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Il dibattito in merito alla struttura del mercato ruota attorno al seguente quesito: il mercato trova fondamento in leggi naturali dell’economia che esistono prima e al di fuori dell’ordinamento giuridico, o al contrario, è un luogo artificiale, sistema di scambi che si realizzano secondo l’ordine giuridico determinato da una precisa volontà legislativa?

Alla tematica sono stati dedicati molteplici studi in dottrina. Senza pretesa di completezza, ai soli fini di fornire un quadro sintetico dei vari orientamenti al fine di trarne conseguenze in merito alle scelte di politica legislativa

perseguibili, di seguito verranno sintetizzati le possibili opzioni che si presentano al regolatore nel momento in cui deve decidere se intervenire o meno a regolare un determinato settore, ivi inclusa l’opzione zero, cioè il non intervento.

Un primo orientamento (c.d. naturalistico)260 raccoglie le teorie che attribuiscono all’economia la capacità di esprimere proprie regole – le “leggi di natura” – indipendentemente dalle “leggi giuridiche” dettate dagli uomini.

Il mercato, secondo questa prospettiva, vivrebbe “anche senza legge, come regola del singolo scambio, che è riproponibile in una serie indefinita di scambi e quindi come ordine spontaneo, che trova fondamento nelle convenienze soggettive umane e legittimazione nel principio di effettività, a prescindere da qualsivoglia riconoscimento del legislatore, così come nella felice immagine einaudiana della fiera di paese e nel pensiero precorritore di Locke, ove netto appare il rifiuto di un mercato che nasca ordinato da una realtà superiore anziché dalla naturale relazione degli atomistici interessi individuali”261.

La priorità del mercato rispetto alla legge, inoltre, risulterebbe confermata dalla constatazione del suo imporsi come modello di organizzazione dei rapporti economici sostanzialmente uniforme all’interno dei sistemi giuridici estremamente eterogenei262.

In tale prospettiva allo Stato e al diritto si chiede di “restringersi al minimo263, provvedendo alla difesa dei confini, alla tutela dell’ordine pubblico, alla garanzia dei patti liberamente convenuti” e al legislatore un confronto, il più aperto possibile, con i soggetti riguardati dall’intervento regolativo “tenendo presente l’inutilità di ogni intervento che non sia

260

Così lo definisce N. IRTI, Introduzione, in Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, a cura di N. Irti, Bari, 1999, VII.

261

M. DRAGHI, Contributo, in Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, cit., 83.

262

Così DRAGHI, Contributo, cit., 85, il quale fa espresso riferimento alla concezione weberiana dell’autonomia tra strutture economiche e giuridiche. Sul punto vedi M. WEBER,

Economia e società: l’economia in rapporto agli ordinamenti e alle forze sociali, a cura di W.

J. Mommsen e M. Meyer, trad. it., di M. Palma, Milano, 2003.

263

funzionale al raggiungimento degli obiettivi che il libero mercato consenta comunque autonomamente di raggiungere”264.

In tale prospettiva, dunque, non viene negato in assoluto il ruolo dello Stato, e del diritto, ma si circoscrive il suo ambito di intervento all’introduzione nella realtà fenomenica di “modifiche agli «incentivi» delle scelte individuali che le rendano coerenti con il raggiungimento di un più elevato benessere sociale e degli obiettivi prefissati”, salvo “l’onere di provare che il mercato da solo non è in grado di raggiungere gli obiettivi di benessere prefissati”265.

Contro tale impostazione si è obiettato, anzitutto, che gli accordi, senza regole che ne garantiscano la coercibilità ed il rispetto, verrebbero consegnati alla “labile valutazione degli interessi individuali”, senza alcuna garanzia di rispetto, e dunque possibilità di vincolare i soggetti coinvolti266.

La tesi dell’ordine naturale del mercato e della prevalenza dell’economia sulla politica, in secondo luogo, è ritenuta in contrasto con le costituzioni moderne dalle quali risulta “il tentativo di assoggettare ad asse l’economia e il suo ordinato sviluppo, il tentativo, cioè, di rendere governabile e compatibile lo sviluppo economico con un ordine sociale «giusto» (secondo l’espressione utilizzata da Gustavo Zagrebelsky)”267. Dalle costituzioni sociali, in altre parole, deriverebbe la subordinazione dell’economico alla “decisione politica fondamentale” e dunque alla stessa Costituzione268 .

Il rapporto tra diritto ed economia in tale prospettiva viene rovesciato: poiché compete all’ordinamento giuridico e non al mercato attribuire valore vincolante agli scambi (stabilendo i requisiti minimi necessari affinché l’accordo sia valido), è al primo che va attribuita la priorità logica. La stessa esistenza del mercato, dunque, dipenderebbe da una precisa scelta dell’ordinamento, il quale non solo preferisce tale sistema economico ad altri

264

DRAGHI, Contributo, cit., 87.

265

DRAGHI, Contributo, cit., 87.

266

Così IRTI, Introduzione, cit., XI: “anche gli accordi, i quali sembrano agli zelanti neoliberisti come cellule originarie dell’economia, postulano norme giuridiche, capaci di renderli vincolanti e munirli di garanzie coercitive”.

267

G. AZZARITI, Contributo, in Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, cit., 4.

268

possibili (es. modelli organizzativi di tipo collettivistico o misto), ma ne garantisce anche il corretto ed efficiente funzionamento attraverso norme volte a contrastare fenomeni che ne determinerebbero il fallimento o che comunque impedirebbero a esso di operare rispetto a determinati rapporti connotati da disparità di potere contrattuale269.

L’intervento normativo, quindi, lungi dal sovrapporsi al fenomeno economico, ne costituirebbe una componente strutturale senza la quale il mercato nemmeno potrebbe sussistere270.

Il mercato, in altri termini, avrebbe bisogno di un ordine che rendesse in misura prevedibile il comportamento dei soggetti che vi operano e che soltanto il diritto può garantire attraverso regole che stabiliscano l’ambito delle attività consentite e di quelle vietate; il diritto, dunque, non potrebbe essere ridotto a “mera tecnica di organizzazione sociale, misconoscendo la funzione di realizzare storicamente un sistema di valori distinto e sovraordinato a valori puramente economici”271.

Queste ragioni sono alla base del c.d. orientamento politico-giuridico272, che concepisce l’ordinamento come statuto di norme ed il mercato come unità giuridica delle relazioni di scambio273.

Un terzo orientamento, da ultimo, ritiene che il quesito in merito al rapporto tra economia e diritto sia mal posto e alla domanda se sia “nato prima l’uovo (economico) o (…) la gallina (giuridica)” risponde: “né l’uno né l’atro da soli. Ma tutti e due, insieme, all’interno di un processo «sintetico»”274 o che “vuoi le affermazioni del mercato come regime normativo di relazioni

269

Rileva al riguardo C. CASTRONOVO, Il capitalismo come vicenda giuridica, in Relazioni

Industriali, 1983, 193-194 che “la mano invisibile pensata da Adam Smith, quale provvidenza

secolarizzata, a muovere i fili dell’umana vicenda, appare vieppiù invisibile, fino a diventare una mano invisibile che non orienta nulla, che non dà ai rapporti economici il loro equilibrio ideale”.

270

Così G. CALOGERO, Etica, giuridica, politica, Torino, 1946, 305: “L’economia presuppone il diritto in quanto condizione determinante della sua stuttura”.

271

L. MENGONI, Forma giuridica e materia economica, in Studi in onore di A. Asquini, I, Padova 1963, 1085-1086.

272

Così lo definisce IRTI, Introduzione, cit., XIII.

273

Così IRTI, in Introduzione, cit., XIII-XIV.

274

economiche, vuoi la tesi che il mercato viva anche senza le leggi, siano, ciascuna in una certa prospettiva, esatte”275.

Tale affermazione si fonda sul rilievo che i due fenomeni sono strettamente interrelati in un divenire dialettico276: se, infatti, è “pacifico che la norma legislativa rifletta scelte, economico-politiche, compiute a monte, fondate sull’osservazione dei fatti e sulla considerazione di ciò che risulta più profittevole agli interessi della realtà empirica” tuttavia, è altrettanto vero che “l’affinamento del sistema economico (…) ha avuto come inevitabile presupposto l’osservazione di un sistema normativo degli scambi già operante”277.

La radicalizzazione del conflitto tra mercato e diritto, dunque, sarebbe frutto di un equivoco: “L’affermazione dell’economia di mercato come legge naturale non è stata in realtà voluta per contrapporla ad una struttura giuridica, ma per affermarla come scelta politica. Mandeville, Adam Smith, Bentham, Thomas Paine ritenevano ad esempio – seppure con motivazioni ed argomentazioni diverse – che l’ordine economico dovesse regolarsi da solo, spontaneamente sulla base dei liberi scambi di mercato, senza che il legislatore si intromettesse. Qui, però, «legislatore» sta per «governo»: non si voleva decidere su fatti economici, perché questi si componevano, e si assume tuttora comporsi, assai meglio sulla base della legge naturale del mercato, vale a dire sulla base degli scambi quali effettuati in corrispondenza dei bisogni dei singoli che abbiano a manifestarsi. Legge naturale del mercato che dunque, se rifiuta ogni dirigismo ed iniziative similari, non nega affatto che il mercato sia il risultato di comportamenti giuridicamente regolati, vincolanti – in altre parole – per norma; in quanto, invece una regolazione vincolante di quei comportamenti – inerenti ai vari rapporti di scambio – in realtà viene presupposta, atteso che altrimenti un mercato veramente affidabile non si avrebbe”278.

275

LIBONATI, Contributo in Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, cit., 108.

276

LIBONATI, Contributo, cit.,113

277

LIBONATI, Contributo, cit., 113.

278

Da tale prospettiva, dunque, il dibattito sull’ordine giuridico del mercato si risolverebbe in un problema di quantum giuridico.

Delineati i possibili modelli di interazione tra stato e mercato, diritto ed economia, si tratta ora di trarne alcune conseguenze in merito al problema da cui si è preso le mosse e cioè se, nella materia in esame, fosse opportuno intervenire con la “pretesa” di ripristinare i meccanismi concorrenziali.

Al riguardo è singolare rilevare come, nonostante le diverse premesse, i modelli teorici sin qui analizzati giungono a conclusioni analoghe in merito alla necessità dell’intervento regolatorio in ipotesi, come quella analizzata, in cui si è in presenza di fallimenti di mercato. Aderendo all’una o all’altra prospettiva, infatti, l’opzione zero risulterebbe comunque esclusa.

Ciò è evidente per l’orientamento politico giuridico: se il mercato è un ordine giuridico, senza le regole, esso nemmeno potrebbe esistere; e dunque, l’intervento del regolatore, prima ancora che opportuno, risulterebbe necessario per garantire gli assetti concorrenziali.

Proprio l’assenza di regolazione, invero, avrebbe determinato le segnalate inefficienze nel settore della circolazione delle operazioni di finanziamento.

A conclusioni non dissimili si perviene aderendo all’opposto orientamento. L’idea di una pretesa superiorità del mercato rispetto alla legge, in tale prospettiva, infatti, non si spinge sino a negare l’esistenza di fallimenti di mercato, né l’opportunità di rimediarvi attraverso la regolazione.

Per quanto detto l’opzione regolatoria risulta compatibile con entrambe le prospettive; solo che, nel primo caso, essa diviene addirittura necessaria, nel secondo caso, invece, essa è residuale e si giustifica solo a seguito della constatazione che nello specifico settore il mercato ha portato a fallimenti.

Le considerazioni sin qui effettuate permettono di dare una prima risposta all’ultimo quesito posto nel paragrafo 3.1, affermando come, stanti i costatati fallimenti, fosse necessario intervenire a regolare il settore anche tramite la fissazione di regole rigide finalizzate alla creazione di un nuovo mercato.

Risolto il problema dell’an dell’intervento si tratta ora di analizzare il problema del quantum, o per meglio dire del quomodo. E cioè se, ferma la necessità di un intervento, la strategia prescelta (il largo ricorso norme

imperative, nullità di protezione, divieti di compensi) sia adeguata o se trattasi di misure eccessivamente restrittive dell’autonomia privata destinate, in ultima analisi, a riversarsi negativamente sul consumatore.

Al fine di risolvere quest’ultimo problema, si rende opportuno ripercorre brevemente l’evoluzione del rapporto tra norme imperative ed autonomia privata nella materia contrattuale, al fine di verificare se, sulla base delle attuali acquisizioni del diritto privato europeo, da un lato, e dei risultati dell’analisi economica, dall’altro, l’opzione regolatoria prescelta si riveli corretta.

L’analisi delle varie tecniche di regolazione verrà condotta in una

prospettiva storica, partendo cioè dal codice del 1942 fino ad arrivare ai tempi

attuali. La scelta di tale tecnica espositiva dovrebbe facilitare la comprensione dell’influenza che i principi costituzionali prima e quelli comunitari poi hanno avuto sulla evoluzione della tecnica normativa e si presume continueranno ad avere anche per i successivi sviluppi.