• Non ci sono risultati.

2. SCRIVERE NELLA MIGRAZIONE

2.1 Quando la migrazione si intreccia con l’esperienza di scrittura

2.1.4 La vita che si fa scrittura

Di cosa trattano le opere degli scrittori migranti, così “particolari”, ricche di spunti di riflessione, di intersezioni linguistiche e stilistiche, di immagini, scenari e suggestioni?

Spesso, come qualsiasi altro testo letterario, queste opere offrono «una visione aerea della realtà», accendono i riflettori sul mondo (Turnaturi 2003, 20 e 39):

La letteratura dunque illumina, mette a fuoco e, in questo senso, scopre quanto nel grande formicaio dell’umanità va accadendo e, con un operare che ricorda quello dell’archeologo che riporta alla luce tesori nascosti, o dell’entomologo che osserva il suo oggetto nei più piccoli dettagli, fa emergere pezzi di mondi, storie altrimenti confuse nell’accadere e nel rumore del quotidiano. (Turnaturi 2003, 41)

Sono opere che rifletteno e interrogano il reale, che «ci interessa in quanto oggetto della nostra esperienza» (Serkowska 2011, IX-XLV: XII), che racchiudono innumerevoli approcci e tematiche, lasciando spesso filtrare anche la descrizione di realtà diverse dalle nostre, realtà che gli autori migranti riescono a

dipingere in modo perfetto, costituendo parte integrante della loro identità, come spiega in modo efficace Donato Ndongo:

Nosotros, sin embargo, estamos en España, y somos africanos, y conocemos los dos mundos, y creo que es bueno que se deje de ningunearnos. Conocemos África por ciencias, por vivencias y por sentimientos. África no es para nosotros una dedicación académica, profesional, que se aparca al terminar la jornada laboral. África no es para nosotros un libro que se lee, una conversación que se escucha y una curiosidad que se satisface. África constituye nuestra vida. (2007a, 133- 138: 133-134)

Da ciò si percepisce come queste pagine – indipendentemente dall’argomento trattato – narrano la vita, riproducono tracce, tradizioni, momenti, paesaggi che sono stati e sono radicati nell’autore. Non a caso, forse, il tema della famiglia – centrale in molti testi, tanto da essere uno dei filoni scelti per analizzare le opere del corpus di questo lavoro – testimonia come queste narrazioni assorbono quel nucleo che è alla base della vita di un individuo, che rappresenta le sue radici, che dà un senso alla propria storia. Allo stesso modo, il fatto che da queste pagine emergano spesso il tema della definizione della propria identità, i riferimenti alla terra d’origine dello scrittore migrante, i richiami al senso di nostalgia – come si è visto nel primo capitolo – e le rappresentazioni del territorio d’arrivo – altro filone selezionato per studiare le opere del corpus – dimostra come la vita, in modo più o meno fittizio, entra nella letteratura.

Quelle che però vengono considerate delle opere di taglio autobiografico, in realtà spesso hanno la capacità di sprigionare anche elementi significativi della dimensione culturale di provenienza, cosicché la storia personale diviene utile per narrare una visione più ampia, un’unica storia.

Il tutto rafforzato anche da operazioni editoriali, che spesso incitano gli autori a narrarsi come se la loro “diversità” debba essere spiegata, raccontata, esplicitata; una diversità che inoltre può incentivare la curiosità dei lettori, come evidenzia ad esempio Laila Karrouch nel suo secondo romanzo autobiografico Petjades de

Nador (2013), richiamando la pubblicazione del suo primo romanzo

autobiografico, De Nador a Vic (2004):

Dos anyes enrere, havia començat a fer visites als centres para explicar la història de la meva vida com a immigrant. La meva aventura va despertar molta curiositat. Una editorial important em va publicar les memòries i un presentador conegut de televisió em va entrevistar. (2013, 38)

Allo stesso modo, la necessità di narrarsi può nascere anche da un desiderio personale dell’autore migrante stesso, mosso dal bisogno di affermare la propria identità e di fissarla nella pagina scritta, soprattutto quando non viene riconosciuto come individuo e quando si tende a silenziare la sua voce.

È per questo che, come spiegano alcuni studiosi, «le produzioni letterarie […] riflettono lo spaesamento, l’ibridità, la revisione storica e la creolizzazione linguistica che caratterizzano il farsi dell’identità diasporica» (Albertazzi 2013, 129), narrano la vita anche quando tendono a svincolarsi «dalla pura e semplice biografia, per esplorare altri generi e stili letterari» intrecciando «allo stesso tempo elementi autobiografici e finzione, incursioni dell’oralità, molteplicità di voci e punti di vista» (Brunet 2008-2009, 22-32: 27), dal momento in cui «la letteratura è dominio di immaginazione, di fantasia, di invenzione, anche quando essa cerca di darsi quale espressione della vita, o vita stessa tout court» (Serkowska 2011, IX- XLV: XVII).

Così Tahar Lamri, scrittore di origine algerina arrivato in Italia nel 1987, che si definisce “pellegrino della voce”, scrive:

No, lo scrittore immigrato non è un esibizionista compiaciuto che non sa parlare d’altro che di sé: l’“autonarrazione” è il riflesso di un’espressione interiore aperta al dialogo, al confronto, una continua ricerca della verità, lungi dai “vasti palazzi della memoria” e rivolta al sempre mutevole presente, incalzante e imperativa. (2006b, 166-171: 170)

nelle pieghe di qualsiasi scrittura […] è sempre presente il volto di chi scrive. […] È sempre l’autos di una vita, di un bios, a farsi graphé, incidendosi su carta, anche laddove sembra che l’oggettività della scrittura voglia far sparire l’oggettività dello scrivente (2013, 299-313: 299),

e anche se, come ritiene Donata Meneghelli, spesso i testi della scrittura migrante appartengono alla galassia della testimonianza (2011, 57-80: 65), «la scrittura non è mai solo testimonianza ma un luogo di transito, di manipolazione e reinvenzione del sé» (2011, 57-80: 76). Si tratta di essere portatori di esperienze che vengono tradotte «in generi, forme, stilemi, topoi» (Cometa 2010, 99), così come afferma anche Ugo Fracassa:

i più consapevoli tra questi scrittori abbandonano le forme della testimonianza, in versi e prosa, del viaggio e dell’integrazione, felice o meno, per dar mano ad opere che naturalmente confluiscono nel

mainstream della produzione autoctona. Non più la biografia romanzata,

perciò, la tranche de vie più o meno dolorosa o traumatica, i toni di denuncia da docu-fiction, quanto piuttosto le forme maggiormente in voga del reportage, del noir metropolitano o del racconto per bambini; i modi dell’ironia e dell’umorismo, del grottesco, della suspense. (2010, 181)37

La scrittrice migrante Jarmila Očkayová, slovacca arrivata in Italia nel 1974, evidenzia che:

Il migrante può anche scrivere racconti o romanzi di pura fantasia ma comunque particolarmente incisivi sulla nostra percezione della realtà, non per l’appunto in quanto testimonianze di fatti e contingenze ma perché nella sua scrittura può confluire l’intensità di ciò che ha vissuto.

37

Il saggio da cui è tratta la citazione è stato riprodotto – ampliato e con qualche variazione – nel volume di Fracassa (2012b, pp. 65-151). Nell’ambito della produzione letteraria degli africani in Spagna, i testi in prosa sono riconducibili per lo più al genere autobiografico o della biografia romanzata.

L’intensità di chi ha attraversato confini e ponti, reali e metaforici, e quindi ha sperimentato l’abbandono e la perdita per eccellenza, guadagnando a caro prezzo la consapevolezza di ciò che si lascia, e poi ciò che si ricostruisce ricominciando daccapo. (2009, 33)

Silvia Camilotti in modo simile spiega che

sebbene il vissuto di persone che hanno esperito la migrazione segni l’espressione artistica, ciò non significa che tali autori ed autrici debbano necessariamente parlare solo di quello ed essere considerati solo in virtù di tale vissuto. (2008b, 7-17: 12)

Franca Sinopoli, riferendosi alla scrittura della migrazione in Italia, parla di vere e proprie poetiche della migrazione, concetto che può essere esteso anche al di là del territorio italiano:

Questi testi potrebbero cioè essere letti non solo in quanto testi letterari sulla migrazione, ma come poetiche in forma di finzione letteraria, con le quali viene data voce e forma ad un modello di esperienza e ad una ideologia che vanno al di là del tema dell’emigrazione e del viaggio in Italia. Di qui, forse, anche la possibilità di intendere in una nuova luce il rifiuto espresso da alcuni di questi autori di continuare ad essere vincolati al tema della emigrazione o meglio dell’immigrazione nel nostro paese. (2001, 193)

Sabrina Brancato, in riferimento alle letterature afroeuropee, precisa:

In Afroeuropean literatures the migrant does not exist, or appears very briefly as migrant. In the first place, only few of the narratives produced are de facto migratory narratives. Those that are (those that explicitly describe a migratory experience) show that the sense of belonging is immediate (in some cases it starts even prior to physical displacement) and always manifold. These narratives often place Europe and Africa face

to face through a pocess of continuous comparison between the country of origin and the host country. (2011b, 1-15: 8)38

Oggi dunque la scrittura della migrazione diviene sempre più eleborata, intrecciando realtà e fiction, dando vita a generi letterari ibridi, diversificando e articolando il “semplice” resoconto di quanto accaduto (Contarini 2011, 369-380: 372). Si può parlare di autofinzione, da intendere come spazio «nel quale la produzione di un io che si colloca nell’interregno tra esperienza vissuta dall’autore e sua estensione finzionale, dà luogo all’intreccio di vita e letteratura, esperienza e immaginazione» (Benvenuti 2012, 70).

È bene quindi non sottovalutare l’apporto degli scrittori migranti e delle loro creazioni letterarie, che contengono spunti per aprirsi all’altro, per scoprire curiosità e particolarità, per ampliare le proprie conoscenze, per creare relazioni e sviluppare riflessioni:

En todas las épocas, la escritura del individuo migrante ha sido el lugar de expresión y de observación de los encuentros y desencuentros culturales de los grupos humanos, y ha dado lugar a un amplio abanico de géneros y subgéneros, que van desde las autobiografías (diarios, memorias, etc.) hasta obras de carácter ficcional (novelas y cuentos), al teatro y la poesía. Lo mismo puede decirse de la producción de las generaciones posteriores a la migrante: los “hijos” y “nietos” han amplificado e interiorizado los conflictos derivados de su doble identidad cultural, revelando dinámicas que han dado lugar a determinadas tipologías textuales y tradiciones literarias específicas basadas en la hibridación cultural.39

38

Ne è esempio Amina, opera del corpus che si discosta dal tema prettamente migratorio, e che propone tramite i due personaggi centrali la distinzione tra la mentalità europea e la mentalità africana, riflettendo in modo implicito quelle diversità culturali che l’autore Sidi Seck ha riscontrato anche grazie alla/e sua/e esperienza/e di migrazione.

39

Il passo è tratto dalla presentazione del Coloquio Internacional Lejos es aquí tenutosi a Cáceres (España) il 22-23-24 novembre 2012,

https://sites.google.com/site/escrituraymigraciones2012/programa-del-coloquio (ultima consultazione dicembre 2013).