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La voce degli altri: esaltata o soffocata?

2. SCRIVERE NELLA MIGRAZIONE

2.1 Quando la migrazione si intreccia con l’esperienza di scrittura

2.1.2 La voce degli altri: esaltata o soffocata?

Nonostante quanto espresso nel paragrafo precedente, in alcuni casi emergono il limite e il pregiudizio del nativo di non credere che l’immigrato sia in grado di padroneggiare la lingua del paese d’arrivo; da ciò il bisogno di farlo affiancare da un coautore madrelingua, che ha il compito di limare le problematiche linguistiche dello straniero e di guidarlo nell’uso delle forme più adeguate.

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Per il concetto di subalterno e per una riflessione sulla sua possibilità o meno di prendere voce e dunque di essere ascoltato, si rimanda al noto saggio Can the Subaltern Speak? (Spivak 1988, 271- 313).

In tal caso l’attività di collaborazione si traduce anche in una strategia di marketing, laddove il nome dell’autore migrante sembra non sufficiente per attirare la curiosità dei lettori e per stimolare la lettura della sua opera, e dunque la presenza in copertina del nome di una persona nota che faccia parte della cultura dominante diventa una garanzia del valore del libro (Burns, Polezzi 2003b, 13-21: 21). Ma la partecipazione del coautore può essere interpretata anche come un atteggiamento di ospitalità, in quanto attraverso di lui si invita «sia l’autore che il lettore a un dialogo con “l’altro”. […] I curatori fungono da interpreti o mediatori» (Burns 2003, 203-212: 204-205), mirando non alla sopraffazione della voce del migrante quanto a «facilitare e assistere la crescita del testo stesso, fornire l’impeto ed il supporto alla trasformazione dei pensieri dell’autore in testo» (Burns 2003, 203-212: 205), e quindi in un certo senso ad esaltare la voce

altra.

Così accade, ad esempio, che nomi di suono “estraneo” al contesto spagnolo si affiancano a nomi locali, richiamando un rapporto collaborativo tra immigrati e nativi, come avviene tra Mohamed El Gheryb e Pascual Moreno Torregrosa (1994), Lyes Belkacemi e Francesc Miralles (2005), Kaouthar Haik e Virtu Morón (2006). Storie che nascono da momenti di incontro, di ascolto e di confronto, in un atteggiamento di apertura e di condivisione, che tuttavia a volte possono degenerare in separazione e rottura, come succede ad esempio in ambito italiano a Nassera Chohra ed Alessandra Atti Di Sarro (1993), e a Salah Methnani e Mario Fortunato (2006).

Spesso questo accade quando la voce del nativo prevalica quella dell’immigrato, che viene relegata a una posizione subalterna, dando vita a ciò che Daniela Flesler chiama ethnographic performance (2008c, 163-194: 163).

Storie dove la narrazione orale dell’immigrato viene assorbita e registrata dall’orecchio dell’autoctono, per darle poi vita nella pagina scritta. Racconto orale in prima persona che si trasforma in racconto scritto, testimonianze che si fissano sulla pagina bianca e che emanano una grande efficacia performativa, rispecchiando la categoria del testimonio, vero e proprio genere letterario nel mondo sudamericano. Esempio di testimonio è senza dubbio Me llamo Rigoberta

analfabeta del Guatemala, ha raccontato in prima persona una storia orale in spagnolo (che non è la sua lingua madre) a un’intellettuale spagnola, Elizabeth Burgos, che l’ha messa per iscritto.32

A tale aspetto se ne affianca uno simile, generato dalla redazione di prefazioni o prologhi ai testi da parte di intellettuali europei, che hanno il compito di garantire il valore e il prestigio dell’opera pubblicata, mettendo in alcuni casi in risalto una sorta di etnocentrismo e paternalismo, in altri forme di benevolenza, solidarietà e propensione all’incontro (Lavou Zoungbo 2010, 126-127), generando «un locus di negoziato interculturale» (Burns 2003, 203-212: 205).33

In realtà, dal momento in cui iniziano a scrivere, gli immigrati dimostrano di essere dei “vincitori”, dimostrano di aver conquistato una nuova lingua e un nuovo spazio, non solo “territoriale”, ma anche culturale.

Infatti, come affermano Marie Orton e Graziella Parati,

often accused of being removed from the tangible problems of life, literature is a space that allows experimentation in the creation of new identities, allows irreverence toward proscriptive roles, and modifies the marginal position occupied by migrants in the social sphere. Literature, in fact, allows a self-constructed visibility, a writing of the self into public existence. (2007b, 11-27: 13)

Tuttavia gli scrittori migranti incontrano difficoltà – almeno in alcune società d’arrivo – per “spiccare il volo” e in tal senso sembra molto efficace l’immagine

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Sul rapporto di collaborazione fra gli autori si veda almeno: Taddeo (1999, 19-28: 21-23); Burns (2003, 203-212: 204-205); il paragrafo 1.2, Dal giornalismo all’editoria: la costruzione di nuovi

soggetti di discorso, e il paragrafo 3.1, Questioni di autori(ali)tà, in Mengozzi (2013b-c, 18-26 e

109-114). Sul concetto di testimonio si rimanda ad Ashcroft, B., Griffiths, G., Tiffin, H. (2000g, 230-231); Purpura (2007, 461-474: 466-474). Per il rapporto specifico di collaborazione fra Mohamed El Gheryb e Pascual Moreno Torregrosa, Lyes Belkacemi e Francesc Miralles, Kaoutar Haik e Virtu Morón si rinvia alla sintesi delineata in appendice. Per un maggior approfondimento sul vincolo cooperativo fra Mohamed El Gheryb e Pascual Moreno Torregrosa si vedano Flesler (2008c, 163-194: 164-168) e le considerazioni, nella sua tesi di dottorato, di Akaloo (2012, 245- 247); per un quadro più esauriente su Lyes Belkacemi e Francesc Miralles, Kaoutar Haik e Virtu Morón, si rimanda al paragrafo della tesi di dottorato di Sara Chiodaroli, dedicato a Testimonianze

reali e ricostruzione: il ruolo del mediatore occidentale nei racconti dei migranti: La niña de la

calle, Amazic. L’odissea d’un algerià a Barcelona, in Chiodaroli (2010-2011b, 232-241).

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Per una riflessione sulle prefazioni allografe alle opere provenienti da culture altre e proposte anche in traduzione, si veda Elefante (2012, 32-38, in particolare 32-34).

creata da Julio Monteiro Martins, paragonandoli a dei pappagalli migranti che troppo spesso rischiano di incappare nelle mani dei cacciatori:

Se il pappagallo fosse un uccello migratore, avremmo una specie originale, che in inverno racconterebbe a viva voce a quelli del Sud la vita che si vive a Nord, e in estate ritornerebbe al Nord per raccontare cosa fanno (o non fanno e dovrebbero fare) quelli che vivono sotto il sole tropicale. Alcuni scrittori, in verità, stanno facendo esattamente questo: a meno che i cacciatori non gli sparano addosso in pieno volo. (1998, 19)34

Interessante anche l’immagine costruita da Raffaele Taddeo con lo stesso scopo di Monteiro Martins, ovvero quello di esprimere la difficoltà degli scrittori migranti di salire in superficie, di ricevere l’attenzione dei lettori e di essere “inglobati” all’interno della letteratura nazionale, parlando di vu’ cumprà della

letteratura:35

Essi, scrivono, lavorano sodo con questi scritti per offrire la merce facendo chilometri e chilometri di percorsi ideali, senza trovare alcuno che presti loro attenzione. Sono più sfortunati dei vu’ cumprà delle nostre spiagge, perché questi riescono a fine giornata, forse, a mettere nella pancia qualche manciata di riso, gli altri difficilmente riusciranno a captare l’attenzione degli addetti alla produzione e manipolazione delle idee. (Taddeo 1999, 24)

Questo passo mette dunque in primo piano la somiglianza che si instaura tra fenomeno sociale e fenomeno letterario, laddove al contesto di marginalità in cui spesso vive il migrante nella società d’arrivo corrisponde talvolta il senso di

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La comparazione scrittore/uccello si trova anche in Breyten Breytenbach che, in Ritorno in

Paradiso. Un diario africano (1994, 275), paragona la lingua usata dallo scrittore, a seconda del

paese in cui si trova, al canto di un uccello: «Lo scrittore vola attraverso il linguaggio, ampio e unico come le sue ali. Come gli uccelli canta in francese quando è in Francia, in afrikaans quando è in Africa, in inglese a Londra e così via».

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Veri vu’ cumprà della letteratura possono essere considerati coloro che – appartenenti alla Cooperativa Edizioni dell’Arco (Milano) – vendono per strada libri scritti da migranti, dando vita

isolamento delle opere prodotte dagli scrittori migranti, ritenute testi periferici (Burns, Polezzi 2003b, 13-21: 15), oppure etnico-esotici (Gnisci 2003, 11).

Sonia Sabelli riconosce come

la valorizzazione di queste opere contribuirebbe invece al rinnovamento del canone letterario […], nella direzione di una maggiore apertura verso i processi di internazionalizzazione e di scambio culturale che caratterizzano la realtà contemporanea. (2007, 171-179: 179)

Graziella Parati osserva infatti che si tratta di una «invitation to develop a new approach to literary texts that elude canonical definitions or categories also reveals the need to redefine literary models as well as the concept of marginal literature itself» (1999b, 13-42: 18).

Significativo dunque il duplice approccio dello scrittore migrante nei confronti della sfera letteraria, come afferma Sonia Sabelli in riferimento all’ambito italiano:

Gli autori migranti che scrivono in lingua italiana esprimono spesso due istanze apparentemente contraddittorie: la rivendicazione della propria alterità e differenza, in cui risiede il potenziale innovativo delle loro opere, si accompagna sempre all’aspirazione inversa ad essere considerati alla stessa altezza degli scrittori “stanziali”. Si tratta di un duplice movimento, teso in entrambi i casi al riconoscimento della loro capacità di azione consapevole e di trasformazione della nostra lingua e della nostra storia letteraria, nonostante la loro estraneità rispetto al canone dominante. (2007, 171-179: 177)

Le loro pagine, influenzate da modelli tematici e stilistici della cultura d’origine, offrono un’ottica diversa e originale, apportano innovazioni, rinnovano e arricchiscono il canone letterario, e devono essere lette in una prospettiva diversa rispetto a quella tradizionale occidentale (Albertazzi 2004, 58).

gli scrittori della migrazione appartengono comunque a più mondi fatti di specifiche immagini e metafore, stili e retoriche, sguardi e sensazioni, ossia possiedono in senso lato altri linguaggi e altre forme dell’esprimersi, del raccontare, del descrivere, dell’inventare e dell’immaginare. (2010, 119-159: 134)

Dunque, arricchimento non solo sul piano del contenuto ma anche sul piano linguistico, in quanto si produce «a positive contamination of the major language itself, as it is modified by other linguistic and cultural influences» (Parati 1999b, 13-42: 18), come succede per i testi postcoloniali, esempi di ibridismo linguistico, di contaminazioni, di mescolanze di codici e tradizioni (Tchernichova 2010, 204).

Ecco perché, come evidenzia Regina Schwojer,

il valore della letteratura della migrazione si deve determinare nello stesso modo in cui si determina la qualità letteraria in generale. Da una parte, si deve far attenzione all’aspetto estetico, la forma e l’uso della lingua; dall’altra parte si deve considerare quanto è serio e profondo il contenuto. (2011, 2)

Questo perché, come riconoscono Marie Orton e Graziella Parati, «the category of aesthetics is only one theoretical device through which one can approach literature. Immigrant writings demand a different and complex interdisciplinary approach» (2007b, 11-27: 12).