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Sgombrato il campo dalle questioni preliminari vanno ora analizzate le principali modifiche apportate dalla legge 4 agosto 2006 n. 248 e dall'art. 4 del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 alla disciplina del c.d. ius variandi.

Rispetto alla precedente versione dell’art. 118 TUB, la prima novità va ravvisata nella previsione del giustificato motivo quale presupposto per l’esercizio del diritto di recesso.

In tal modo il legislatore recepisce l’orientamento della dottrina che, già da tempo, in applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, era giunta alla conclusione che l’esercizio dello ius variandi andasse subordinato al ricorrere di un giustificato motivo.

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SIRENA (Lo ius variandi delle banche nella disciplina della l. 248 del 2006, cit., 13) legge la scelta di non limitare l’applicazione della normativa in esame al solo consumatore come espressione del processo di c.d. consumerizzazione dei contratti del quale, tuttavia, avverte le insidie: “la consumerizzazione del diritto dei contratti nasconde un’insidia, che è costituita da un eccesso di regolazione e perciò dalla degenerazione di quest’ultima: occorre infatti tener presente che non sempre l’esigenza di tutela del consumatore può ritenersi esistente anche a favore dell’imprenditore, soprattutto là dove si tratti di rimediare all’esistenza di asimmetrie informative tra parti contraenti”.

A prescindere da tali considerazioni, questa regola poteva ritenersi già vigente, alla luce della disciplina contenuta nella direttiva 13/93/CE, oggi recepita nell’art. 33 codice del consumo, che espressamente subordina, nei contratti aventi ad oggetto servizi finanziari, la validità della clausola che prevede l’esercizio dello ius variandi, alla ricorrenza di un giustificato motivo.

La supremazia del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale, dunque, già imponeva di interpretare l’art. 118 del TUB alla luce dell’art. 33 cod. cons. e dunque nel senso di consentire la variazione unilaterale del contratto solo in presenza di un giustificato motivo.

Assai più complesso risulta invece determinare cosa si intende per giustificato motivo.

La dottrina, anche prima dell’introduzione della nuova disciplina, aveva avuto modo di rilevare come, a ben vedere, i motivi addotti dalla banca per recedere non sono mai giustificati, “non risultano affatto evidenti, né persuasivi, né tantomeno indispensabili ad un esercizio remunerativo dell’attività bancaria”48.

Si è escluso per esempio che costituisca giustificato motivo dello ius

variandi la variabile relativa al costo del denaro: essendo la provvista assunta

attingendo a fondi patrimoniali, assai spesso a credito, una tantum, ai costi vigenti al momento della stipulazione del contratto, nessuna perdita potrebbe derivare alla banca da un successivo aumento del costo del denaro49.

Si è escluso altresì che integrino ipotesi di giustificato motivo ragioni connesse ad un abnorme aumento dei costi di gestione dei contratti di mutuo, posto che, nella maggior parte dei casi, l’obbligazione della banca si limita all’incasso di un’obbligazione portable.

Si è escluso ancora che possano giustificare lo ius variandi eventi sopravvenuti ed eccezionali tali da determinare una situazione di crisi: ed infatti, “anche se il rivalersi su una massa ingente di clientela potrebbe consentire di contenere gli aumenti a percentuali meno dolorose, quel vago interesse generale che potrebbe allora apparire fondare lo ius variandi, è

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FAUSTI, Il mutuo, cit., 190.

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comunque sopravanzato da profili di illegittimità più consistenti. Da un lato, infatti, si renderebbe il cliente della banca partecipe del rischio imprenditoriale di quest’ultima, senza corrispettivo; dall’altro, tale prassi potrebbe indurre la banca ad un meno oculato esercizio del credito”50.

La tendenza ad interpretare estensivamente ed in misura del tutto ingiustifica la nozione di giustificato motivo emerge nella circolare adottata dall’ABI nel 7 agosto 200751 ove si afferma che il giustificato motivo vada ravvisato in ogni accadimento sopravvenuto alla conclusione del contratto, sia esso attinente alla sfera del cliente o della banca, sia relativo, più in generale, a situazioni oggettive di mercato in grado di alterare significativamente i termini del rapporto originario.

A favore di un ridimensionamento della nozione in esame, oltre alle considerazioni in precedenza riportate, si è osservato come un’interpretazione così ampia porterebbe, di fatto, a giustificare qualsiasi variazione unilaterale, riducendo significativamente la concorrenza tra le banche sotto il profilo della certezza della stabilità delle condizioni contrattuali.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in particolare, ha ritenuto con proprio provvedimento, che la suddetta circolare configuri un’ipotesi di intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 81, paragrafo 1 del Trattato CE e ha disposto in via cautelare che l’ABI sospendesse le indicazioni relative alla nozione di giustificato motivo, ai presupposti del diritto di recesso, alla determinazione delle voci da includere nella definizione di spese di chiusura, di penalità e di variazione dei tassi di interesse52.

La posizione dell’Antitrust è condivisa anche dalla dottrina maggioritaria, la quale ha segnalato il rischio che un’interpretazione così lata della nozione di giustificato motivo renda irrimediabilmente soggettivi i parametri alla stregua dei quali effettuare il relativo giudizio53. Il significato del giustificato

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FAUSTI, Il mutuo, cit., 191.

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Circolare ABI, 7 agosto 2007, n. 23 pubblicata sul sito www.abi.it.

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PS 1675 provv. n. 17046 del 10 luglio 2007, su boll. 35-36/2006.

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Così IURILLI, Ius variandi e testo unico bancario. La nuova formulazione dell’art. 118, e

motivo, al contrario, andrebbe individuato in ragione della funzione dell’istituto che è quella di “conservare nel corso del tempo l’equilibrio inizialmente voluto dai contraenti, neutralizzando le successive oscillazioni del loro valore nel mercato”54.

Al fine di evitare prassi elusive del dettato normativo o comportamenti scorretti da parte delle banche va comunque sottolineata l’opportunità che le parti, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, circoscrivano le ipotesi di giustificato motivo, contro il rischio che gli operatori professionali determinino arbitrariamente, e addirittura ex post, fatti e circostanze legittimanti la modifica unilaterale del contratto.

La seconda importante novità rispetto alla precedente versione dell’art. 118 TUB attiene alle modalità di comunicazione delle modifiche unilaterali del contratto.

Anzitutto, al fine di garantire una piena e adeguata informazione al cliente, è imposto all’istituto bancario di comunicare espressamente qualsiasi modifica unilaterale e non più soltanto quelle sfavorevoli come invece richiedeva il vecchio testo dell’art. 118 TUB.

In secondo luogo, viene superata la modalità di comunicazione impersonale delle variazioni a favore di una forma comunicazione individuale che deve essere necessariamente scritta e preceduta dalla formula “proposta di

modifica unilaterale del contratto”.

In particolare, secondo il meccanismo originariamente previsto dall’art. 10 del decreto 233/2006, il cliente, ricevuta la c.d. proposta di modifica aveva due possibilità: recedere dal contratto, senza spese, nel caso non volesse accettare le nuove condizioni contrattuali, oppure approvare la modifica lasciando spirare semplicemente il termine.

Data l’ambigua formulazione dell’art. 118 TUB che prevede contemporaneamente un termine di preavviso minimo della comunicazione e un diverso termine entro il quale il cliente ha la facoltà di recedere, e soprattutto entro il quale la modifica deve ritenersi approvata, la dottrina si è

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interrogata sul momento a partire dal quale decorrono gli effetti della variazione. Al riguardo un primo orientamento55 - sul presupposto che il legislatore abbia voluto con tale previsione introdurre un’ipotesi di silenzio- assenso per salvaguardare la coerenza dello ius variandi con la disciplina dei contratti in generale – ha ritenuto che la modifica non potrebbe aver effetto prima della sua approvazione, e dunque prima che sia decorso il periodo di tempo previsto dal ricevimento della comunicazione.

A tale ricostruzione si contrappone quella di chi sostiene che, nonostante l’espressa qualificazione della dichiarazione della banca come “proposta” di modifica unilaterale del contratto, funzione della norma sarebbe quella di attribuire alla banca il diritto di modificare la sfera giuridica del cliente, a prescindere dall’accettazione o dal rifiuto di quest’ultimo. La modificazione, pertanto, produrrebbe effetti già decorsi i 30 giorni (ora 60) 56.

Tale ambiguità interpretativa non viene eliminata nemmeno nella nuova formulazione dell’art. 118 a seguito delle modifiche apportate dall'art. 4 del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141.

Si continua infatti a prevedere, da un lato, il preavviso di due mesi (e non più di 30 giorni), dall’altro, che la modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese dal contratto entro la data prevista per la sua

applicazione (e non più 60 giorni).

Senza voler prendere posizione sul punto, va dato atto delle prime prassi bancarie successive all’emanazione del decreto 233 del 2006, le quali tendono a far decorrere gli effetti delle modificazioni dal termine di preavviso minimo di 30 (ora 60) giorni dalla comunicazione.

Quanto al terzo comma dell’art. 118 TUB che, come visto, sanziona con l’inefficacia le variazioni contrattuali sfavorevoli delle condizioni contrattuali non comunicate al cliente, si impongono due considerazioni.

In primo luogo che tale disposizione non risulta coerente con quanto previsto dal comma 2, il quale invece prevede l’obbligo di comunicare – e con

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G. SANTONI, Lo ius variandi delle banche nella disciplina della l. n. 248 del 2006, in

Banca borsa e titoli di credito, 2007, I, 258. 56

SIRENA, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 223 del

le stesse modalità – sia le modificazioni favorevoli che quelle sfavorevoli. Pare infatti contraddittorio con l’obiettivo di tutelare il consumatore che una delle due prescrizioni, segnatamente quella relativa all’obbligo di comunicare in forma scritta le modifiche unilaterali del contratto, anche se favorevoli, rimanga senza rimedio.

In secondo luogo, che non è sempre facile distinguere tra variazioni favorevoli e sfavorevoli al cliente. Da questo punto di vista le banche, sfruttando l’ambiguità della formula che prevede la variazione, potrebbero salvare dall’inefficacia disposizioni che, apparentemente di favore per il cliente, ad un’approfondita indagine risultino invece pregiudizievoli, magari nel lungo periodo, dei suoi interessi.

Il quarto comma introduce infine una fattispecie legale di ius variandi sancendo che “Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in

conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente”.

Come ha chiarito il Ministero dello Sviluppo economico57 tale disposizione, lungi dal derogare la disciplina prevista dal primo comma, si limita a tipizzare una causa di giustificato motivo, identificata nelle variazioni del tasso di interesse conseguenti a decisioni di politica monetaria, ovvero quelle decisioni che Banca Centrale Europea assume a proposto dei c.d. tassi di riferimento; resterebbero invece escluse quelle assunte da banche centrali, non facenti parte del Sistema europeo, in quanto non idonee ad influenzare la politica monetaria adottata nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano.

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Chiarimento del Ministero dello Sviluppo Economico del 21 febbraio 2007 in merito alla applicazione dell’art. 10 della legge n. 248/2006.

CAPITOLO II

L’estinzione anticipata dei mutui immobiliari

1. Il principio di libera estinzione anticipata dei mutui immobiliari.

L’art. 7 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, come convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40 (c.d. Bersani bis) introduce il principio della libera estinzione anticipata dei mutui immobiliari, al fine di consentire al mutuatario di porre fine ad un rapporto la cui prosecuzione, per ragioni sopravvenute, si rivela diseconomica.

La ratio dell’intervento è quella di contrastare la diffusa prassi bancaria di inserire all’interno dei contratti di mutuo clausole penali per l’ipotesi di estinzione anticipata del mutuo, quale parziale corrispettivo per la mancata riscossione degli interessi.

La previsione di “penali” (rectius compensi) per l’ipotesi di anticipata estinzione aveva rappresentato uno degli ostacoli principali alla creazione di un mercato relativo alla circolazione delle operazioni di finanziamento.

I mutuatari, invero, stante la misura elevata del compenso di anticipata estinzione, quand’anche avessero rinvenuto sul mercato finanziatori disposti a concedere credito a condizioni migliori, finivano per rimanere, di fatto, prigionieri della banca originaria58.

Al fine di incentivare la circolazione dei finanziamenti l’art. 7 del d.l. 7/2007 come convertito dalla l. 40/2007, dispone la nullità diretta e testuale di qualsiasi patto, anche posteriore alla conclusione del contratto - ivi incluse le clausole penali - con cui si convenga che il mutuatario, che richieda l'estinzione anticipata o parziale di un di mutuo “contratto per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale”, sia tenuto ad una determinata prestazione a favore del soggetto mutuante.

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In tal modo, dunque, si attribuisce al mutuatario un diritto di fonte legale e non derogabile all’anticipata estinzione del mutuo59.

La disposizione di cui all’art. 7 è stata trasfusa nel TUB, dall'art. 4, del d.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218, il quale ha contestualmente abrogato la norma in esame.

L’art. 120-ter del TUB, riproduce pedissequamente l’art. 7, come modificato dalla finanziaria per il 2008, omettendo tuttavia gli ultimi commi della isposizione originaria che disciplinavano l’ambito di applicazione temporale del divieto di penali per l’ipotesi di anticipata estinzione.

2. L’ambito di applicazione soggettivo e gli interessi perseguiti.

Al fine di comprendere la ratio dell’intervento risulta opportuno, in via preliminare, delimitare l’ambito di applicazione delle nuove disposizioni, in senso soggettivo e oggettivo.

Partendo dall’ambito di applicazione soggettivo, una delle principali questioni interpretative che si era posta all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 7, posto che la norma non forniva alcun criterio ai fini dell’individuazione del soggetto mutuante, era se il divieto di penali per l’ipotesi di anticipata estinzione riguardasse solo i mutui erogati da istituti bancario o, al contrario, qualsiasi creditore.

Nonostante la generica formulazione della norma che aveva indotto taluno60 a suggerirne un’interpretazione estensiva, si ritiene che il divieto di penali risulti applicabile solo se il mutuo sia stato erogato da un istituto bancario.

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Così A.A. DOLMETTA, Estinzione anticipata dei mutui immobiliari. Divieto di clausole

penali (art. 7 d.l. n. 7/2007). Prime note, in Atti del convegno Paradigma: Il contratto di mutuo nel “decreto liberalizzazioni”, Milano, 20-21 marzo 2007, 3; A. LEIDI, La revisione dei contenuti dei contratti di mutuo alla luce delle nuove disposizioni introdotte dal d.l. n. 7/2007,

in Atti del convegno Paradigma: Il contratto di mutuo nella “manovra liberalizzazioni”, Milano, 15-16 maggio 2007, 18.

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In tal senso P. L. FAUSTI, Mutui e clausole vessatorie, in Notariato, 2007, 534; Ma contra vedi A. GIAMPIERI, Il decreto sulle liberalizzazioni. La portabilità del mutuo, le intenzioni

del legislatore e gli effetti forse indesiderati della norma, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2007, II, 471.

A favore di tale ricostruzione, vi sono una serie di argomenti che paiono insuperabili.

Anzitutto, il ruolo riconosciuto dall’art. 7 all’ABI nella negoziazione con le associazioni dei consumatori e alla Banca d’Italia ai fini della riconduzione ad equità dei compensi dei contratti di mutuo pregressi, che risulterebbe difficilmente giustificabile se la norma si applicasse anche a soggetti non professionisti; così come risulterebbe difficilmente giustificabile una regola che ponesse a carico del soggetto non professionista il rischio dell’estinzione anticipata del rapporto61.

In secondo luogo, il tenore del decreto-legge di base che, prima della conversione, si riferiva espressamente “alla banca mutuante”62.

In terzo luogo, il raffronto con la disciplina della portabilità che riguarda solo i contratti stipulati con “intermediari bancari e finanziari”63.

Tale ricostruzione sembra trovare conferma nell’attuale collocazione della disciplina all’interno del TUB.

Assai più delicata e di notevole rilievo pratico ai fini dell’individuazione degli interessi che la norma intende proteggere è la qualificazione del soggetto finanziato.

Si tratta, in particolare, di comprendere se le nuove disposizioni si applichino solo al consumatore, inteso quale persona fisica che agisce al di fuori dell’attività economicamente svolta, ovvero a qualsiasi soggetto che agisce per le finalità indicate dall’art. 7.

A favore della prima impostazione parrebbe deporre il capo I della Bersani

bis che espressamente si riferisce “alla tutela dei consumatori”.

Da tale prospettiva, il riferimento espresso alla destinazione dell’immobile all’esercizio dell’attività economica e professionale della persona fisica

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A. A. DOLMETTA, La facoltà di «estinzione anticipata» nei contratti bancari con segnato

riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, in Rivista di diritto civile, 2008, II, 529. 62

DOLMETTA, La facoltà di «estinzione anticipata» nei contratti bancari con segnato

riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, cit., 529. 63

DOLMETTA, La facoltà di «estinzione anticipata» nei contratti bancari con segnato

rappresenterebbe il riconoscimento ufficiale dell’estensione della nozione di consumatore anche alle figure dell’imprenditore e del professionista64.

In senso contrario tuttavia depongono, da un lato, la circostanza che l’art. 7, ai fini di delimitare l’ambito di applicazione della norma, non fa alcun riferimento al consumatore; dall’altro, il tenore dell’articolo 7 il quale, nell’estendere la nuova disciplina sull’estinzione anticipata anche gli acquisti di immobili per l’esercizio della propria attività professionale, starebbe a dimostrare che la norma si muove in un ambito diverso da quello della tutela del consumatore, al quale, in effetti, la norma in alcun modo si riferisce65.

Né, contro una simile ricostruzione varrebbe richiamare il tenore letterale del capo I, posto che le varie disposizioni in esso contenute non presentano una terminologia univoca, facendo riferimento talora all’“utente”, talaltra al “cittadino”, concetti, ambedue, significativamente più ampi di quello di consumatore.

Il problema sembra essere definitivamente risolto in conseguenza della trasposizione della disposizione in esame nel TUB, stante il carattere generale di tale disciplina.

Deve dunque concludersi che la nuova normativa è diretta a tutelare una cerchia di soggetti diversa, ed in parte più ampia, rispetto al consumatore tradizionalmente inteso; una categoria di soggetti considerati dalla legge occasionalmente deboli, in cui rientra non soltanto chi agisca al di fuori della propria attività economica eventualmente svolta, ma anche qualsiasi soggetto che abbia stipulato un contratto di mutuo per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione o, alternativamente, allo svolgimento dell’attività professionale.

Non sorge invece alcun dubbio sul fatto che il soggetto finanziato debba essere necessariamente una persona fisica, sia per la prima ipotesi disciplinata dall’art. 7, comma 1, in quanto la finalità abitativa sottintende la natura fisica del mutuatario, sia nella seconda, poiché previsto espressamente dalla norma.

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Così FAUSTI, Anticipata estinzione e portabilità dell’ipoteca (articoli 7, 8 e 8-bis della

legge 2 aprile 2007), cit., 14. 65

DOLMETTA, La facoltà di «estinzione anticipata» nei contratti bancari con segnato