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CAPITOLO 3 LA SCIENZA DI SÉ

3. Lavorare con lentezza

Sono le sette del mattino ma la temperatura è già particolarmente rovente sullo scavo. Siamo a luglio e le previsioni parlavano della settimana più calda dell’anno. Da pochi giorni la nostra squadra, composta da sei persone, sta lavorando in una trincea di scavo piuttosto profonda e stretta. Ai lati della buca sono state posizionate delle palanche di contenimento sorrette da una poderosa impalcatura in acciaio che ci costringe a lavorare rigorosamente muniti di caschetto protettivo, con il capo chinato e con una generale difficoltà di movimento.

Come ogni mattina, a inizio lavori, la nostra responsabile di settore convoca tutta la squadra e spiega l’ordine delle attività che dovranno essere svolte che a sua volta ha appreso dal direttore40.

L’obbiettivo è scavare una sezione della buca facendo attenzione a rispettare la stratigrafia. Laura ci mostra la direzione di scavo da adottare e assegna a ciascuno una mansione spiegando che a Claudio e a me spetta il compito più importante, cioè quello di mantenere costante il flusso dei secchi di terra che Claudio deve spicconare e io devo gettare nei secchi così da agganciarli alla carrucola azionata da un altro studente. Una volta giunti fuori dalla buca, il contenuto dei secchi deve essere setacciato da altre due studentesse, cioè queste devono controllare che la terra da gettare non contenga nessun tipo di reperto.

Passano i minuti, la temperatura sale, l’aria nella trincea si fa rovente e nonostante Claudio ed io alterniamo continuamente momenti di riposo a momenti di attività, le nostre magliette sono completamente zuppe di sudore così come le bandane che abbiamo messo sotto l’elmetto per

40 I responsabili di settore sono generalmente coordinati dal direttore di scavo. Scrive Maura Medri: “Quanto più lo

scavatore riesce a ridurre il divario inevitabile tra l’oggettività della stratificazione e le proprie scelte soggettive, tanto più è abile. Con il tempo e l’accumulo delle esperienze, questa diviene una sapienza tecnica quasi scontata: distinguere è per lo scavatore una seconda natura. Nei grandi cantieri di scavo, la struttura organizzativa è spesso fortemente gerarchizzata. Vi sono vari responsabili, che ricoprono un ruolo preciso per incarico del direttore di scavo. Da uno scavatore esperto ci si aspetta che sappia eseguire in maniera impeccabile tutto il procedimento dello scavo, compreso quanto necessario per la registrazione delle evidenze. A riguardo, inoltre, deve avere autonomia nel valutare il livello minimo e massimo della documentazione necessaria, tenendo conto della rilevanza stratigrafica analizzata e dell’ottimizzazione dei tempi del lavoro. È richiesto, inoltre, che lo scavatore esperto sappia organizzare il lavoro proprio in rapporto a quello degli altri e che collabori attivamente a una gestione ordinata del cantiere di scavo. […] Una volta avvita la macchina dello scavo, il direttore ha come compito unico quello di vegliare sul suo corretto funzionamento. Il modo in cui questo avviene varia molto a seconda della personalità e del carattere di ciascun direttore, e a seconda del carico di lavoro cui questi è sottoposto (può darsi il caso di un direttore che segua più progetti contemporaneamente). Alcuni presenziano allo scavo ogni giorno, seguendone passo passo lo svolgimento, talvolta lavorando essi stessi a fianco degli scavatori e facendo docenza. Altri compiono solo visite periodiche, durante le quali si aggiornano sui progressi fatti e decidono con i responsabili di settore come proseguire. Qualunque sia il modo di gestire lo scavo, però, al direttore soltanto spetta decidere le strategie, impostare e far rispettare i tempi di lavoro, approvare la qualità e la congruità della documentazione, e queste sono responsabilità di cui egli risponde in prima persona.” (Medri, 2002, pp. 268-269).

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proteggere il collo dai raggi solari. L’operazione non offre particolari situazioni inedite e la cosa ci spinge ad escogitare dei sistemi per eludere questa esperienza piuttosto ripetitiva. Claudio comincia a fischiettare delle canzoni e io tento di indovinare l’autore ed il titolo, e così fanno anche gli altri nostri colleghi del settore. Al contrario di quanto si possa pensare, questo giochetto non sembra distrarre affatto la concentrazione di Claudio che mette in mostra una certa vigilanza nella sua attività di scavo. Egli inframezza un allegro fischiettare o il racconto di qualche facezia a delle pause seriose durante le quali arresta la sua opera di scavo per chinarsi a guardare la stratigrafia, osservare il colore e la conformazione dello strato. A volte, ad esempio, si fa porgere la trowel e con fare concitato mi invita ad osservarne i vari dettagli significativi. «Quando vedi il verde», mi spiega, «devi stare attentissimo perché potrebbe essere rame che si è ossidato… un pezzo di metallo o magari una moneta!»

Nonostante questa spasmodica ricerca di reperti “significativi”, la giornata trascorre senza registrare ritrovamenti particolari emozioni e ciò vale anche per i giorni successivi. Eppure, chiamando in causa il mio umore personale, la situazione lavorativa che si è creata non mi dispiace affatto41. Quando la catena di montaggio dello scavo e del trasporto dei secchi raggiunge un buon ritmo, quando a fine giornata battiamo il record delle quaranta carriole scavate, quando mi metto sotto la doccia e osservo l’acqua colorarsi della terra che mi si era posata addosso; insomma quando succedono tutte queste cose provo un’estrema sensazione di soddisfazione che si traduce nella volontà di continuare a lavorare con foga.

Dai responsabili di settore che ho incontrato tale carattere di «abbrutimento» positivo è spesso rappresentato attraverso le metafore del mondo ferino e istintivo; «animale da scavo», «toro da scavo», «bestia con piccone».

Per quanto riguarda l’interesse di Claudio questo non sembra scemare, né tantomeno egli sembra risparmiare le sue energie. Andando via dallo scavo, a fine turno, spesso mi illustra quello che bisognerà fare all’indomani e durante le pause pranzo i discorsi si concentrano sulla previsione degli sviluppi che il nostro settore potrebbe riservarci. Si parla ad esempio del fatto che ad un certo punto si è avvertito un netto passaggio da uno strato ricco di frammenti ceramici e ossi a una stratigrafia molto più pulita. Inoltre, osservando con attenzione i ruderi e i tracciati viari che circondano la trincea, Claudio si lascia andare in alcune ipotesi ricostruttive più o meno ironiche. Ad

41 Da quel che ho potuto notare tale sensazione di orgogliosa completezza è spesso destinata a rimanere piuttosto delusa

allorquando si cerca di condividerla con chi non riesce a cogliere il senso comune dello scavo. Ricordo i vani tentativi di riscuotere una qualche forma di riconoscimento con gli amici e i parenti cercando di orientare il discorso verso la mia attività nello scavo, la mia conoscenza della disciplina, la mia capacità di maneggiare i reperti archeologici. Effettivamente la lista degli aneddoti di amara ironia nei quali l’archeologo recita il ruolo del nerd, il secchione incompreso, «quello che è entrato nel tunnel», «quello che parla difficile» e che si «interessa di cose strane» è davvero lunghissima. Mi sembra che questa difficoltà nel farsi comprendere svolga poi un ruolo decisivo nella cementificazione delle relazioni di convivenza tra gli archeologi.

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esempio, confrontando le varie ipotesi insieme alla nostra responsabile di settore, Claudio dice spiritosamente:

«Abbiamo trovato tutti quei frammenti di vetro e ceramica perché questa era la zona delle botteghe artigianali e delle officine. Quindi se continuiamo a scavare potrebbe uscire fuori l’officina di uno scultore. Stai a vede che c’esce una statua de Augusto integra che te fa l’advocatio co la mano, che te indica e te dice, “I want you”.»

Mi sembra inoltre che l’atteggiamento di Claudio segnali anche una certa gratificazione relazionale. Egli infatti, essendo il membro della squadra con la maggiore esperienza di scavo, è quello più impiegato nelle fasi più complesse, senza contare la palese dimostrazione di fiducia mostrata dalla responsabile di settore che stabilisce un costante confronto verbale con Claudio.

Durante l’azione è spesso invitato ad esplicitare il suo parere e a proporre delle strategie per affrontare le novità e le problematiche che lo scavo presenta. In buona sostanza Claudio, senza che ci sia stata nessuna investitura ufficiale e senza alcuna palese dichiarazione da parte di Laura, ha assunto il ruolo di vice-responsabile del settore.

Una carica che Claudio sembra aver preso molto sul serio, a tal punto che nel momento in cui Laura affida a me il compito di spiombare una sezione con il piccone, rivolgendosi a lui come se l’esito dell’operazione non dipendesse da me, gli raccomanda: «Claudio, a filo eh». Subito lui mi spiega puntigliosamente: «vedi dove ho il piede? Qui deve restare il gradino. Prenditi la misura ad occhio guardando la linea della fettuccia».

Dopo avergli dimostrato le mie skills con il piccone, Claudio tranquillizza la responsabile: «anvedi come è preciso Fulvio». E tuttavia questa assunzione di responsabilità di Claudio non si traduce quasi mai in una egemonizzazione degli altri membri della squadra42, egli infatti mi sembra continuamente impegnato a curarsi che la maggior parte dei tirocinanti siano coinvolti nell’impresa in maniera positiva. Cosicché, quando mi vede colmare i secchi da agganciare alla carrucola a mano azionata da una studentessa mi dice, «non farli troppo pieni, sennò la sdereni43»; oppure notando il ritmo spedito di un altro tirocinante alle prese con il passaggio dei secchi pieni di terra gli chiede di rallentare onde evitare le ire degli studenti al setaccio: «rallenta… sennò ci ammazzano».

42 Non tutti nel gruppo gradiscono questa tacita investitura di Claudio a vice-responsabile, né tantomeno il suo modo di

fare da intermediario tra il gruppo e la responsabile, facendosi promotore di diverse istanze che condizionano l’attività di tutta la squadra come ad esempio la richiesta di una piccola pausa durante l’orario di lavoro, la richiesta di manovrare contemporaneamente più carriole o semplicemente il suo modo di condizionare le chiacchierate informali focalizzando i discorsi su dei temi ben precisi. Durante i giorni dello scavo, attraverso dei confronti più confidenziali, raccolgo diverse lamentele sulla “mancanza di rispetto e di fiducia” implicita nella scelta della responsabile di mostrare interesse solo per il punto di vista di Claudio, “se lo dice Claudio va bene, se lo dico io no. Com’è ‘sta storia?” oppure, “[la responsabile] è sempre ʻClaudio fai questoʼ, ʻClaudio fai quelloʼ, ma io dico: ci siamo pure noi nello scavo!”.

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Insomma, se dovessi descrivere l’atteggiamento di Claudio durante questo periodo di scavo certamente non utilizzerei aggettivi come «pigro», «demotivato» o «deresponsabilizzato».

Eppure, posto a svolgere un’altra mansione, nel medesimo scavo, queste tre parole sono tra quelle più usate dai suoi compagni per descrivere il suo comportamento.

Succede infatti che Claudio, come da consuetudine per i contesti didattici, deve lasciare l’attività di scavo in favore della pulizia e schedatura dei materiali rinvenuti. Contrariamente alla percezione comune che rappresenta tale attività quasi come un momento di riposo, il «lavaggio dei cocci» rappresenta un’operazione affatto marginale nel quadro del lavoro archeologico.

Si tratta di maneggiare le cassette e le buste colme di reperti, effettuare una approfondita pulizia dei materiali con la relativa suddivisione per tipologia, funzione o altre caratteristiche44.

Durante il lavaggio e catalogazione i tirocinanti hanno il compito di ripulire via le incrostazioni di terra e fango armati di bacinelle colme d’acqua, spazzole e spazzolini. Durante questa attività gli studenti possono “toccare con mano” i reperti, osservarne attentamente i caratteri e confrontarle con le raffigurazioni dei manuali sotto la guida sicura di uno speciale addetto che si distingue spessissimo per avere una lunghissima esperienza di ricerca. Ma la massima dimostrazione dell’importanza del lavaggio e catalogazione è dimostrata dal fatto che è proprio da questa che si giunge ad un fine assai importante: la datazione cronologica dei reperti45.

Ma il lavaggio dei cocci è spesso rappresentato dagli studenti come una speciale tipologia di punizione, un’attività piuttosto puerile, riservata «agli sfigati», «Attento a non farti la bua alle manine mentre lavi i cocci!».

Effettivamente durante il lavaggio dei cocci Claudio si muove con indolenza, come se fosse schiacciato da un peso sovrumano, sbuffa, a volte fissa il vuoto per diversi secondi senza fare una mossa, altre volte si lascia andare a pigre chiacchierate con gli altri tirocinanti annoiati quanto lui, finché il responsabile non alza la voce per richiamare tutti all’ordine.

Tutto si svolge con lentezza e spesso la monotonia è interrotto dal beffardo quesito: quanto potrà essere “utile” spazzolare il contenuto di dieci cassette ricolme di ceramica, coppi, schegge di

44 In merito alle prime fasi della catalogazione dei reperti scrive Maura Medri: “I reperti rinvenuti debbono essere

accuratamente raccolti e inseriti in buste, o altri contenitori appositi, ciascuno contrassegnato da un cartellino recante il numero dell’unità stratigrafica da cui i reperti stessi provengono”. (Medri, 2002, pag. 266).

45 “Dominare perfettamente le tecniche dello scavo e della documentazione non vuol dire saper scavare. La stratificazione

va interpretata, e dal momento che lo scavo è «un esperimento irripetibile» i due momenti, quello dello scavare e quello dell’interpretare, non possono essere scissi. Solo nel momento in cui lo scavo è in atto si raccolgono tutti i dati, tutti gli indizi utili. Questi vanno registrati, come pure vanno registrate le domande e le lacune di conoscenza. Lo scavatore deve tendere a ricomporre l’unità di ciò che vede materialmente scomposto in frammenti, deve cioè compiere un ulteriore e definitivo passo verso la ricostruzione del contesto. Analizzare e ricostruire le vicende storiche di un sito attraverso un’indagine di scavo è un procedimento complesso, di cui l’atto dello scavare costituisce un solo segmento, di importanza cruciale ma non esaustivo. Altrettanto importante è saper creare le condizioni per cui lo scavo sia materialmente realizzabile. Irrinunciabile è che se ne tragga un risultato scientifico.

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marmo, frammenti di laterizi, ossi animali e veri e propri sassi che qualche tirocinante troppo zelante ha scambiato per un reperto?

È chiaro che da un punto di vista archeologico l’utilità dell’operazione presenta un aspetto fondante quanto il fine ultimo della ricerca archeologica. Ma evidentemente, se gran parte dei tirocinanti trova inutile svolgere tale mansione, l’utilità di cui parlano deve essere inerente ad un altro ordine di valori e motivazioni. E non si può neppure parlare di una differenza relativa al mancato contatto con i reperti giacché se c’è un momento in cui i cocci possono essere osservati e analizzati con estrema cura certamente questo non è la fase dello scavo ma proprio quella della catalogazione46. Occorre allora volgere lo sguardo ad un’altra forma di utilità, più inerente alla dimensione soggettiva e relazionale del lavoro dentro lo scavo.

Se confrontiamo le relazioni di Claudio nell’attività di scavo con quelle nell’attività di pulizia e catalogazione, da un lato troviamo un individuo che si muove all’interno di una comunità di pratica, un qualcosa che sublima l’appartenenza identitaria ad una sorta di universo di senso archeologico. Dall’altro lato invece vediamo un individuo quasi completamente alienato dalle relazioni, un individuo che mette in campo una forza lavoro priva di ogni attribuzione di senso, svincolata dai legami sociali di mutua dipendenza così potenti e sublimativi dentro la trincea. Il Claudio del “lavaggio cocci” è un individuo quasi completamente deresponsabilizzato nella misura in cui gli esiti delle sue azioni, effettuate o mancate, ricadono in massima parte su di lui, sotto forma di accuse di pigrizia e svogliatezza. E per il caso di Claudio a nulla vale la relazione di dipendenza con il responsabile del lavaggio e catalogazione, sia perché questi può attingere alla manodopera di tanti altri tirocinanti «condannati» alla «giornata di riposo» (benché ansiosi di tornare «a farsi il culo»), sia perché si tratta di una relazione talmente temporanea (a volte una sola giornata in 2 settimane), da non permettere la costruzione di una relazione che vada oltre lo scambio di nozioni didattiche.

Insomma, l’assunzione di responsabilità assume un ruolo decisivo nel quadro della partecipazione degli individui alla vita sociale:

“L’assunzione di responsabilità è un aspetto fondamentale dell’apprendistato, che va di pari passo con l’auto-valutazione, la comparazione delle competenze, il riconoscimento del prestigio e l’assimilazione di un senso di appartenenza a una comunità. Il novizio, d’altro canto, non è un contenitore vuoto da riempire, o materia neutra da plasmare, ma grazie all’importanza dell’aggiornamento costante della società della conoscenza può essere il portatore di novità e di

46 Lo scavo infatti si distingue per una speciale tipologia di frenesia che concentra tutta l’attenzione sulla lettura della

stratigrafia più che sull’analisi del contenuto, questa si sa che verrà fatta dall’esperto dei materiali dopo il lavaggio. Inoltre, durante i primi giorni di scavo, io e gli altri «novellini» perdevamo diversi secondi passandoci per le mani estasiati qualsiasi “insignificante” frammento ceramico prima di riporlo nella relativa bustina dei reperti. Il nostro responsabile ci incitava contrariato: «quanto me fate innervosire quando perdete tutto ‘sto tempo co’ ‘sti cazzo de cocci».

71 nuove abilità (per esempio il fatto di padroneggiare software aggiornato o nuovi sistemi di organizzazione dell’informazione). In sintesi, l’apprendimento si caratterizza sia per aspetti imitativi e riproduttivi che per aspetti innovativi e creativi. Inoltre, ciò che emerge dall’analisi etnografica è che l’apprendimento è motivato da idee e aspettative che gli attori hanno del proprio futuro possibile all’interno della comunità di pratica. In altre parole, l’apprendistato spesso non è motivato direttamente dalla volontà di acquisire determinate tecniche o conoscenze, ma dall’identificazione della propria esistenza nella cornice di una determinata comunità professionale cui si associa un valore particolare, vuoi per l’esperienza già condivisa in famiglia di determinati valori morali ed estetici, vuoi per le prospettive economiche, formative o di prestigio sociale che essa offre”. (Grasseni e Ronzon, 2004, pp. 189-190).

Come se la mancanza di responsabilità non fosse già sufficiente a fiaccare anche il più stakanovista dei tirocinanti, un ulteriore elemento di alienazione è conferito dalla mancanza di una progettualità. Il lavaggio dei cocci è un lavoro sempre uguale a sé stesso, che non prevede peculiari evoluzioni gerarchiche, né permette l’adozione di particolari innovazioni. Tutto ciò rende questa tipologia di mansione poco adatta in un contesto culturale che fa del senso di realizzazione dell’individuo il traguardo più importante.

In questo senso è molto utile volgere lo sguardo all’opera di Edwin Hutchins (1995, 1993). Egli ha incentrato le sue ricerche sui contesti di pratica esperta nel tentativo di superare il limite psicologista e individualista, delle scienze cognitive. Queste ultime, secondo Hutchins, “confondono le proprietà cognitive del sistema socioculturale con le proprietà psicologiche della persona, e dimenticano il contributo degli ambienti pratici e sociali al modo in cui le abilità vengono effettivamente acquisite” (Grasseni e Ronzon, 2004, pag. 158).

Nelle sue ricerche etnografiche sul pilotaggio delle navi lo studioso mostra con estrema minuzia il carattere cognitivo e allo stesso tempo collettivo delle azioni concertate. Non si tratta più di concepire il saper fare di un equipaggio come la somma di tutti i saperi individuali, quasi fossero ingranaggi di una macchina. Si tratta invece di un pensare al saper fare come ad una interrelazione di conoscenze, relazioni, oggetti e storie distribuite in maniera variabile tra i vari partecipanti all’azione contestuale. È questo sapere sovrapposto che, ad esempio, permette alla ciurma di elaborare delle strategie risolutive allorquando la competenza di un singolo viene a mancare o si verifica un guasto tecnico in un dato settore dell’imbarcazione.

“Both the knowledge required to do the task and the responsibility to keep the system working are distributed across the members of the navigation team. We can think of the team as a sort of flexible organic tissue that keeps the information moving across the tools of the task. When one

72 part of this tissue is unable to move the required information, another part is recruited to do so.” (Hutchins, 1993, pag. 58).

In buona sostanza la presenza di Claudio non aggiunge nulla al fatto che i cocci vadano lavati e soprattutto non si tratta di una mansione che richiede particolari abilità, né il confronto con altri