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Un esercizio di decostruzione: l’ipotesi naturalistica dell’origine del linguaggio

3.1. Lavori in corso: perché Derrida legge Rousseau?

Il primo punto da chiarire è perché proprio Rousseau svolga un ruolo primario nell’analisi decostruttiva derridiana. Mi preme sottolineare come sicuramente qualsiasi concetto o evento narrato in relazione a Rousseau sarà riduttivo rispet- to alla grande quantità di ricerche e commenti che si sono succeduti sul suo con- to nel tempo244, ma ai fini del nostro lavoro ciò che conta non è tanto esporre tutto ciò che pensa Rousseau nella grande abbondanza dei suoi scritti, ma cosa Derrida pensa che Rousseau pensi in determinati testi e nel suo stesso modo di vivere, come in un gioco di specchi, dove ogni direzione intrapresa per uscire dal labirinto è funzionale al progetto iniziale di colui che il labirinto l’ha ideato, e nel nostro caso questo progetto corrisponderà all’opera decostruttiva eviden-

244 Per l’approfondimento di ogni riferimento che verrà indicato in seguito sul pensiero di Rous-

seau rimando alla lettura di: J. J. Rousseau, Oeuvres complètes, ed. B. Gagnebin et M. Raymond, Bibliothèque de la Pléiade, Paris, Gallimard, 1969. I testi principali citati nelle pagine successive del medesimo autore saranno equivalenti alle traduzioni italiane del J. J. Rousseau, Saggio

sull’origine delle lingue, a cura di P. Bora, Einaudi, Torino 1989 e J. J. Rousseau, Discorso

sull’origine dell’ineguaglianza fra gli uomini, Editori Riuniti, Roma 1994. La scelta dell’utilizzo di queste edizioni è legata anche alla scelta effettuata a loro volta dai traduttori di Della Grammato-

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ziata nel capitolo precedente, così che le varie direzioni critiche esemplificative utilizzate da Derrida sono valide solo per verificare il suo sistema: è questo che vuole indicarci la lettura di alcune sezioni di Della Grammatologia, tenendo sem- pre presente che occorre adottare nella nostra analisi ciò che Derrida chiama un “metodo esorbitante”.

«Benché non sia un commento la nostra lettura deve essere interna e restare nel testo. […] Bisogna tener conto del testo in generale […] Volevamo raggiungere il punto di una certa esteriorità in rapporto alla totalità dell’epoca logocentrica. A partire da que- sto punto di esteriorità si potrebbe avviare una certa decostruzione di questa totalità. […] Che ne è dell’esorbitante nella lettura di Rousseau? …»245.

Per rispondere a questa domanda innanzitutto teniamo presente che Rousseau, usando il vocabolario acquisito nel capitolo precedente, sperimenta tanto bio- graficamente quanto nel suo scrivere un nuovo modello dato dalla presenza a sé del soggetto nel sentimento, ovvero egli ritiene che solo nel momento in cui si parla si è presenti a sé stessi. Nel momento esatto in cui la scrittura fa il suo ingresso nel sociale, nel lavoro del filosofo inizia un duello, si respira aria di minaccia. Il fatto che Derrida abbia scelto Rousseau fra tanti altri è dato forse dalla preferenza di quest’ultimo nel condurre una vita circondato da paradossi piuttosto che da pregiudizi, e come abbiamo avuto modo di vedere la parados- salità è l’elemento chiave dello scrivere e del riflettere derridiano.

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Starobinski, elegante e acuto critico francese di Rousseau, utilizza l’espediente del “ladro derubato” tratto da un passo delle Confessioni di Rousseau medesi- mo, nel quale questi racconta come durante un periodo di soggiorno a Torino, innamoratosi di madamoiselle Basile, ma vestendo gli umili panni del servitore, cerca di nascosto di godere delle grazie della fanciulla da una porta semichiusa degli appartamenti di costei, accorgendosi troppo tardi però di essere visto a sua volta tramite uno specchio nel suo spiare. A questo espediente si collega per Derrida il ruolo che gioca la parola in Rousseau, ovvero nell’esatto momento in cui egli prova a palesare vocalmente un suo pensiero questo smette di apparte- nergli, finendo col renderlo buffo e impacciato dinnanzi al suo pubblico. Mal tollerando una tale situazione Rousseau vede come tutto ciò che ci costituisce allo stesso modo ci decostruisce, e per ovviare a una punizione simile, essendo l’uomo una creatura che necessita del riconoscimento altrui per le proprie azio- ni e orazioni, per vivere insomma e per farlo nel migliore dei modi, occorre che egli vada incontro ad una sorta di suicidio letterario: ritirandosi dalle scene so- ciali, Rousseau può scrivere di sé e sfuggire ad un lato della propria morte. A tale riguardo nelle Confessioni scriverà: “Cominciavo a vivere solo quando mi guardavo come morto”, dal momento che ancora in lui dominava l’idea della scrittura come presagio di morte dell’essere pieno, unicamente visibile ed esi- stente nella pienezza del logos, ma nello stesso tempo egli riscontrava una pre- senza di morte anche nel cuore della parola viva che spossessava l’uomo del suo essere. Come correre ai ripari allora?

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Ecco che fa il suo ingresso sulla scena Derrida, tracciando la duplice relazione di Rousseau con la scrittura, da un lato sottoforma di condanna, poiché essa viene intesa come malattia della parola, tanto che su ciò si instaurerà la sua teo- ria del linguaggio nelle sue opere principali; dall’altro, pur dichiarandola col- pevole, la utilizza, ed è la sua stessa esperienza ad attestarlo – in ciò è leggibile già fra le righe quella differenza fra natura e cultura che avremo modo di inten- dere fra breve.

Dopo aver affermato ciò ricadiamo ancora nella ragnatela tessuta da Derrida: se anche nella parola piena si avverte una mancanza, vuol dire che quella pienezza in fondo non esiste, l’alienazione è già da sempre inaugurata. La natura “do- vrebbe” bastare a sé stessa, analoga condizione “dovrebbe” valere per il logos, ma è proprio a causa dell’uso dei condizionali che regnano nelle proposizioni che Derrida estrae il suo scalpello da decostruttore. Tuttavia Rousseau si giusti- fica utilizzando sì la scrittura come un sostituto, ma affermando anche che, co- me ogni sostituto, essa sarà sempre inferiore – l’esempio riportato da Derrida in Della grammatologia è quello per cui occorre trovare un sostituto alla sollecitudi- ne materna nei confronti del bambino attraverso l’educazione (giacché il rap- porto fra madre e nascituro veniva indicato da Rousseau come primo possibile nucleo societario, tesi che trasformerà poi in qualcosa di più complesso), sotto- lineando però come tale sostituto sarà sempre e comunque esterno.

La novità è che tale “pericoloso supplemento” altro non è che un ulteriore modo di definire la différance: infatti, crea uno stato quasi inconcepibile per la ragione, dal momento che rende l’uomo folle creando uno stato di compresenza fra pre-

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senza e assenza, «è una violenza fatta al destino naturale della lingua»246, è sempre, comunque e ancora qualcosa che viene dall’esterno.

Si arriva così ad ingannare la natura ma si evitano nel complesso mali ancora peggiori. Per male peggiore Rousseau intendeva un complicato rapporto con la sfera sessuale, e con l’altro sesso in particolare, che conduce Derrida a creare parallelismi fra la scrittura e l’onanismo come “pericolosi supplementi”. Grazie all’onanismo si va incontro ad una sorta di liberazione dalla dialettica servo- signore per volgersi verso un’autarchia dei sentimenti e dell’essere. Per chiarire velocemente il riferimento alla sfera erotica, cito semplicemente come Derrida spiega che Rousseau nella sua ipocondria verso ogni possibile malattia venerea e verso ogni legame con le donne pubbliche preferiva trovare l’oggetto del suo soddisfacimento in sé stesso, e questo alterava il reale e creava pericolosi sosti- tuti nella e alla vita dell’uomo, ma la presenza è sì solo una chimera, ma si da sempre e comunque come simbolo sostitutivo di un’altra presenza, questa non si sarebbe mai potuta desiderare se prima qualcosa non avesse fatto sentire il bisogno della sua esistenza247. E’ così che tutto ha inizio con un intermediario, “vige sempre una catena di supplementi”, e, come nel caso della différance, la ragione non può accettarlo. Ecco perché precedentemente avevo anticipato che la critica al logocentrismo sarà anche una critica al fallogocentrismo.

246 Ivi, p. 201.

247 Cfr. ivi, pp. 207-218. I riferimenti in questo caso si sprecherebbero: rimando solo

all’attenzione che Rousseau presta alla descrizione fra presenza e assenza nel gioco teatrale, do- ve l’immaginazione rende tutto possibile: J. J. Rousseau, Lettera a D’Alembert sugli spettacoli, in

Opere a cura di P. Rossi, Sansoni, Firenze 1989. Analogamente l’onanismo porta l’uomo ad im- maginare l’inesistente e ciò gli basta senza bisogno di consenso, ma con un grande grado d’angoscia interna, cfr. J. Starobinski, La trasparenza e l’ostacolo, Mulino, Bologna 1982, pp. 261- 274.

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Allora Rousseau è utile a Derrida perché “strumentalmente” utilizza la scrittu- ra, dando poi però fra le righe una valutazione di essa analoga a quella che Der- rida sbandiera; ma gli è utile anche per altre ragioni, ragioni “concettuali” po- tremmo definirle.