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Il carattere monetario dell’economia capitalistica

1.3 La moneta come scorta liquida: il movente precauzionale

Non può sfuggire come l’inessenzialità della moneta all’interno del paradigma neoclassico denunci l’incapacità di quest’ultimo di dar conto del carattere monetario dell’economia capitalistica e delle disfunzioni che in essa possono verificarsi (S. Figuera, 2006: 97), dal momento che la moneta in tale contesto non risulta essere una grandezza economica osservabile:

“[…] in un mondo privo di incertezza, popolato da soggetti perfettamente razionali […] ogni soggetto si indebita soltanto nel momento esatto in cui si trova a dover effettuare un pagamento; e, analogamente, chi percepisce una somma di moneta si affretta a spenderla immediatamente per l’acquisto di beni o di titoli; tali spese riportano la liquidità alle imprese, che si affrettano a rimborsare il debito bancario. In un mondo privo di incertezza e di attriti, questi passi si succedono l’uno dopo l’altro, senza alcun intervallo di tempo; il che significa che, nel medesimo istante, la moneta viene creata, trasmessa, e distrutta. Ma se è così, la moneta risulta una grandezza non osservabile, e ci troviamo nella situazione paradossale di aver definito come economia monetaria un’economia nella quale la moneta, pur essendo per definizione indispensabile allo svolgimento degli scambi, sfugge ad ogni osservazione e ad ogni misura.” (A. Graziani, 1994: 20-21)

13 Riportiamo la seguente efficace sintesi circa la spiegazione neoclassica della ciclicità generata dalla temporanea endogeneità acquisibile dall’offerta aggregata di moneta: “Supponiamo che le banche non si attengano alla regola di pura intermediazione ed effettuino crediti in misura superiore ai risparmi raccolti. L’incremento dell’offerta di moneta determina un eccesso degli investimenti sui risparmi e, secondo la teoria quantitativa della moneta, inflazione. Se le banche persistono nel finanziare l’eccesso di investimenti, esse incontrano presto o tardi […] problemi di insufficiente liquidità e sono costrette a ridurre gli impieghi.” (R. Realfonzo, 1995: 173)

Le difficoltà poste dall’inessenzialità della moneta nel modello walrasiano e la circolarità del ragionamento legato al tentativo di definire l’utilità indiretta della moneta furono superate rispettivamente prendendo atto che l’economia capitalistica, in quanto economia monetaria, è caratterizzata dalla presenza di incertezza, condizione che la distingue nettamente da un’economia di baratto, e dall’identificazione dell’errore insito nel tentativo di definire l’utilità della moneta in termini di capacità di spesa (inficiata dalla circolarità nella sua determinazione) anziché in termini di detenzione di moneta.14 In altre parole, l’utilità della moneta non deriva dall’utilità dei beni acquistabili con essa ma dalla sola possibilità di acquistarli “poiché ciò che ci interessa è l’utilità di detenere moneta non quella di spenderla” (D. Patinkin, [1965] 1977: 79). La presa d’atto che l’incertezza caratterizza l’agire economico in un’economia capitalistica apre la strada alla definizione della natura diretta dell’utilità della moneta: la liquidità ovvero la sua capacità di poter dar luogo in qualsiasi momento all’acquisto di beni e servizi. A tale fondamentale passo avanti non corrisponde, però, una univocità interpretativa.

Dobbiamo ad Alfred Marshall il riconoscimento alla moneta della funzione di riserva di valore. Tuttavia, come spesso succede ai maestri di una disciplina, il suo contributo si presenta articolato e non riducibile entro i confini esclusivi di un paradigma teorico, costituendo un (nuovo) punto di partenza e non un punto d’arrivo della riflessione. Nel caso in questione, relativamente cioè all’analisi del ruolo svolto dalla moneta nell’economia capitalistica, ne sono conseguite due letture contrapposte: da un lato l’interpretazione neoclassica secondo la quale, grazie a Marshall, la TQM ha conosciuto un’ “età dell’oro” in cui si rafforza una lettura dell’equilibrio di L/P caratterizzato da rapporti meccanici tra moneta e prezzi, e un’analisi di B/P in cui l’instabilità ha origine esclusivamente nelle variazioni delle variabili monetarie da cui la politica monetaria come unico strumento utile e sufficiente alla stabilizzazione del sistema economico:

14 Il tentativo formale di applicare alla moneta un’analisi basata sull’utilità marginale è compromesso dal circolo vizioso in cui cade la definizione di utilità indiretta della moneta. Ludwig von Mises, suo patrocinatore, tenta senza successo di risolverlo dopo l’efficace critica di Karl Helfferich sintetizzabile nella constatazione che la quantità di merci acquistabile dalla moneta dipende dal livello dei prezzi ma, quindi, dipende dal valore stesso della moneta. Ne deriva che solo dopo che i soggetti vengono a conoscenza dei prezzi di equilibrio di mercato sono in grado di determinare l’utilità marginale della moneta. Per superare questa restrizione in modo che il soggetto economico possa determinarla senza conoscere i prezzi di mercato in modo da poter definire la propria strategia di mercato (le proprie schede di domanda e offerta), Mises presuppone che gli individui basino le loro scelte ipotizzando la stabilità dei prezzi rispetto al periodo precedente e, in tal modo, definendo l’utilità marginale della moneta. Il rimando di ogni periodo al periodo precedente conduce ad un periodo iniziale in cui l’oro è usato non come moneta ma come merce direttamente utile. In tal modo, però, il valore della moneta verrebbe a dipendere dal valore dell’oro come merce, facendo ricadere il tentativo in un ragionamento circolare senza soluzione (A. Graziani, 1994: 19).

“Fisher [...] una volta scrisse un famoso articolo interpretando il ciclo economico come una ‘danza del dollaro’ in cui egli argomentò che le fluttuazioni nelle attività economiche erano principalmente un riflesso dei cambiamenti nella quantità di moneta […]. Fino al 1930, lasciatecelo dire, l’analisi di Irving Fisher fu ampiamente accettata [e] nella politica economica, fu ampiamente accettato che la politica monetaria era il principale strumento disponibile per la stabilizzazione dell’economia […] per mezzo di una combinazione di due lame di una forbice, una lama costituita da ciò che negli USA chiamano ‘ tasso di sconto’ […], l’altra lama costituita dalle operazioni di mercato aperto, l’acquisto e la vendita di titoli di stato.” (M. Friedman, [1970] 1991: 3-4)15

Dall’altro lato un secondo filone interpretativo che, al contrario, riconosce al contributo di Marshall un contenuto altamente innovativo che ha il merito di aver aperto la strada alla comprensione delle relazioni tra aspetti reali ed aspetti monetari della produzione sviluppate successivamente da alcuni dei suoi allievi più brillanti (R. R. Canale, 1999: 5-6). J. M. Keynes così scrisse nell’articolo commemorativo per il suo maestro relativamente alla pubblicazione di Theory of money:

“Non vi è branca della scienza economica in cui l’originalità e la lungimiranza del pensiero di Marshall sono più evidenti, o dove la sua superiorità d’intuizione e di conoscenza rispetto ai contemporanei sia più marcata. [...] Si rese conto che l’oscillazione del livello dei prezzi, che accompagna il ciclo economico, corrisponde ad una oscillazione nel volume di ‘disponibilità di potere d’acquisto in forma liquida’ che la gente desidera detenere. Questa è l’espressione con la quale Marshall indica quelli che io ho definito saldi reali.” (J. M. Keynes, [1924] 2010: 99-103)

L’approccio della “domanda di scorte liquide”, elaborato dalla scuola di Cambridge (Pigou e Robertson in particolare) a partire dal contributo di Marshall, sposta la centralità delle dinamiche monetarie dal lato della domanda di moneta legando la relazione moneta – prezzi non più a variabili di sistema bensì alle scelte degli agenti economici generatrici, appunto, di domanda di moneta. Il ruolo attivo assunto dalla domanda, che apre la strada alle successive tesi circa l’endogeneità della moneta, deriva dal fatto che essa non risponde più solo a scopi transattiva quanto, e soprattutto, ad esigenze che si possono manifestare improvvise ed imprevedibili in termini sia di bisogni da soddisfare sia di opportunità da cogliere. A prevalere è, ora, il movente precauzionale che spinge gli agenti economici a disporre in modo permanente di una quantità di moneta determinata ancora in termini reali (cioè di potere d’acquisto) ed il cui livello è ritenuto da Marshall proporzionale al reddito percepito, secondo una proporzione influenzata direttamente dal livello di incertezza percepito dagli agenti economici che esprimono tale domanda.

Tuttavia, l’acquisizione della funzione di riserva di valore da parte della moneta,

conseguenza diretta del persistere di condizioni di incertezza nel sistema economico, pur determinando l’assunzione di un ruolo attivo nella definizione dell’equilibrio del mercato della moneta da parte della domanda di moneta (contrariamente a quanto avviene nella formulazione di Fisher) rimane ancora quantificata dall’ “ammontare di merci su cui la gente ha deciso di tenere disponibilità in forma liquida” (A. Marshall, [1871] 1981: 112), da cui la già ricordata definizione di utilità della moneta correlata alla sola possibilità di acquistare, e non più al godimento diretto, di beni e servizi (A. Graziani, 1993: 532).

La formalizzazione marshalliana si sintetizza in quella che è nota come Equazione

di Cambridge e che riassume altrettanto efficacemente di quella fisheriana, le sue implicazioni teoriche:

Equazione 1.4: L’equazione di Cambridge

Md = Pky

con:

Md = quantità di moneta in circolazione definita dalla domanda di moneta espressa dai soggetti economici; P = livello nominale dei prezzi delle merci prodotte (y)

ky = frazione del reddito reale disponibile che quantifica la domanda di scorte liquide (in termini reali) determinata dall’insieme delle variabili identificate da Marshall

Le conclusioni marshalliane sono facilmente ricondotte dal mainstream all’equazione fisheriana, facilitato in questo da una posizione ambigua dello stesso Marshall che, relegando le variazioni dello stato di fiducia ad un’influenza solo

temporanea (Cfr. le successive citazioni da A. Marshall in questo paragrafo), consente, senza alcuna apparente forzatura, di considerarla ininfluente nel lungo periodo rendendo plausibile l’ipotesi di un k costante. Un’ipotesi che rende in tal modo possibile l’elementare passaggio matematico che ci riporta alla TQM ponendo k=1/V e utilizzando

y come proxy (per difetto) delle transazioni poste in essere in un singolo periodo, dato che vengono prese in considerazione le sole transazioni di beni e servizi finali (le uniche ricomprese nel reddito nazionale).16 Vengono in tal modo confermate e rafforzate le conclusioni neoclassiche analizzate nel paragrafo precedente e sintetizzabile nella

16 Le difficoltà e l’ambiguità nelle definizioni delle transazioni T e del livello generale dei prezzi P, dell’originaria equazione degli scambi di Fisher sono state in tal modo superate ridefinendo T in termini di reddito nazionale reale y con P definito dalla stima del reddito nazionale nominale (PIL) e una conseguente modifica del significato e della dimensione di V, ora riferita al numero di volte che lo stock di moneta in circolazione è utilizzato per le sole transazioni che coinvolgono beni e servizi finali rientranti nel calcolo del PIL. La formulazione dell’equazione di Fisher diviene così: MV=Py a cui l’equazione di Cambridge risulta perfettamente riducibile ponendo la sola equivalenza k=1/V (Cfr. M. Friedman, 1996: 334 e ss.)

neutralità della moneta ed è questa, ancora oggi, l’interpretazione mainstream che prevale come si può significativamente leggere nella manualistica in uso:

“Ciascun soggetto attraverso la comparazione dei vantaggi e degli svantaggi connessi a detenere moneta determina la proporzione del reddito, k, detenuta in forma di moneta. […] dove k è l’inverso della velocità di circolazione […].” (G. B. Pittaluga, 2012: 109 - 110)

Sostenuta da una correlata apparente equivalenza analitica nella rappresentazione dell’equilibrio del mercato della moneta, l’equivalenza interpretativa non rende giustizia alla critica mossa da Marshall alla teoria quantitativa della moneta con toni che non lasciano dubbi circa la posizione marshalliana e che confermano la capacità di “omologazione” che il mainstream ha abilmente dimostrato in più occasioni nei confronti di autorevoli contributi dai contenuti (implicitamente o esplicitamente) critici (R. Realfonzo, 1995: 38-39):

“Questa ‘dottrina quantitativa’ è d’aiuto fin quando funziona, ma non indica quali siano le ‘altre cose’ che devono essere assunte uguali per giustificare la proposizione: e non spiega le cause che governano la ‘velocità di circolazione’. […] Le altre cose, che devono rimanere le stesse per questa affermazione, includono a) la popolazione; b) l’ammontare di affari pro-capite; c) la percentuale di quegli affari che è influenzata direttamente dalla moneta; e d) l’efficienza (o la velocità di circolazione media) della moneta. Solo se queste condizioni sono prese in considerazione, la dottrina può essere esaminata: e se sono prese in considerazione la dottrina è quasi un truismo.” (A. Marshall, [1923] 1991: 48)17

Per Marshall, infatti, sul volume della moneta in circolazione e sulla sua relazione con il livello generale dei prezzi influiscono una molteplicità di variabili che, di fatto, non permettono la definizione di una relazione biunivoca tra M e P come invece è per la TQM:

“Questa relazione tra la quantità di moneta ed il livello generale dei prezzi può essere modificata in modo permanente a causa di cambiamenti, innanzitutto, nella popolazione e nella ricchezza, che modificano il reddito nazionale; secondariamente dallo sviluppo del sistema bancario che sostituisce altri mezzi di pagamento alla moneta; in terzo luogo, dallo sviluppo nei mezzi di trasporto, nella produzione e nel commercio in generale, che influiscono sul numero di passaggi subiti dalle merci nei processi di produzione e di circolazione, e può essere temporaneamente [corsivo mio] modificato dalla fluttuazione dello stato di fiducia generale commerciale e delle attività.” (A. Marshall, [1923] 1991: 45)18

In realtà dietro a questo cambiamento apparentemente formale troviamo una diversa concezione di domanda di moneta (Roncaglia A., 2001: 408), la cui analisi è

17 Traduzione a cura dell’autore 18 Traduzione a cura dell’autore.

sostanzialmente assente nell’approccio quantitativo data la sua meccanicistica determinazione. Tale difformità è peraltro chiaramente espresso dallo stesso Marshall nella sua critica in merito al ruolo attribuito dalla TQM a V.19 Nella domanda di moneta per scopi precauzionali il coefficiente k quantifica le ragioni individuali che spingono a domandare moneta ma, da un lato tra queste ragioni la necessità di finanziare gli scambi perde di rilievo a favore del ruolo assunto dall’incertezza, principale causa della variabilità di k e, conseguentemente della domanda di moneta; dall’altro lato, e conseguentemente, il livello dei prezzi costituisce solo una delle variabili da tenere in considerazione.20

Non solo, la normalizzazione dell’Equazione di Cambridge alla TQM risulta particolarmente debole se non addirittura infondata a partire dal significato attribuito alle variabili di comportamento: a) M nella versione fisheriana indica l’offerta di moneta determinata esogenamente dall’autorità monetaria in funzione degli obiettivi di politica monetaria perseguiti, in Marshall indica la domanda di moneta determinata

endogenamente dagli operatori economici a cui l’autorità monetaria si adegua sempre in funzione dei suoi obiettivi; b) V nella versione fisheriana è una variabile di sistema definita da condizioni oggettive di sviluppo del sistema dei pagamenti; in Marshall k è una variabile soggettiva in quanto definita principalmente dall’incertezza percepita dai singoli soggetti; c) alla luce del successivo contributo keynesiano perde notevolmente di rilevanza la definizione di tendenze di lungo periodo con riferimento ad una realtà dinamica come è quella capitalistica che determina una successione di brevi periodi tra loro differenziati per il rapido mutamento della realtà economica e sociale capitalistica che rende vacuo oltre che non possibile la stessa definizione di lungo periodo come somma di un certo numero di brevi periodi.

Nonostante sia lo stesso Marshall a facilitare l’omologazione del suo approccio dei

saldi monetari alla TQM ponendo l’ipotesi che k tende ad essere stabile nel L/P ed

19 Significativo è un suo scritto giovanile “Le basi della teoria monetaria di Cambridge” del 1871, ora disponibile anche nella raccolta di saggi curata da Giacomo Becattini, in cui egli critica il ruolo determinante attribuito alla velocità di circolazione che, come sarà poi ripreso e formalizzato da Keynes, è da lui interpretata come una variabile endogena dipendente da k, escludendo in tal modo una qualsiasi equivalenza tra le grandezze k e 1/V. k è proporzionale alla ricchezza detenuta da ciascuno (per Marshall più propriamente è proporzionale al reddito mentre in Keynes lo è rispetto alla ricchezza posseduta) e dipendente dalle valutazioni individuali sulla quantità di moneta utile a soddisfare eventuali bisogni non determinabili anticipatamente in quanto incerti. (A. Marshall, [1871] 1981: 105 – 115).

20 Esplicita la sua posizione in merito al rapporto tra quantità di moneta in circolazione e livello dei prezzi, a fondamento della teoria quantitativa della moneta, nella sua risposta alla domanda 11759 del Commetee on Indian Currency; “Ritengo che i prezzi varino direttamente con il volume del circolante, se le altre cose sono le stesse; ma le altre cose mutano continuamente” (A. Marshall, [1899] 1999: 91)

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esprimendo la domanda di moneta in termini reali di potere d’acquisto, confermando conseguentemente il relativo prezzo in 1/P, egli apre la strada al successivo riconoscimento della natura endogena della moneta ad opera (principalmente ma non solo) di Keynes che comporta il rigetto della sua presunta neutralità quale velo posato sull’economia reale dalla cui grandezze resta distinta e separata.21

Figura 1.2: Il mercato della moneta secondo l’”Equazione di Cambridge”

con

, Da cui la sua funzione (inversa):

costituita dalla base monetaria, esogenamente determinata dalla Banca Centrale, e dalla moneta bancaria, esogenamente controllata dalla Banca Centrale sotto la condizione di .

Data la C.E.:

dato in quanto fissato al livello di p. o. e nell ipotesi di livello di incertezza stabile nel /

21 Da sottolineare come l’utilizzo di 1/P sia solo in apparenza omologabile a quello derivato dalla TQM dato che, come chiarì anche J.R. Hicks nel suo articolo del 1933, “Equilibrium and the Cycle”: l’utilità fornita dalla moneta è la protezione contro l’incertezza mediante l’acquisizione di uno stock di ricchezza, conseguentemente l’utilità della moneta è, pertanto, diretta e discende non dalla spesa (il suo potere d’acquisto) bensì dalla mancata spesa della moneta domandata (A. Graziani, 1994: 20).

⇒ ponendo TQM

Pur ritrovando qui le stesse conclusioni della TQM, esse sono ora condizionate dalla presenza di un’ulteriore condizione nell’ipotesi ceteris paribus: un livello costante di incertezza percepito dagli agenti economici rispetto all’andamento generale dell’economia (condizione in cui possiamo facilmente individuare in nuce la successiva svolta eretica di Keynes).

Il riconoscimento di un’utilità diretta alla moneta comporta che, come per tutte le merci, il suo valore sia determinato dall’equilibrio tra domanda e offerta. Per Marshall l’offerta di moneta in una moderna società avanzata comprende “tutte le monete coniate e le banconote emesse dal Governo. Pressoché nella stessa categoria rientrano le banconote emesse dalle banche con una buona reputazione” (A. Marshall, [1923] 1991: 13). Tale definizione rimanda al processo di creazione dei mezzi di pagamento di natura creditizia da parte del sistema bancario per i quali Marshall evidenzia la variabilità in funzione della domanda espressa dai soggetti economici e della disponibilità delle banche a concedere prestiti. Nell’attività del sistema bancario egli individua un comportamento pro-ciclico destinato, quindi, ad amplificare la ciclicità del sistema capitalistico: in fasi di espansione “i banchieri […] prestano più liberamente” mentre nelle fasi recessive “coloro che hanno prestato diventano ansiosi di assicurarsi e rifiutano di rinnovare i loro prestiti […].” (A. Marshall, [1923] 1991: 15). Ancora una volta, pur rimanendo confermata l’esogeneità dell’offerta di moneta nel L/P (anche nell’ambito della teoria del moltiplicatore rigido), Marshall sottolinea come nel B/P tale livello di offerta possa non essere raggiunto a causa del mancato sfruttamento da parte delle banche del potenziale creditizio espresso dal moltiplicatore monetario e controllato dalla Banca Centrale.

Rispetto alla rappresentazione geometrica qui proposta rileviamo innanzitutto che la variabilità di k ha dirette conseguenze sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta di moneta nella sua componente di moneta bancaria, entrambe coinvolte in un aumento del livello di rischio recepito e reale rispetto alle rispettive attività di riferimento, investimenti e impieghi. Le conseguenze sulle funzioni e si traducono: i) nella loro natura endogena; ii) nell’assunzione di un loro ruolo reale (quale contropartita rispettivamente alle decisioni di impiego e di investimento); iii) in uno spiazzamento delle politiche monetarie adottate dalla Banca Centrale.

un’economia di scambio in cui l’introduzione della moneta ha il solo scopo di facilitare gli scambi; Marshall, al contrario, contribuisce alla fondazione di una teoria monetaria della produzione partendo dalla sua critica alla TQM per proseguire con l’ipotesi del tesoreggiamento come fenomeno anomalo che può verificarsi in presenza di aspettative negative generate da una crescita dell’incertezza e riconoscere un ruolo pro-ciclico svolto dal settore creditizio (Zagari, 1998: 126-132). Un’analisi estremamente attuale che manifesta una limpida capacità esplicativa dell’instabilità del sistema e delle dinamiche in atto nell’attuale situazione di crisi (al netto delle colpevoli attività speculative generatrici della crisi dei mutui sub-prime).

Rileva acutamente a tale proposito H. J. Mellon (citata in R. Realfonzo, 1995: 141) come la ricchezza dell’approccio marshalliano sia mascherato dalla conformità alla teoria neoclassica delle sue conclusioni che tuttavia lui stesso sottolinea come valide sempre sotto la condizione ceteris paribus: un complesso di condizioni a cui lo stesso