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Il carattere monetario dell’economia capitalistica

1.4 La moneta come scorta liquida: il movente speculativo

Dall’iniziale definizione di Marshall e dalla successiva analisi keynesiana discende, come noto, l’individuazione di tre moventi che contribuiscono alla formazione della domanda di scorte liquide: transazionale (dovuto all’asincronia temporale tra entrate ed uscite monetarie dei soggetti), l’unica compatibile con le ipotesi neoclassiche, precauzionale (dovuto al verificarsi di spese impreviste ed incerte) e speculativo (introdotto da Keynes e legato al vantaggio economico ottenuto rimandando temporaneamente l’acquisto di merci o attività finanziarie speculando sulle relative variazioni di prezzo).

Fu J. M. Keynes, allievo di Marshall, a proseguire nella ricerca avviata dal suo mentore verso la definizione del ruolo svolto dalla moneta in quella che Keynes definisce

Malthus e Mill, che individuano la sua manifestazione nell’interruzione del circuito monetario attraverso il verificarsi di una generale tendenza a vendere senza indugio accompagnata da una tendenza altrettanto generale a rinviare per quanto possibile ogni acquisto, diventa centrale nella riflessione di Keynes il problema della domanda di scorte

liquide quale causa del ristagno di liquidità che caratterizza le depressioni economiche (A. Graziani, 2001: 139).

J. M. Keynes nella sua opera più famosa edita nel 1936, Teoria generale

dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, ritorna alla visione macroeconomica classica di una società divisa in classi sociali ciascuna mossa da specifici e distinti interessi, in cui solo i lavoratori-consumatori perseguono il massimo utile personale attraverso l’azione di consumo, sintetizzabile nel ciclo M-D-M in quanto cedono una merce (il lavoro) contro moneta per ottenere un’altra merce, mentre i capitalisti-imprenditori perseguono l’accumulazione della ricchezza in generale attraverso il profitto sintetizzabile nel ciclo D-M-D’ in quanto cedono moneta in cambio di merci (e lavoro) allo scopo di ottenere una quantità maggiore di moneta. Idea sviluppata da K. Marx e condivisa da Keynes con M. Kalecki e J. Schumpeter: “Un imprenditore non ha interesse alla quantità di merce di cui entrerà in possesso. Egli aumenterà la produzione se, facendo così, egli si attende di accrescere il profitto monetario, anche se questo profitto è rappresentato da una quantità di prodotto minore di prima.” (J. M. Keynes, The Collected

Writings, Vol. XXIX, pp. 81-82). È dunque sulla natura del capitalismo come economia monetaria che Keynes riteneva l’analisi ortodossa insufficiente e fallace nell’identificazione della crisi come fenomeno sporadico anziché connaturato, sistemico e ricorrente nel capitalismo in quanto esito del comportamento dei capitalisti-imprenditori che, spinti dalla ricerca del profitto più elevato, possono trovarsi nelle condizioni di preferire alla realizzazione di investimenti produttivi l’acquisto di merci non prodotte, o che, per essere prodotte non richiedono l’uso del lavoro - i cosiddetti beni rifugio - con una necessaria e conseguente riduzione del volume totale della produzione e dell’occupazione. All’interno di questa dinamica il capitalismo, in quanto economia monetaria di produzione, possiede per definizione una merce prodotta senza uso di lavoro e che risponde alle caratteristiche di un bene rifugio: la moneta. Una merce che in particolari circostanze può rappresentare la migliore collocazione di quella parte di ricchezza che non è destinata alla soddisfazione di bisogni bensì destinata alla sua conservazione ed accumulazione. La crisi nasce da una caduta della fiducia sulle prospettive di profitto che si traduce in una crescente tendenza all’accumulazione di

scorte liquide con la conseguente contrazione delle attività produttive e la caduta dell’occupazione. In ciò ha la sua sintesi l’affermazione che l’economia capitalistica sia predisposta alla crisi (A. Graziani, 2001: 142-143).

Studiare la crisi significa per Keynes indagare le ragioni che possono rendere la moneta la merce più redditizia, il modo più sicuro per conservare ed accrescere la propria ricchezza a scapito degli investimenti. Le ragioni illustrate da Keynes sono strettamente connesse al problema dell’incertezza (già introdotta da Marshall nella sua riflessione sulla moneta) e delle aspettative che influiscono direttamente sui beni capitali determinandone il rendimento atteso e, conseguentemente, il relativo prezzo. L’incertezza, in quanto refrattaria a qualsiasi calcolo probabilistico, e le aspettative sui prezzi (e rendimenti), che tendono ad auto-confermarsi e ad influenzarsi a vicenda nelle decisioni degli agenti economici e finanziari, rendono i prezzi dei beni capitali altamente instabili in quanto determinati esclusivamente dalle aspettative della maggioranza degli operatori e non da utilità e scarsità che, al contrario, per i neoclassici determinano i prezzi sia dei beni di consumo sia dei beni capitali, per questi ultimi in termini di utilità dei beni finali che con essi possono essere prodotti (A. Graziani, 2001: 146).

Data questa spiegazione dei prezzi, nell’interpretazione keynesiana della crisi, un’elevata incertezza sull’andamento dei rendimenti e dei prezzi attesi per i beni capitali può rendere conveniente rinviare ogni decisione d’investimento, divenendo in tal modo la moneta la forma di ricchezza più redditizia, in quanto unica forma in grado di garantire l’assenza di rischio di perdite in conto capitale, fino al punto che la domanda di scorte liquide degli operatori può intrappolare la ricchezza determinando prima il crollo della domanda di beni capitali e, successivamente, quello dei beni di consumo quale conseguenza della caduta dell’occupazione e il conseguente scoppio della crisi.

Rinviare le decisioni d’investimento si traduce in domanda di moneta, unico bene in grado di trasferire nel tempo e senza rischio il suo valore nominale e per questo caratterizzata dal massimo livello di liquidità che comporta il mancato riconoscimento di un qualsiasi rendimento. I profitti legati agli investimenti diretti e l’interesse riconosciuto sui titoli emessi dallo Stato o da soggetti privati si configurano, in presenza di incertezza, in relazione diretta con il livello di rischio di perdita in conto capitale che a sua volta è in relazione inversa con il loro grado di liquidità.

Cambia, pertanto, il significato del tasso d’interesse che nei neoclassici è coerentemente il compenso al sacrificio della rinuncia al consumo presente mentre in Keynes diventa il compenso per la rinuncia alla liquidità sopportata nella trasformazione

della moneta posseduta in investimenti reali o finanziari. La liquidità costituisce l’utilità

diretta fornita dalla moneta e il tasso d’interesse il suo prezzo o, in altri termini, il costo sostenuto per soddisfare la propria “preferenza per la liquidità”. Il tasso d’interesse costituisce il prezzo della moneta domandata per il movente speculativo in relazione alle decisioni che gli agenti economici assumono per ottenere il miglior rendimento atteso dalla propria ricchezza che può essere collocata, in Keynes, in tre forme possibili: beni reali e titoli (rappresentativi in Keynes di beni reali) che riconoscono un profitto o un interesse ma non offrono alcuna certezza sul loro valore futuro (che può pertanto anche annullare il rendimento riconosciuto fino a determinare perdite in conto capitale), e la moneta il cui valore nominale è certo, essendo misurato sempre in termini di se stessa, e che non offre alcun rendimento ma permette di trasferire intatto (in termini nominali) nel tempo il potere d’acquisto della ricchezza posseduta, rendendo possibili in futuro investimenti a condizioni migliori di quelle presenti sulla base delle aspettative maturate dai soggetti economici (da cui il movente speculativo).

Pertanto al crescere del grado d’incertezza percepito nel sistema economico, aumenta la preferenza di liquidità in quanto:

a) si riduce il rendimento atteso sui beni reali che, nell’analisi keynesiana, si traduce in una caduta dell’efficienza marginale del capitale a cui corrisponde una caduta delle decisioni d’investimento e della domanda effettiva a sua volta generatrice delle crisi;22

b) la crisi si accompagna ad una caduta dei tassi d’interesse che si traduce in una caduta dei rendimenti dei titoli di stato e privati diffondendo tra gli operatori economici aspettative al rialzo sui tassi futuri tanto più basso diviene il loro livello

presente espresso dal mercato e “chiunque differisca dall’opinione dominante, quale è espressa dalle quotazioni di mercato, può aver buone ragioni per mantenere mezzi liquidi allo scopo di trarre profitto [nella convinzione] “di trarre

22 L’efficienza marginale del capitale costituisce il tasso al quale l’attualizzazione dei rendimenti futuri “attesi” su un investimento in beni capitali eguaglia il costo presente sostenuto per l’investimento. La sua relazione con il tasso d’interesse è definita con chiarezza da Keynes nell’introduzione al capitolo 13 della Teoria Generale: “mentre vi sono forze che fanno aumentare e diminuire l’ammontare dell’investimento, in modo da mantenere l’efficienza marginale del capitale uguale al tasso d’interesse, tuttavia l’efficienza marginale del capitale è cosa ben diversa dal tasso d’interesse prevalente. Si può affermare che la scheda dell’efficienza marginale del capitale governa le condizioni alle quali i fondi disponibili vengono domandati per nuovi investimenti; mentre il tasso d’interesse governa le condizioni alle quali i fondi vengono correntemente offerti.” (J. M. Keynes, [1936] 2006: 295).

profitto dal conoscere meglio del mercato ciò che il futuro arrecherà.” (J. M. Keynes, [1936] 2006: 299-300).23

Nella costruzione dell’equilibrio del mercato monetario Keynes mantiene dell’impostazione neoclassica-marshalliana i due moventi da questi definiti, quello

transazionale e quello precauzionale che costituiscono però, solo una prima componente

M1 della domanda aggregata della moneta e che mantiene una relazione prevalente e

diretta con il reddito monetario Y. Tuttavia il ruolo predominante nella determinazione della domanda di moneta è attribuito al movente speculativo cosi come sopra definito e della quale costituisce la seconda componente M2. È (solo) su questa seconda componente che la politica monetaria può agire data la sostanziale stabilità della componente M1 ritenuta “indifferente a qualsiasi influenza, salvo che all’effettivo verificarsi di una variazione dell’attività economica generale e del livello dei redditi” ((Keynes, [1936] 2006: 331). La componente M2 non ha alcuna relazione con Y mentre mostra una relazione continua ed inversa con il livello del tasso d’interesse presente. Keynes definisce tale relazione introducendo il concetto di “tasso d’interesse critico - ic -” corrispondente a quel tasso di interesse presente rispetto al quale per un dato agente economico è indifferente detenere titoli o moneta sulla base del tasso di interesse futuro - ie - da lui atteso in quanto ritenuto il livello ‘normale’ del tasso d’interesse nel L/P.24

Data la relazione inversa esistente tra il prezzo di un titolo ed il suo rendimento e l’introduzione dell’incertezza sui tassi d’interesse futuri di un titolo la definizione del rendimento di un titolo assume la qualificazione di ‘atteso’, per cui:

Equazione 1.5: Il rendimento atteso di un titolo in Keynes25 Re = i + ge

23 Profonda la spaccatura anche sul significato ed al ruolo del tasso d’interesse monetario rispetto alla teoria neoclassica: “Il tasso d’interesse non è il <prezzo> che porta all’equilibrio la domanda di mezzi da investire con la disposizione ad astenersi dal consumo presente. È il <prezzo> che equilibra il desiderio di detenere la ricchezza in forma liquida con la quantità di denaro disponibile.” (J. M. Keynes, [1936] 2006: 297) 24 Keynes distingue tre tipologie di attività che compongono la ricchezza di un individuo: beni reali, titoli e moneta. Tuttavia essendo i titoli rappresentativi di beni reali e data la tendenza dell’efficienza marginale del capitale ad adeguarsi al tasso d’interesse mediante variazioni nella domanda d’investimenti, Keynes semplifica l’analisi limitando il comportamento speculativo alla scelta tra titoli e moneta.

25 L’ipotesi semplificativa adottata da Keynes è quella di porre come alternativa alla detenzione di moneta solo titoli dello stato irredimibili e a cedola fissa, che comporta da un lato l’obbligo della sua vendita sul mercato per la sua trasformazione in moneta, non essendo prevista una scadenza naturale; dall’altro lato la definizione finanziaria del suo prezzo come rapporto tra la cedola fissa riscossa e il tasso d’interesse C/i: formula nella quale con i corrispondente a quello riconosciuto sul valore nominale si ottiene il prezzo di emissione, con i pari a quello in vigore nel mercato si ottiene il prezzo presente del titolo, con i pari a ie

atteso nel L/P si ottiene il prezzo di realizzo atteso alla scadenza corrispondente a quella del verificarsi di ie. Infine, considerare i soli titoli di stato Keynes esclude dalle variabili il rischio di insolvenza del debitore.

con:

i = tasso d’interesse fissato all’emissione e pagato dai titoli sotto forma di cedola annua, coincide pertanto con la cedola pagata per ogni unità di capitale investito

ge = guadagni/perdite in conto capitale attesi in seguito alla variazione del prezzo di mercato dei titoli indotta dall’adeguamento del rendimento presente al tasso d’interesse futuro ritenuto normale nel L/P per ogni unità di capitale investito (che nell’ipotesi di cedola fissa ha necessariamente una relazione inversa con il prezzo di mercato del titolo)

Da cui la definizione e determinazione del tasso d’interesse critico: quel livello del tasso d’interesse presente che rende pari a zero il rendimento atteso sui titoli rendendo indifferente la detenzione della ricchezza in titoli o in moneta in quanto la cedola riscossa - i - è esattamente compensata dalla perdita (attesa) in conto capitale in seguito alla variazione (negativa) del prezzo del titolo:

Equazione 1.6: La definizione del livello di i (presente) critico di un titolo in Keynes

dall’ipotesi Re = i + ge = 0

deriva la condizione

con

i = rendimento presente del titolo

ge = - i perdita attesa in conto capitale nell’ipotesi di vendita del titolo sul mercato a fine periodo, corrisponde in valore assoluto al rendimento presente riconosciuto dalla cedola riscossa

ic = tasso d’interesse presente che, qualora si realizzi sul mercato, rende Re=0 sulla base dell’ie ritenuto normale nel L/P dal singolo agente economico

ie = tasso d’interesse futuro atteso come normale nel L/P dal singolo agente economico26

Data la relazione inversa esistente tra tasso d’interesse e prezzo dei titoli, se il tasso d’interesse presente risulta superiore al tasso d’interesse critico la perdita attesa in conto capitale sarà inferiore alla cedola riscossa e il rendimento atteso risulterà positivo facendo preferire i titoli alla moneta, viceversa nel caso di interesse presente inferiore a quello critico la perdita attesa in conto capitale supererà la cedola riscossa facendo preferire la moneta ai titoli quale forma di detenzione dell’intera ricchezza nell’ambito del movente speculativo che identifica la forma più redditizia di detenzione della ricchezza posseduta. Il livello del tasso d’interesse critico è quindi determinato

26 Data la definizione di - 1 e data la derivazione finanziaria del prezzo di un titolo irredimibile a cedola fissa come che per una unità di capitale investito diventa il reciproco di i:

ne discende che - 1 = – 1 da cui + – 1 = 0 e i = che corrisponde a ic

soggettivamente sulla base delle aspettative sull’andamento dei tassi, ne consegue che nella analisi aggregata si determineranno due livelli di interesse critico: un livello minimo in corrispondenza del quale tutti gli operatori economici scelgono di detenere moneta (situazione definita conseguentemente da Keynes id trappola della liquidità (Vds. oltre) e un livello massimo in corrispondenza del quale tutti gli operatori economici hanno aspettative al ribasso dei tassi d’interesse futuri e conseguentemente azzerano la loro domanda di moneta speculativa.27

Volendo dare una rappresentazione analitica dell’equilibrio del mercato monetario secondo Keynes nel solco del metodo degli equilibri parziali di marshalliana origine otteniamo quanto rappresentato nella Figura 1.3. tenendo conto dell’ulteriore precisazione fatta da Keynes in merito alla composizione della domanda di moneta, che ci riporta al ruolo esclusivamente esemplificativo e assolutamente non teoricamente esaustivo già attribuito dal suo mentore, Alfred Marshall, alla rappresentazione matematico/geometrica dell’equilibrio di mercato:

“[…] la moneta tenuta per ciascuno dei tre scopi forma un unico serbatoio, che il detentore non ha alcuna necessità di separare in tre compartimenti stagni; anzi non è necessario nemmeno che essi siano separati nettamente nella sua mente, e la stessa somma può essere detenuta in primo luogo per un o scopo e in secondo luogo per un altro.” (J. M. Keynes, [1936] 2006: 329)

Come noto aggregando le scelte dei singoli agenti economici aventi ciascuno definito un personale livello di interesse critico, Keynes giunge alla costruzione della domanda di moneta speculativa come funzione continua e inversa rispetto al tasso d’interesse

presente.28 Dal lato dell’offerta Keynes parla genericamente di quantità di moneta disponibile nel sistema e non determinata dal pubblico (J. M. Keynes, [1936] 2006: 304) definita allo scopo di definire un determinato livello di i presente. Nella costruzione dell’equilibrio monetario possiamo pertanto mantenere l’ipotesi neoclassica di offerta di moneta esogena.

27 L’analisi di Keynes, qui sinteticamente esposta, non dava conto della diversificazione nelle scelte di portafoglio, una criticità successivamente superata da James Tobin con la sua teoria delle scelte di portafoglio in cui la stima del livello di rischio di ciascuna attività regola, sulla base della personale propensione al rischio, l’allocazione ottima della ricchezza ripartita tra titoli e moneta (Cfr. G. B. Pittaluga, 2012: 115-121).

28 Al crescere del tasso d’interesse presente si riduce progressivamente il numero dei soggetti che prevedono un Re negativo sui titoli e viceversa. Esisterà pertanto un livello di interesse presente al di sopra del quale si azzera la domanda di moneta speculativa (M2si azzera e permane la sola domanda di moneta M1) ed un livello minimo al di sotto del quale la domanda di moneta speculativa diventa infinita nel senso che tutti i soggetti detentori di ricchezza si aspettano un Re<0 e decidono di detenere l’intera ricchezza posseduta in moneta in attesa di una ripresa dei tassi d’interesse.

Figura 1.3: Il mercato della moneta secondo la Teoria generale di Keynes

con:

+

e ̅ tanto più elastica quanto più convergenti sono le ipotesi degli speculatori in termini di /

+ rappresentata in relazione ad i (dato che prevale quantitativamente su + ) e della quale la M1 rappresenta il livello MINIMO di per un dato livello del reddito monetario ed un dato livello di incertezza percepito.

M1 = autonoma rispetto ad i, è rappresentata da una retta verticale al livello definito da Ym e da k e coinciderà con la per livelli di i presente superiori a che azzera la . Per i livelli di i corrente inferiori a la assume elasticità infinita rispetto a i corrente divenendo una retta orizzontale

MS = l’offerta aggregata di moneta accettata come esogenamente determinata/controllata dalla Banca Centrale

Tuttavia Keynes precisa immediatamente le implicazioni reali della preferenza

per la liquidità ed il suo spiazzamento delle politiche monetarie:

“Infatti, mentre può attendersi che un aumento della quantità di moneta riduca, cet. par., il tasso d’interesse, ciò non accadrà se le preferenze per la liquidità del pubblico aumentano più della quantità di moneta; e mentre può attendersi che una riduzione del tasso di interesse accresca, cet. par., il volume di investimento, ciò non accadrà se la scheda di efficienza marginale del capitale cala più rapidamente del tasso d’interesse; e mentre può attendersi che un aumento del volume di investimento accresca, cet. par., l’occupazione, può darsi che ciò non accada se la propensione al consumo diminuisce.” (J. M. Keynes, [1936] 2006: 303)

Dall’analisi condotta da Keynes emerge chiaramente come la natura monetaria dell’economia capitalistica determini una conseguente instabilità permanente del sistema

economico rispetto alla quale poco può fare la politica monetaria. Ritroviamo qui confermata e rafforzata, infatti, la posizione marshalliana (Cfr. la citazione di nota 18) per cui l’equilibrio parziale così definito si realizza “se le altre cose sono le stesse, ma le altre cose mutano continuamente”. Le componenti della domanda di moneta sono tra loro correlate in quanto correlati gli effetti reciproci delle variazioni di Y e di i, ma a giocare il ruolo determinante è la variabilità delle aspettative dei soggetti economici che rendono “il tasso d’interesse un fenomeno altamente psicologico” influenzato dalla variabilità della preferenza di liquidità dei soggetti economici al punto che anche la relazione tra e i non risulta definibile univocamente come invece rappresentato nella Figura 1.3, (data la volatilità delle aspettative) potendo inoltre sfociare nella trappola della liquidità.

A rafforzare la tesi dell’inefficacia o insufficienza delle politiche monetarie in situazioni di squilibrio abbiamo, infine, quale corollario, le considerazioni circa la velocità di circolazione della moneta, la cui stabilità è essenziale alla validità della TQM. Dal momento che le aspettative agiscono sul livello della , modificano la composizione della domanda di moneta che l’analisi keynesiana evidenzia essere costituita da una componente di moneta attiva M1 (relativa al movente transazionale) che presenta necessariamente una V positiva a cui si contrappone una componente prevalente di moneta inattiva M2 (relativa al movente speculativo) che per definizione ha V nullo. Pertanto, da un lato, a fronte di una data offerta aggregata di moneta MS, esogenamente determinata, la velocità di circolazione media si adeguerà alle variazioni nella composizione di al fine di consentire il verificarsi di tutte le transazioni, mentre l’effetto di una variazione di MS potrà essere compensato da una corrispondente