• Non ci sono risultati.

La regolazione amministrativa dei fenomeni migratori in Italia

2.3 La legge “Martelli” e gli sviluppi della prima metà degli anni ‘

Alla fine degli anni ’80 la crescente presenza di immigrati iniziò a produrre tensioni sociali, specialmente nelle aree metropolitane e nelle aree agricole del sud Italia. La situazione raggiunse il picco con l’uccisione di un lavoratore extracomunitario di nome Jerry Essan Masslo, avvenuta nell’ottobre 1989 a Villa Literno, un’area agricola nei pressi di Napoli.

L’intervento normativo che seguì alla Legge 943 del 1986 fu adottato quindi sull’onda emotiva degli eventi della fine degli anni ’80, in questo confermando il carattere emergenziale delle politiche italiane in materia di immigrazione e trattamento degli immigrati (Zincone, 2011, op.cit. p.263).

Nel 1990, infatti, venne adottata la legge cosiddetta “Martelli”, contenuta nel decreto legge 416 del 1989 “Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato” e convertita in legge 39 del 1990.

Il network delineatosi in relazione a tale norma è di tipo includente, e assume una forma a metà tra quella della policy community e quella dell’issue network. Della prima infatti assume l’azione

45

entro un frame condiviso e la continuità delle relazioni tra gli attori, che devono necessariamente basarsi sulla fiducia reciproca per funzionare al meglio, del secondo invece assume il numero particolarmente ampio degli attori coinvolti e la loro diversa natura e competenze (Lanzalaco, Prontera, 2012, op.cit.).

Gli attori coinvolti erano numerosi e con competenze tra loro differenti.

A livello nazionale tra gli attori istituzionali politici vi erano i decisori politici, quali il Governo, i singoli ministeri e le Commissioni Parlamentari, la Conferenza Stato Regioni e il CNEL. Tra gli attori istituzionali non politici vi erano invece le forze di Pubblica Sicurezza, quali la Polizia di frontiera, le autorità giudiziarie e il Servizio Sanitario Nazionale. Tra gli attori non istituzionali infine possono essere annoverati i sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale.

A livello regionale tra gli attori istituzionali politici vi erano le regioni, tra gli attori istituzionali non politici vi erano i tribunali amministrativi regionali e i tribunali dei minori territorialmente competenti e tra gli attori non istituzionali vi erano sindacati, patronati, istituzioni e fondazioni sociali, associazioni di immigrati e di rifugiati e organizzazioni di volontariato.

A livello locale gli attori istituzionali politici coinvolti erano i comuni, quelli istituzionali non politici invece questure, commissariati, unità sanitarie locali, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, mentre infine quelli non istituzionali erano le organizzazioni sindacali, gli istituti di istruzione, le case di cura o di pena, le comunità civili o religiose, gli enti e le case di cura private, i patronati, le istituzioni e le fondazioni sociali, le associazioni di immigrati e rifugiati e le organizzazioni di volontariato.

I decisori politici a livello nazionale avevano il ruolo di promotore e regista all’interno del

network, mentre le forze di Pubblica Sicurezza a livello nazionale, come ad esempio la Polizia di

frontiera, quello di implementatori delle direttive dei decisori politici.

Le autorità giudiziarie a livello nazionale avevano il duplice ruolo di implementatori delle direttive dei decisori pubblici e di promotori e registi, in quanto attraverso le sentenze da loro prodotte nei singoli casi contribuivano a modificare il network stesso.

I sindacati nazionali invece rivestivano un ruolo di filtro degli interessi dei lavoratori italiani ai tavoli di concertazione previsti dalla legge 39 del 1990 all’articolo 2 comma 3, per la definizione della programmazione annuale dei flussi di ingresso in Italia per ragioni di lavoro degli stranieri extracomunitari e del loro inserimento socio-culturale. Infatti secondo tale articolo la programmazione si sarebbe concretizzata mediante decreti adottati di concerto dai Ministri degli Affari Esteri, dell’Interno, del Bilancio e della programmazione economica, del lavoro e della previdenza sociale, dopo aver sentito i Ministri di settore eventualmente interessati, il CNEL, le

46

organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale e la conferenza Stato Regioni.

Anche il Servizio Sanitario Nazionale rivestiva un importante ruolo di implementazione delle decisioni dei decisori politici nazionali.

Per quanto riguarda il livello regionale, gli attori istituzionali politici, ovvero le regioni, rivestivano il ruolo di promotori accanto ai decisori politici nazionali e contestualmente di implementatori, ad esempio attraverso l’organizzazione di appositi corsi professionali per stranieri, istituiti avvalendosi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. A loro volta gli attori istituzionali non politici, ovvero i tribunali amministrativi regionali, avevano anche essi il duplice ruolo di implementatori delle direttive dei decisori politici e di promotori e registi, in quanto con le proprie sentenze indirizzavano e condizionavano il funzionamento del network.

Un ruolo fondamentale infine era svolto dagli attori al livello locale.

Gli attori istituzionali politici locali, ovvero i Comuni, contribuivano all’implementazione delle direttive dei decisori politici, svolgendo anche un ruolo attivo di promozione di progetti locali di prima accoglienza e di servizi rivolti a stranieri immigrati, esuli e loro familiari.

Le forze di pubblica sicurezza, quali questure e commissariati, svolgevano il ruolo fondamentale di implementazione delle direttive e di filtro delle richieste degli stranieri, che ad esse si devono rivolgere necessariamente per regolarizzare la propria posizione.

Per quanto riguarda gli attori non istituzionali quali gli istituti di istruzione, le case di cura o di pena, le comunità civili o religiose ospitanti gli stranieri, essi svolgevano il ruolo di filtro tra gli interessi e i diritti degli stessi e le forze di pubblica sicurezza. Queste ultime invece avevano il compito di implementare le direttive.

Gli strumenti di policy introdotti tramite tale legge furono in primo luogo pene detentive e pecuniarie, come si evince dall’articolo 3 comma 8, per chiunque compisse attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nello stato, in violazione delle disposizioni della norma. In secondo luogo al comma 9 vennero introdotte sanzioni amministrative per gli agenti marittimi raccomandatari e i vettori aerei che omettessero di riferire all’autorità di pubblica sicurezza la presenza, a bordo di navi o aeromobili, di stranieri irregolari.

Inoltre venne introdotto all’articolo 7 lo strumento dell’espulsione, sia quella di natura prefettizia che quella di natura ministeriale, così come anche all’articolo 5 comma 3 lo strumento del ricorso giurisdizionale contro tali provvedimenti di espulsione dal territorio dello Stato e contro la revoca e il diniego del permesso di soggiorno.

Ancora, un ruolo fondamentale assunse lo strumento dell’erogazione di contributi alle regioni, trattato all’articolo 11 comma 3, atto a consentire alle stesse di predisporre progetti e servizi di

47

accoglienza. Per tale finalità la norma autorizzava la spesa di lire 30 miliardi per ciascuno degli esercizi finanziari 1990,1991 e 1992 e al relativo onere provvedeva mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1990-1992, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del Tesoro per il 1990, all’uopo parzialmente utilizzando l’accantonamento “Interventi in favore dei lavoratori immigrati”.

Era poi prevista, all’articolo12, l’emanazione di concorsi per nuove assunzioni volte a incrementare il numero di figure lavorative statali che potessero ricoprire i ruoli richiesti dalla materia dell’accoglienza e della gestione dei flussi migratori. Tale aumento di organico però veniva compensato mediante la riduzione di posti relativi a profili professionali anche in qualifica funzionale diversa dalla settima, in questo modo evitando oneri finanziari aggiuntivi.

Sempre nello stesso articolo assumeva rilievo anche lo strumento dello stanziamento di fondi atti a consentire l’istituzione di strutture di prima assistenza e informazione agli stranieri presso i valichi di frontiera ferroviari, portuali e aeroportuali, per la cui copertura finanziaria erano previsti stanziamenti entro il limite di 5 miliardi di lire per ciascuno degli esercizi finanziari 1990, 1991 e 1992, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1990-1992, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del Tesoro per il 1990, all’uopo utilizzando parzialmente l’accantonamento “Interventi in favore dei lavoratori immigrati”.

Ancora, veniva previsto un incremento dei posti della Polizia di Stato di 700 unità nel ruolo di agenti e assistenti, di 260 unità nel ruolo di sovrintendenti, di 30 unità nel ruolo di commissari e di 10 unità nel ruolo di dirigenti, da destinare agli uffici di polizia di frontiera e agli uffici stranieri.

Per il completamento e il potenziamento dei sistemi e delle procedure di collegamento degli uffici di polizia di frontiera con il centro elaborazione dati e per le esigenze connesse all’attuazione del decreto, il Ministero dell’Interno prevedeva un piano straordinario di interventi per il biennio 1990-1991, al cui fine si autorizzava una spesa di lire 5.000 milioni per ciascuno degli anni 1990- 1991. Infine al comma 10 dell’articolo 12 si specificava che all’onere derivante dalle suddette azioni, valutato in lire 14.000 milioni per l’anno 1990, in lire 24.000 per l’anno 1991 in lire 29.000 milioni per l’anno 1992, si sarebbe provveduto mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1990-1992, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per il 1990, all’uopo parzialmente utilizzando l’accantonamento “Interventi in favore dei lavoratori immigrati”.

Tale norma confermava l’equo accesso ai diritti sociali sebbene allocasse poche risorse a questo scopo, proprio come la legge del 1986, ripartendo la maggior parte del peso economico di questa uguaglianza sugli enti locali.

48

Tuttavia il merito maggiore della norma era quello di costituire la prima disciplina di carattere organico che, sebbene con evidenti lacune, definisse il quadro giuridico in cui si sarebbe inserita la legislazione frammentaria ed emergenziale del decennio successivo (Savino, 2012, op.cit. p. 222).

La norma innanzitutto disponeva all’articolo 2 una programmazione annuale dei flussi di ingresso per motivi di lavoro, stabilendo che tale programmazione sarebbe stata effettuata mediante decreto adottato di concerto dai Ministri degli Affari Esteri, dell’Interno, del Bilancio e della programmazione economica, del Lavoro e della Previdenza sociale, sentiti i Ministri di settore eventualmente interessati, il CNEL, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale e la Conferenza Stato-Regioni.

Secondo tale articolo il decreto avrebbe dovuto essere adottato entro il 30 ottobre di ogni anno, ma in concreto i decreti iniziarono ad essere adottati ben oltre tale termine, ovvero alla fine di ogni anno, con una larga quota di flussi pianificati occupata da amnistie de-facto, riunificazioni familiari e permessi per motivi umanitari (Zincone, 2011, op.cit. p.264).

All’articolo 7 poi, la Legge Martelli disponeva i primi tasselli in materia di espulsione dello straniero, la quale doveva essere stabilita dall’autorità giudiziaria, dal Ministro dell’Interno o dal Prefetto, e doveva essere corredata di tutele giurisdizionali, inoltre introduceva la possibilità dell’espulsione amministrativa per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello stato.

Infine all’articolo 9 si occupava della regolarizzazione dei cittadini extracomunitari già presenti nel territorio dello stato.

La legge all’epoca fu votata favorevolmente dal Partito Comunista, allora il componente principale dell’opposizione. Invece un piccolo partito che apparteneva alla coalizione di maggioranza Repubblicana e il suo segretario Giorgio La Malfa furono molto critici a riguardo, infatti alla fine votarono a sfavore della legge, insieme all’ala destra del Parlamento che comprendeva Alleanza Nazionale e Lega Nord.

Questo tipo di schema comportamentale sarebbe persistito a lungo nel tempo, vedendo la maggioranza divisa mentre parte dell’opposizione convergente con la maggioranza.

Nonostante ciò la legge 39 del 1990 sarebbe stata approvata da una maggioranza schiacciante, oltre il 90 percento dei membri del Parlamento. Questa apparente unanimità, però, non era destinata a durare, in quanto nella seconda metà degli anni ’90 la materia dell’immigrazione e dei diritti dei migranti sarebbe diventata altamente politicizzata e conflittuale (Zincone, 2011, pp.264-265).

Prima del tassello importantissimo che sarebbe stato posto nel 1998 dalla legge Turco- Napolitano, nella prima metà degli anni novanta vi furono interessanti sviluppi in materia di immigrazione (Zincone, 2011, op.cit. pp.265-266).

49

È importante contestualizzare tale azioni, fortemente influenzate dalla crisi politica in Albania e dal conseguente arrivo massiccio di rifugiati albanesi, le quali rientravano dunque nuovamente nel caratteristico stile di policy emergenziale italiano. Tutto ciò, insieme a una più ampia necessità di migliorare il coordinamento a livello di policy making, spinse l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti a introdurre un Ministro per gli Italiani all’Estero e per l’Immigrazione durante la sua settima legislatura, tra l’Aprile 1991 e l’Aprile 1992. Si trattava comunque di un Ministero senza portfolio e privo di una consistente influenza, per cui tale iniziativa si risolse in un effettivo insuccesso.

In seguito, con la legge 107 del 13 Aprile 1993, uno speciale e autonomo Dipartimento per gli Affari Sociali, all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri (nuovamente un Ministero senza portfolio), assunse il controllo di questo settore di policy.

All’interno di tale dipartimento venne istituita una speciale Direzione Generale sull’Immigrazione, che preparò un primo disegno di quella che sarebbe stata la maggiore riforma dello status legale degli immigrati in Italia, con l’aiuto di una Commissione che includeva esperti e funzionari di altissimo livello provenienti dai principali ministeri.

Dopo il primo e breve governo Berlusconi del 1994-1995 parte delle proposte del cosiddetto disegno di legge Contri del 1994 (dal nome dell’allora ministro del Dipartimento per gli Affari Sociali sopracitato) furono incluse nel decreto legge 489 del 1995 “Disposizioni urgenti in materia di politica dell’immigrazione e per la regolamentazione dell’ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei Paesi non appartenenti all’Unione Europea”.

Oltre a introdurre una nuova sanatoria, tale decreto all’articolo 13 garantiva anche agli immigrati irregolari la maggior parte dei servizi sanitari garantiti ai cittadini italiani:

[…] Agli stranieri, temporaneamente presenti nel territorio dello Stato sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere assistenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio, e sono estesi i programmi di medicina preventiva. E’ altresì garantita la tutela sociale della maternità responsabile e della gravidanza, come previsto dalle vigenti norme applicabili alle cittadine italiane. L’accesso dello straniero alle strutture sanitarie non può comportare alcun tipo di segnalazione, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano. […]