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Il carattere monetario dell’economia capitalistica

1.2 La moneta come mezzo di scambio: il movente transattivo

La teoria monetaria “neoclassica”, formalizzatasi dagli inizi del Novecento, riprende la riflessione sulla moneta sviluppatasi nell’ambito dei precedenti autori “classici” (dalla Fisiocrazia a Ricardo passando per Smith e Say). La natura della moneta è definita in termini di una merce che, spontaneamente selezionata dal mercato, assurge al ruolo di mezzo di scambio e di pagamento in quanto universalmente accettata a pagamento definitivo delle merci vendute (K. Menger, 1892). Diretto corollario dell’originaria definizione di moneta-merce e degli sviluppi teorici successivi di moneta

legale, introdotta nel sistema economico dalle autorità monetarie, è la funzione del sistema bancario concepito esclusivamente in termini di mera intermediazione della moneta tra i soggetti risparmiatori che l’hanno accumulata - datori di fondi - ed i soggetti investitori che la domandano per finanziare i propri progetti d’investimento e di consumo – prenditori di fondi –. Infatti, entrambi i tipi di moneta preesistono all’attività bancaria giustificando la tesi che sia a livello di singola banca sia a livello di intero sistema bancario l’attività di raccolta di moneta debba necessariamente precedere quella di impiego (R. Realfonzo, 1995: 117).

Lo sviluppo del sistema bancario, che svolge esclusivamente un’attività di intermediazione finanziaria, trova la sua giustificazione nelle imperfezioni dei mercati e, più specificamente, di quello del risparmio in cui le banche intervengono quale strumento

tecnico che facilita l’incontro, e realizza l’eguaglianza, tra i risparmi - l’offerta di fondi - e gli investimenti - la domanda di fondi -, intercettando quella parte di risparmi sfuggita al mercato mobiliare e che, raccolta sotto forma di depositi bancari, è da esse trasformata in investimenti mediante la loro attività di impiego coincidente con la concessione di equivalenti finanziamenti alle imprese.4 La tesi sostenuta è che il mercato del risparmio si comporti come un qualsiasi mercato concorrenziale con il prezzo qui costituito dal tasso d’interesse - i - che, perfettamente flessibile, costituisce il meccanismo automatico di aggiustamento verso l’equilibrio tra domanda e offerta di fondi. Ritenendo il tasso d’interesse sotto il controllo diretto della Banca Centrale e definita una sua simmetrica relazione: diretta con l’offerta di fondi (i risparmi) e inversa con la domanda di fondi (gli

4 Interpretiamo qui in senso ampio la categoria dei depositi bancari che, in senso stretto, è circoscritta alla raccolta diretta, mentre qui comprende anche le Attività Finanziarie (titoli) intermediate per conto dei datori di fondi a favore dei prenditori di fondi (quella che è normalmente definita raccolta indiretta nei bilanci delle banche) e che rientra nel ruolo “tecnico” svolto dal sistema bancario in termini di mero intermediario finanziario.

investimenti), la teoria neoclassica non ha difficoltà a sostenere la determinazione, sempre possibile, di un tasso d’interesse in grado di garantire un equilibrio unico e stabile nel mercato del risparmio realizzando la condizione che garantisce l’equilibrio tra domanda ed offerta aggregata:

Equazione 1.1: L’equilibrio macroeconomico

S (i)+ = I (i)-

Equazione di equilibrio derivata dall’equilibrio tra domanda ed offerta aggregata è qui interpretata anche come equazione di comportamento in grado di garantire (almeno nel lungo periodo) l’equilibrio di piena occupazione delle risorse produttive dato l’ordine causale (comportamentale) che condiziona il livello di “I” al livello di “S” (pre-definito dalle decisioni di consumo di cui costituisce la quota di reddito complementare) garantendo la totale destinazione del reddito nazionale alla domanda di merci. 5

La teorizzata precedenza logico-temporale dei risparmi sugli impieghi prescrive, nell’ambito del paradigma neoclassico che rifiuta la teoria classica del fondo salari, che le banche siano in grado di finanziare gli investimenti solo nella misura in cui abbiano precedentemente raccolto i risparmi attraverso i depositi ottenuti dalla propria clientela (R. Realfonzo, 1995:117-119).6 E’ pertanto la decisione di risparmio ed il suo

5 Utilizziamo qui la distinzione tra le tre tipologie di equazioni: le identità, che definiscono la composizione di una grandezza economica, le equazioni di equilibrio, che definiscono la condizione di uguaglianza tra due grandezze economiche, e le equazioni di comportamento, che definiscono le variabili da cui dipende una grandezza economica (Cfr. O. Blanchard, 2005: 67)

6 L’ordine causale RI qui ricordato ha la sua formalizzazione nella Legge degli sbocchi dell’economista classico Jean Baptiste Say (1767-1832) in base alla quale è l’offerta, attraverso la corrispondente distribuzione di redditi sotto forma di profitti e salari, a creare i presupposti per la propria domanda. Per la verità la tesi sostenuta da Say risulta compatibile anche con una teoria endogena della moneta costruita sulla teoria del fondo salari: gli investimenti, intesi come risorse impiegate nel processo produttivo, corrispondono, per il complesso dei capitalisti, al fondo salari anticipato ai lavoratori. Un’anticipazione intesa non rispetto alla prestazione lavorativa (analisi micro) il cui pagamento, ovviamente, avviene posticipatamente con cadenza normalmente settimanale o mensile, ma rispetto al completamento del processo produttivo (analisi macro). Ammettendo, per semplicità, l’intervento del sistema bancario a totale finanziamento degli investimenti, gli impieghi bancari coincidono in tal caso con gli investimenti delle imprese i quali, in quanto fondo salari anticipato ai lavoratori, si trasformano in depositi bancari (salari pagati) andando a costituire il risparmio e invertendo l’ordine causale in IR così come sostenuto dalla teoria endogena della moneta (Cfr. par. 1.5). Il rifiuto da parte dei neoclassici dell’ipotesi di pagamento anticipato dei salari è necessario alla teoria marginalista della distribuzione ed è affiancato, in quanto con essa compatibile, da una teoria della banca come semplice intermediaria. Come si evidenzia chiaramente nel modello di circuito monetario di Wicksell, solo se i risparmiatori-capitalisti riscuotono un interesse monetario di equilibrio, cioè equivalente al tasso d’interesse naturale, il risparmio (e quindi il capitale) è remunerato secondo la produttività marginale degli investimenti, condizione che garantisce che anche il lavoro sia remunerato secondo la sua produttività. Tuttavia non sussistono meccanismi di mercato che garantiscano questa condizione di equilibrio e la correlata validità della teoria marginalista della (equa)

conseguente livello a definire il limite all’espansione degli investimenti realizzabili dalle imprese. L’equilibrio tra le due grandezze, che costituiscono rispettivamente offerta e domanda di somme mutuabili, è garantita dalla loro relazione simmetrica rispetto al tasso d’interesse (diretta per l’offerta e inversa per la domanda) che assorbe attraverso una sua adeguata variazione eventuali squilibri purché si realizzino le ipotesi che sottendono all’efficacia del meccanismo di mercato: condizioni di concorrenza perfetta ed assenza di incertezza.

Moneta e tasso d’interesse assumono, all’interno del paradigma neoclassico, uno specifico ruolo e significato. Il tasso d’interesse costituisce la remunerazione della rinuncia al consumo presente. L’atto del risparmio genera un sacrificio che ha la sua giustificazione razionale nella certezza di un maggior consumo futuro garantito dall’interesse percepito. Un’interpretazione basata sull’assunto che il consumo costituisca il fine ultimo dell’agire economico, nel rispetto dell’utilitarismo benthamiano acquisito dal paradigma neoclassico. Per la moneta, pur nella molteplicità delle sue declinazioni, il paradigma neoclassico conferma la validità della teoria dell’equilibrio economico generale walrasiano: almeno nel lungo periodo l’economia capitalistica, purché operi in condizioni di concorrenza perfetta, è descritta e funziona come un’economia di baratto in cui gli scambi sono intermediati da una “merce” che assume la funzione di intermediario degli scambi per la definizione dei valori di scambio o prezzi relativi di equilibrio mentre la moneta rimane investita della sola funzione di determinazione del livello assoluto dei prezzi di equilibrio pre-determinati in termini relativi dalla merce assunto come numerario dato che:

“La teoria monetaria della scuola neoclassica si prefigge […], come obiettivo immediato, di dimostrare che in un’economia monetaria (a parità di risorse disponibile e di preferenze individuali), quantità prodotte e prezzi relativi sono i medesimi che si sarebbero avuti in un’economia di baratto. […] si dice che la moneta risulta neutrale”. (A. Graziani, 1994: 35-36)

L’economia capitalistica è descritta, di fatto, come un’economia di baratto indiretto in quanto mediato da una moneta-merce, in cui gli agenti economici operano in condizioni

di certezza ed in cui, qualora siano garantite le condizioni di concorrenza perfetta in tutti i mercati, si realizza un’equità distributiva in assenza di conflitti, con la moneta che costituisce un mero espediente tecnico di facilitazione degli scambi rivestendo pertanto

un ruolo neutrale (che nella Teoria dell’equilibrio economico generale diviene addirittura inessenziale, Vds. oltre): la sua presenza determina soltanto i prezzi assoluti senza influenzare i prezzi relativi, cioè sulle ragioni di scambio tra le merci, quindi il livello della produzione, la sua composizione e la sua distribuzione e, conseguentemente, il livello dell’occupazione (R. Realfonzo, 1995: 37). Utilizzando l’efficace definizione di Dennis Holme Robertson e John Maynard Keynes, si tratterebbe di un’economia

cooperativa in quanto caratterizzata da assenza di distinzioni e conflitti di classe, in cui l’azione dei singoli agenti economici è guidata dalla razionalità e la produzione è orientata al consumo secondo un processo lineare che va dalle risorse naturali ai beni di consumo. Ne discende che l’offerta di merci è definita nella sua quantità e qualità dalla relativa domanda grazie alla funzione parametrica dei prezzi ed in forza del principio della sovranità del consumatore che regola, in tal modo, il funzionamento dell’intero sistema economico nel quale la moneta entra esclusivamente per facilitare la fase di circolazione dei fattori produttivi e delle merci.

Tuttavia, il sistema così descritto, data l’assenza di incertezza e la simultaneità degli scambi insita nel modello di equilibrio economico generale formulato da Walras, può operare anche in assenza di moneta che risulta in tal modo non solo neutrale ma, finanche,

inessenziale. Tale inessenzialità è rafforzata dal principio, insito nella definizione neoclassica dell’equilibrio e noto come “Legge degli sbocchi”, che l’offerta crea la propria domanda. Basato sull’idea che chiunque venga in possesso di moneta attraverso la vendita di merci debba poi necessariamente spenderla, direttamente o indirettamente (attraverso il risparmio che finanzia gli investimenti) per l’acquisto di altre merci, ciò significa che la capacità di produrre merci è sufficiente a determinare, attraverso la loro vendita, un’equivalente capacità di acquisto. Il fatto di avere temporaneamente la disponibilità di un ammontare di moneta, equivalente al valore delle merci vendute, è del tutto irrilevante. Esso costituisce esclusivamente un espediente “tecnico” essendo il baratto realizzato tra beni venduti e beni acquistati la vera sostanza degli scambi (A. Graziani, 1993: 510). A questo punto la presenza della moneta nel sistema reale descritto nella “Teoria dell’equilibrio economico generale” di Walras, trova la sua unica giustificazione nel postulato di asincronia tra i tempi d’incasso e di pagamento definiti tra gli agenti economici.7

7 Tuttavia l’asincronia costituisce una condizione insufficiente a giustificare la presenza della moneta in quanto può essere superata, in un’economia capitalistica così descritta, ad esempio, instaurando rapporti di debito e credito tra i soggetti economici.

La sostenuta neutralità della moneta comporta che essa, a differenza delle merci prodotte e scambiate, non possa avere un’utilità diretta (anche nella sua forma di moneta-merce) nel suo utilizzo come mezzo di scambio, cioè di strumento per l’acquisizione di (altre) merci. Essa può avere, come mezzo di scambio, solo un’utilità indiretta quantificata dal suo potere d’acquisto, vale a dire dall’utilità fornita dalle merci con cui essa può scambiarsi:

“[…] la moneta non ha altra utilità che quella derivante dalla possibilità di ottenere in cambio altri beni economici. È impossibile concepire una qualche funzione della moneta, qua moneta, che possa essere separata dalla realtà del suo valore di scambio oggettivo. […] nel caso della moneta è essenziale l’esistenza di un valore di scambio perché essa possa avere un valore d’uso” (L. [von] Mises, [1912] 1999: 57)

La definizione di moneta in termini di moneta-merce, come sopra ricordato, consente all’approccio neoclassico la definizione di una tesi ulteriore: in quanto merce (oro) la moneta è disponibile in una quantità data e determinata dalla quantità di oro disponibile, ciò le attribuisce una natura esogena rispetto al modello di equilibrio ed in particolare rispetto alle grandezze cosiddette reali rappresentate dalle quantità di merci prodotte e scambiate e dai corrispondenti prezzi relativi di equilibrio, sulle quali non ha influenza. Ciò perché si esclude che l’attività del sistema bancario possa creare e distruggere moneta, una capacità che è nelle prerogative delle banche centrali in quanto e nella misura in cui esse siano detentrici di adeguate e corrispondenti riserve auree (formalmente almeno fino a quando è stata mantenuta la convertibilità diretta o indiretta con l’oro).

È la teoria quantitativa della moneta che trova la sua sintesi nella nota equazione

degli scambi, formulata da Irving Fisher per la prima volta nel 19118ma che, nell’ambito del paradigma neoclassico, non si configura come una teoria generale di un’economia monetaria in quanto:

“i prezzi (compreso i saggi di reddito) rimanevano soprattutto ragioni di scambio, che la moneta riduceva a cifre assolute senza toccarli […]. O, in altre parole, il modello del processo economico era in tutti gli elementi essenzialmente un modello basato sul baratto, che inflazioni e deflazioni potevano disturbare nel suo funzionamento, ma che in sé era logicamente completo e autonomo.” (J. Schumpeter, [1954] 1990, Vol. III: 1333).

La teoria monetaria neoclassica si prefigge pertanto di dimostrare come in un’economia monetaria, definita tale solo in quanto utilizza moneta nel suo ruolo di

valore di scambio, le quantità delle merci scambiate e i loro prezzi relativi siano gli stessi realizzati o realizzabili in un’economia di baratto in cui a regolare lo scambio è il valore d’uso delle merci, cioè la capacità delle merci di soddisfare i bisogni dei soggetti economici che per i neoclassici, come già ricordato, costituisce il fine ultimo del processo economico anche per il sistema capitalistico. Ciò si traduce nella tesi sulla neutralità della moneta: in un mercato perfetto la moneta è solo un velo che nasconde ma non modifica l’equilibrio del baratto (A. Graziani, 1994: 36).9

Ne discende la rilevanza per la teoria e la politica monetaria di garantire la stabilità dei prezzi monetari in quanto necessaria a garantire la neutralità della moneta. Processi inflattivi o deflattivi, infatti, sarebbero irrilevanti solo in presenza di variazione proporzionale di tutti i prezzi monetari ma nella realtà essi reagiscono in misura e con velocità diverse modificando i prezzi relativi di equilibrio e, conseguentemente, la distribuzione della ricchezza che per i neoclassici è rigidamente ancorata alla produttività dei fattori. È pertanto necessario che la quantità di moneta in circolazione sia stabile o vari in proporzione alla quantità di beni scambiati perché sia garantito un livello stabile dei prezzi così come recita l’equazione degli scambi:

Equazione 1.2: L’equazione degli scambi

MV = PT

con:

V = velocità di circolazione della moneta è ritenuta costante in quanto determinata esclusivamente da fattori istituzionali, quali lo sviluppo del sistema dei pagamenti, la frequenza dei regolamenti monetari, non suscettibili di cambiamenti nel breve periodo data anche l’ipotesi di assenza d’incertezza;

T = volume delle transazioni effettuate nel periodo di riferimento (anno civile) in termini reali, fissato al livello di piena occupazione sulla base dei prezzi relativi definiti dall’equilibrio (di baratto) walrasiano e che ha per oggetto beni finali e intermedi, servizi e titoli di credito;

P = livello assoluto dei prezzi così come definito dallo stock di moneta in circolazione M = stock di moneta posta in circolazione e controllata dalla Banca Centrale.

L’equazione costituisce di per sé un’identità tra i flussi monetari che passano da un soggetto economico all’altro e i flussi di merci che si muovono in senso opposto. Acquista

9 Tuttavia, riprendendo l’acuta ironia di Schumpeter: “se si ammette che la moneta possa perturbare, allora sorge il problema di indicare in che modo la moneta dovrebbe comportarsi allo scopo di lasciare indenni i processi reali del modello basato sul baratto. Wicksell fu il primo a vedere chiaramente il problema e a coniare il concetto appropriato di ‘moneta neutrale’. […] Ma suggerisce anche il riconoscimento del fatto che la moneta non è necessariamente neutrale. Così la sua creazione determinò la caccia alle condizioni in cui la moneta è neutrale. E questo alla fine condusse alla scoperta che tali condizioni non si possono formulare, vale a dire che non esiste una cosa come la moneta neutrale o la moneta che è un semplice velo […]. (J. Schumpeter, [1954] 1990, vol. III: 1334).

valenza di equazione di comportamento nel momento in cui sono poste le seguenti ipotesi fondamentali: l’indipendenza di V e T dall’ammontare di moneta messa in circolazione -

M - e la stretta dipendenza di quest’ultima dalle decisioni dell’autorità monetaria (A. Roncaglia, 2001: 377). Ne consegue la definizione di una relazione diretta tra M e P per cui la stabilità dei prezzi è garantita dalla stabilità di M o dalla sua variazione proporzionale rispetto a T quale esito dell’azione e del controllo esogeno, cioè autonomo, esercitato dall’autorità monetaria. Il livello generale dei prezzi risulta così necessariamente proporzionale alla quantità di moneta (aggregata) posta in circolazione dalla Banca Centrale e dal sistema bancario e controllato rigidamente ed efficacemente dalla prima. Le conclusioni sono, quindi, che il valore della moneta, definito in termini di potere d’acquisto come reciproco dei prezzi, coerentemente con la funzione riconosciutale, dipende dalla quantità di moneta nominale posta in circolazione, da cui la sua denominazione di teoria quantitativa della moneta (TQM). Tuttavia, come per ogni teoria, la tesi sostenuta ha una stretta dipendenza dalle ipotesi poste che, nello specifico, sono quelle di: i) esogeneità delle condizioni che determinano la quantità di moneta posta in circolazione rispetto alle grandezze reali definite dall’equilibrio (di natura walrasiana) del sistema; ii) livello costante di V, ritenuta una costante tecnica di sistema, e di T, fissata all’equilibrio di pieno impiego dei fattori produttivi; iii) variazione proporzionale delle scorte liquide di tutti i soggetti al variare di M, necessaria per garantire una variazione direttamente proporzionale del livello dei prezzi (R. Realfonzo, 1995: 33). Solo così la politica monetaria posta in atto dalla Banca Centrale è in grado di determinare e controllare il livello generale dei prezzi - PE- e il tasso d’inflazione sulla base della relazione diretta definita dalla TQM che lega la quantità di moneta in circolazione al livello dei prezzi nominali.

Ciò ha la sua rappresentazione geometrica nella Figura 1.1 in cui l’efficacia della politica monetaria è quantificata nella traslazione di : a) verso destra in seguito ad una politica monetaria espansiva che, sulla base della relazione diretta definita dalla TQM, determina un aumento di PE con conseguente riduzione del prezzo della moneta; b) verso sinistra in seguito ad una politica monetaria restrittiva che determina una contrazione di

PE con conseguente aumento del prezzo della moneta (corrispondente al suo potere d’acquisto). Risultano in tal modo confermate, da un lato la neutralità della moneta, incorporata nella natura esogena (e costante) di , V e T; dall’altro lato l’efficacia della politica monetaria rispetto all’unico fine riconosciutole universalmente di tutela della stabilità dei prezzi, condizione necessaria affinché i prezzi monetari possano svolgere la

+

+

loro funzione parametrica nei confronti delle decisioni dei soggetti economici a garanzia del funzionamento equilibratore del meccanismo di mercato (in grado in tal modo di far convergere il sistema economico verso la piena occupazione).

Figura 1.1: Il mercato della moneta secondo la TQM

Da cui la sua funzione (inversa):

costituita dalla base monetaria esogenamente dalla Banca Centrale e dalla moneta bancaria esogenamente dalla Banca Centrale .

Data la C.E.:

con in quanto fissato al livello di piena occupazione e in quanto determinato da elementi istituzionali ritenuti modificabili solo nel L/P

Abbiamo già accennato a come la tesi dell’esogeneità della moneta circoscriva rigidamente anche il ruolo delle banche, la cui presenza non modifica la definizione e relativa rappresentazione geometrica dell’equilibrio del mercato della moneta. La

quantità di moneta in circolazione è determinata e controllata, come già specificato, dalla Banca Centrale in funzione del tasso d’inflazione perseguito, suo (unico) obiettivo di lungo periodo.10 Il controllo è sia diretto sulla base monetaria da essa messa in circolazione, sia indiretto sull’offerta aggregata di moneta, risultato dell’azione d’intermediazione delle banche, influendo attraverso il controllo del tasso di sconto e dell’aliquota delle riserve obbligatorie, sulla dimensione del moltiplicatore monetario. La capacità di controllo della Banca Centrale sull’offerta di moneta presuppone che l’attività di impiego del sistema bancario costituisca una mera attività di intermediazione dei fondi mutuabili trasferiti dai soggetti che offrono risparmio sotto forma di depositi bancari ai soggetti che domandano risparmio sotto forma di prestiti bancari. La tesi sostenuta dai