimento sia delle finalità politiche dello Stato, tutto proteso al compimento del Risorgimento, che dell'idea liberale di "Stato esile" in carenza del quale "Non deve quindi stupire la «fatalistica» assenza di un dispositivo normativo e di una struttura tecnica adeguati che caratterizzerà per molto tempo il settore d'intervento pubblico delle emergenze naturali"298. Tale constatazione ha il sapore più amaro se si confronta tale inerzia con il ritmo incalzante con cui si presentarono disastri naturali e sanitari già nel primo decennio di vita del giovane Stato: il giorno dell'Immacolata Concezione del 1861, a neanche nove mesi dalla sua proclamazione, si ebbe l'eruzione del Vesuvio, replicata il 12 novembre 1867 e ancora un anno dopo, a cui si devono aggiungere le esondazioni del Tevere(1863 e 1870) e in Lombardia e Polesine(1868), le frane di Peccia(1863) Orsigna e Valle Grande (1864), i terremoti delle Giarre(1865) e di Savuto e Crati (1870) nonchè l'epidemia di colera (1865-1868) e l'eruzione dell'Etna del 1869). Stante la pressoché universalmente diffusa, tra le classi dirigenti europee, concezione minimalista dello Stato, non deve stupire l'utilizzo di mezzi scarsi ed impropri per fronteggiare le emergenze susseguitesi lungo lo stivale in quello e nei decenni a venire. Lo Statuto Albertino, infatti, nel configurare una monarchia costituzionale, non menzionava in alcun articolo parole, necessità o emergenza, per non dire della scarsità dei diritti riconosciuti ai regnicoli già esclusivamente ristretti a quelli di carattere civile e politico. Maggiormente suscettibili di spunti erano il preambolo e le disposizioni transitorie: nel primo era contenuto un riferimento

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Botta S., “Politica e calamità. Il governo dell’emergenza naturale e sanitaria nell’Italia liberale (1861-1915)”, Rubbettino, 2013, p. 124.

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Il 20 marzo 1784 fù emanata una serie di disposizioni concernenti le costruzioni con le quali, tra l’altro,

l’incatenamento delle travi alle strutture murarie e l’utilizzo di intelaiature lignee per quest’ultime. La scarsa effettività di tale normativa non avrebbe, tuttavia, impedito il verificarsi di nuove distruzioni in occasione dei successivi terremoti.

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L’osservatorio, attualmente inserito all’interno dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, risale al 1841.

296Un’ aliquota di ingegneri civili venne inserita nel 1816 tra le strutture del Ministero della Guerra per poi essere

trasferita al Ministero degli Interni divenendo in seguito denominata come Genio Civile.

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La Federazione nacque in occasione del V Congresso Pompieristico del 1839.

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"agli eventi straordinari" che circondavano il paese con ciò descrivendo il clima di rivolta ed insurrezione, dunque ben altro rispetto ad avvenimenti naturali, di quel '48 mentre tra le seconde, all'art. 82, compariva l'unica citazione del termine "urgenza" che veniva tuttavia riferito ad un "servizio pubblico" da esercitarsi mediante "sovrane disposizioni" in attesa che "il presente statuto" avesse "il pieno suo effetto". Per quanto concerne, invece, l'organizzazione dei poteri e la disciplina delle fonti risultavano non pervenuti rispettivamente l'organo collegiale consiglio dei ministri e la figura individuale del suo presidente nonché una qualsi voglia esplicita attribuzione di facoltà legislative in capo all'esecutivo neppure per casi eccezionali. A garantire all'ordinamento del regno la necessaria elasticità per adattarsi a situazioni eccezionali furono piuttosto il susseguirsi dell'attribuzione dei pieni poteri al governo o al Re e l'estesa applicazione dell'istituto bellico dello stato d'assedio a circostanze afferenti in prima battuta all'ordine pubblico e solo successivamente alle calamità naturali. I pieni poteri non sono un istituto (nel senso di un complesso di regole formulate), previsto o riconducibile allo Statuto. "Essi sono una convenzione costituzionale, ovvero una prassi politica assentita (quantomeno tacitamente) da tutti i poteri pubblici, compresi quelli di controllo, di garanzia o di espressione dell'opinione pubblica"299 mediante la quale si derogava all'ordinaria distribuzione dei poteri consentendo al potere esecutivo l'emanazione di fonti legislative. L'uso ripetuto fu però circoscritto a periodi di conflitto internazionale, le guerre d'indipendenza, con la sola anomalia del 1865 quando furono utilizzati al fine di ovviare alle lungaggini parlamentari e provvedere in modo celere all'uniformazione dei differenti ordinamenti precedenti all'unificazione nel Regno Sabaudo. Vero e proprio istituto, lo stato d'assedio venne invece mutato dalla legislazione militare ed adattato all'impiego domestico in occasione delle frequenti rivolte ed insurrezioni del XIX secolo comportando forti restrizioni ai diritti nonché l'esautorazione delle amministrazioni ordinarie, in primis dei comuni, in favore delle autorità militari e dei Prefetti e Sotto-prefetti. Tutto ciò nonostante che le leggi n. 2248 e 2359 del 1865, rispettivamente all'art. 7 e agli artt. 71 e 76, conferissero alle autorità ordinarie ampi poteri straordinari. In primo luogo ai sindaci era attribuito il potere di disporre della proprietà privati in casi di emergenza e con decreto motivato di occupare in via temporanea beni immobili funzionali al soddisfacimento dell'interesse pubblico. In secondo luogo, la medesima l. 2248 prevedeva la possibilità di ordinanze sindacali e prefettizie svincolate da un contenuto prestabilito e capaci di derogare a disposizioni di legge e di regolamento. Ciò fu reso possibile dal superamento, in ambito civilistico, della " volontà di creare un assoluto, la proprietà, in grado di limitare un altro assoluto, il potere sovrano"300, emersa con il codice napoleonico, attraverso il combinato disposto tra l'art. 29 dello Statuto e gli artt. 436 e 438 del codice unitario entrato in vigore il 1° gennaio 1866. Infatti, dalla lettura coordinata delle suddette disposizioni risultava un quadro normativo caratterizzato da un duplice ordine di limiti al diritto dominicale: "Il primo riguardava la possibilità che la legge o i regolamenti locali imponessero un vincolo alla proprietà, tale da costringere il proprietario alla cessione del bene, in tutto o in parte, a vantaggio di altri privati o per uso pubblico, a fronte della corresponsione di un'indennità"(art. 29 St. e 438 c.c.)301 mentre il secondo consisteva nelle "ipotesi nelle quali il bene del privato avesse costituito un pericolo per la salute pubblica, autorizzando così la competente autorità ad ordinarne la rimozione o ad adottare gli espedienti più opportuni al caso concreto, senza che nemmeno sorgesse la questione dell'indennizzo"(art. 436 c.c.)302. Tra le diverse categorie di limitazioni relative a questa ultima ipotesi rientravano quelle "per motivi di sicurezza, igiene o sicurezza pubblica"303. Infine le prerogative dominicali avrebbero almeno sulla carta dovuto chinare il capo dinanzi alla nascente disciplina urbanistica e in particolar modo nei confronti

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Volpe G., op. cit., p. 35

300Farri G., Pagliari G. e Sollini M., “Regime della proprietà privata tra vincoli e pianificazione dall’Unità d’Italia a

oggi”, Rivista giuridica dell’edilizia, fasc. 6, 2015.

301 Ibidem. 302 Ibidem. 303 Ibidem

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dei piani regolatori304 i quali erano diretti a "provvedere alla salubrità e alle necessarie

comunicazioni" nonché a "rimediare alla viziosa disposizione degli edifizi" (art. 86 l. 2359 del 1865) ma "non trovarono sostanzialmente applicazione, sia per l'impreparazione delle

amministrazioni, sia per la mancanza dei mezzi finanziari necessari da parte dei Comuni"305. Infatti questi ultimi divennero ripetutamente oggetto di sempre nuove incombenze, dalle opere pubbliche igieniche a quelle stradali, senza che godessero di innalzamenti delle risorse economiche disponibili ed anzi furono loro sottratti diversi cespiti. Del resto non diversa era la situazione sul piano delle strutture operative che, in sostanza, consistevano esclusivamente nell'esercito come unico soggetto che univa distribuzione sul territorio, specialità tecnico-scientifiche, equipaggiamenti e catena gerarchica mentre ancora allo stato embrionale si trovava l'organizzazione delle guardie di pubblica sicurezza e dei pompieri.Un certo grado di complessità avevano raggiunto invece

l'amministrazione dei lavori pubblici e quella della sanità. Nel 1848 era stato per l'appunto creato il Ministero dei Lavori Pubblici con il compito di "vigilare sulla gestione delle miniere, sulla

costruzione e l'esercizio di strade ordinarie e ferrate, sul regime delle acque pubbliche, sulle opere di difesa e navigazione, sulle bonifiche, sulla costruzione e manutenzione di porti e spiagge, sull'ampliamento e il miglioramento degli abitati, sulla costruzione e tutela degli edifici pubblici, sulla conservazione dei pubblici monumenti e sull'impianto, la manutenzione e l'esercizio dei telegrafi"306. Per ottemperare a tali incombenze fu trasferito dal Ministero degli Interni il Consiglio Superiore alle Opere Pubbliche e il Corpo Reale del Genio Civile che, con l'unificazione, inglobò gli omologhi corpi dei vari stati annessi. Autonomi dal corpo rimanevano invece gli addetti e i funzionari degli uffici tecnici di comuni e province. L'amministrazione della sanità sulla base della legislazione del 1865 rientrava nella sfera di competenza del ministero degli interni e mostrava un'architettura fondata sul Sindaco, il Prefetto e il Ministro per l'aspetto amministrativo ed

essenzialmente sulla carità privata e le istituzioni ospedaliere e sanatorie di enti religiosi nei quali, complice l'ancora bassa qualità delle conoscenze mediche, si prestava più cura alle sofferenze delle anime che a quelle del corpo. A livello comunale il medico condotto , stretto tra l'indifferenza dei poteri pubblici, l'ostilità delle plebi avvezze più a rimedi quali le preghiere che ai moderni farmaci, nonché le raccapriccianti condizioni igieniche degli abitati, non poté che affiancare alla sua opera professionale una costante missione di rinnovamento non solo sociale ma anche di carattere politico che produsse i suoi frutti nei decenni successivi.